Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6401 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/03/2020, (ud. 30/01/2020, dep. 06/03/2020), n.6401

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Mario – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21629-2018 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PAVIA, in persona del Rettore pro tempore,

MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’

E DELLA RICERCA, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona

dei rispettivi Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO

7, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FEDELI BARBANTINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO SARTORI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2325/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CIRILLO

FRANCESCO MARIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il dottor C.S. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, il Ministero dell’università e della ricerca, il Ministero dell’economia e finanze, il Ministero della salute e l’Università degli studi di Pavia e, assumendo di non aver percepito alcuna remunerazione per il periodo dal 1984 al 1987 nel quale aveva regolarmente frequentato e positivamente concluso la scuola di specializzazione in odontostomatologia, chiese che fosse riconosciuto il suo diritto ad un’adeguata remunerazione, determinata nella somma di lire 21.500.000 per ciascun anno, secondo la previsione del D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6.

Si costituirono in giudizio le parti convenute, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.

Il Tribunale rigettò la domanda per intervenuta prescrizione del diritto. L’appello del Dott. C. fu respinto dalla Corte d’appello di Milano.

2. Proposto ricorso dal medico soccombente, la Corte di cassazione, con la sentenza 24 febbraio 2016, n. 3653, cassò la sentenza impugnata e rinviò il giudizio alla medesima Corte d’appello, rilevando che la prescrizione era, nella specie, decennale e che, cominciando essa a decorrere dalla data di entrata in vigore della L. 19 ottobre 1999, n. 370, il decennio non era ancora trascorso.

3. Il giudizio è stato riassunto dal medico in sede di rinvio e la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 9 maggio 2018, ha accolto il gravame ed ha condannato le Amministrazioni appellate, in solido tra loro, al pagamento dell’importo complessivo di Euro 33.311,46, con gli interessi dalla data della messa in mora (6 luglio 2002) e con il carico delle spese del giudizio di cassazione e di quello di rinvio.

Richiamati i principi enunciati dalla sentenza di legittimità, la Corte di merito ha affermato che il Dott. C. aveva dimostrato di aver frequentato la scuola di specializzazione suindicata dall’anno accademico 1984-1985 all’anno accademico 1986-1987, conseguendo il relativo diploma in data 21 ottobre 1987. Doveva pertanto considerarsi raggiunta la prova necessaria per condannare le Amministrazioni appellate al pagamento della somma indicata dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 per ciascuno degli anni di corso, avendo egli interrotto la prescrizione con la prima richiesta di pagamento nel dicembre 2002.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano propongono ricorso le Amministrazioni indicate in epigrafe con atto affidato a tre motivi.

Resiste il Dott. C.S. con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375,376 e 380-bis c.p.c., ed il controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e 4), violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, della L. n. 370 del 1999, art. 11, nonchè delle direttive 82/76, 75/362 CEE e dell’art. 2043 c.c..

Si sostiene, al riguardo, che l’Università degli studi di Pavia sarebbe priva di legittimazione passiva.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Risulta dalla lettura della sentenza n. 3653 del 2016 di questa Corte, che ha dato luogo al giudizio di rinvio, che la questione relativa alla sussistenza o meno della legittimazione passiva dell’Università di Pavia fu ritenuta inammissibile già in quella sede, per ragioni procedurali. Ne consegue che essa non può certamente essere ammissibile in sede odierna, nella quale è impugnata la sentenza emessa dalla Corte d’appello nel giudizio di rinvio.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione delle norme di cui al primo motivo, sostenendo che la specializzazione in odontostomatologia non rientrerebbe tra quelle previste dalla normativa comunitaria, per cui il Dott. C. non avrebbe diritto a percepire alcuna remunerazione.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Gli odierni ricorrenti non specificano in alcun modo se tale questione sia stata o meno tempestivamente posta in sede di merito, sicchè la medesima non può essere affrontata per la prima volta in sede di rinvio, nè, a maggior ragione, nel giudizio di cassazione contro la sentenza pronunciata in sede di rinvio.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione delle medesime disposizioni di cui ai motivi precedenti, sul rilievo che al Dott. C. non spetterebbe la somma stabilita dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, bensì quella, minore, prevista dalla L. n. 370 del 1999, art. 11.

3.1. Il motivo è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte, ormai consolidata, ha da tempo affermato che in materia di trattamento economico dei medici specializzandi, il D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 8, comma 2 (secondo cui “le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dall’anno accademico 1991-1992”), si interpreta nel senso che il precedente art. 6, il quale aveva tardivamente attuato il diritto comunitario, era applicabile soltanto ai medici che si fossero iscritti ad un corso di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 1991-1992, con esclusione, quindi, degli specializzandi che alla data di entrata in vigore del decreto già frequentavano corsi di specializzazione, per essersi iscritti in un anno precedente senza averli terminati, e ciò non solo per gli anni accademici pregressi, ma anche per i successivi (sentenze 29 agosto 2013, n. 19884, e 31 marzo 2015, n. 6469). Giurisprudenza, questa, che ha ricevuto recentemente l’autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza 27 novembre 2018, n. 30649.

Deve ritenersi, quindi, che ai medici che hanno svolto il corso di specializzazione, come il Dott. C., in un periodo antecedente l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991, spetti la remunerazione nella misura fissata dalla L. n. 370 del 1999, art. 11, pari cioè a lire 13 milioni annui (Euro 6.713,94).

4. In conclusione, sono dichiarati inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso, mentre è accolto il terzo.

La sentenza impugnata è cassata in relazione e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, posto che è pacifico che il corso di specializzazione frequentato dal Dott. C. ebbe la durata di tre anni, la causa può essere decisa nel merito, riconoscendo allo stesso la somma complessiva di Euro 20.141,82, oltre interessi legali dalla data della costituzione in mora (avvenuta in data 6 luglio 2002, punto non in discussione) fino al saldo definitivo.

Trattandosi di debito di valuta (sentenza 9 febbraio 2012, n. 1917, seguita da altre successive), non si fa luogo a rivalutazione della somma.

Occorre procedere, a questo punto, alla liquidazione delle spese, che deve riguardare i due primi giudizi di merito, il precedente giudizio di cassazione (che aveva rimesso la liquidazione al giudice di rinvio), il giudizio di rinvio e l’odierno giudizio di cassazione. Poichè, per costante insegnamento di questa Corte, la soccombenza deve essere valutata all’esito complessivo del giudizio, il Dott. C. è da considerare vincitore, anche se in misura minore rispetto a quanto liquidato dal giudice di rinvio, posto che la sua domanda è stata accolta. Consegue da ciò che gli vanno riconosciute le spese dei primi due giudizi di merito, del primo giudizio di cassazione e di quello di rinvio. Quanto al presente grado, invece, poichè le Amministrazioni ricorrenti sono, sia pure in parte qua, vincitrici, avendo ottenuto una riduzione della somma da pagare all’attore originario, vi sono ragioni che inducono all’integrale compensazione, posto che il Dott. C. rimane pur sempre, come si è detto, globalmente vincitore.

La relativa liquidazione segue come da dispositivo, ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

PQM

La Corte dichiara inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’università e della ricerca, il Ministero dell’economia e finanze, il Ministero della salute, in persona dei rispettivi Ministri in carica, e l’Università degli studi di Pavia, in persona del Rettore in carica, in solido tra loro, al pagamento, in favore di C.S., della somma complessiva di Euro 20.141,82, oltre interessi legali dal 6 luglio 2002 fuco al saldo definitivo.

Condanna le Amministrazioni suindicate alla rifusione, in favore di C.S., delle spese dei primi due giudizi di merito, liquidate per ciascun grado in complessivi Euro 2.500, di quelle del primo giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.500, nonchè di quelle del giudizio di rinvio, liquidate in complessivi Euro 2.500; compensa integralmente le spese dell’odierno giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 30 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 6 marzo 2020

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