Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 640 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 15/01/2020), n.640

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33880/2018 r.g. proposto da:

A.G., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Daniela

Vigliotti, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Gallarate (VA), Via G.B. Trombini n. 3.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data 30

ottobre 2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3/12/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria proposta da A.G., cittadino (OMISSIS), dopo il diniego di tutela della commissione territoriale ha rigettato la domanda così proposta, confermando, pertanto, la decisione resa in sede amministrativa.

Il tribunale ha, primo luogo, precisato che era stata fissata udienza di comparizione personale delle parti, senza tuttavia ritenere necessaria l’audizione del richiedente.

Il tribunale ha, poi, ricordato la vicenda personale del ricorrente, così come da quest’ultimo raccontata: il richiedente ha infatti narrato di essere nato e cresciuto a (OMISSIS), di appartenere al gruppo etnico “igede”, e di professare la religione cristiana; ha, altresì, riferito di essere stato costretto ad abbandonare il suo paese di origine, in seguito ad una contesa ereditaria con gli zii paterni, contesa a causa della quale era stata aggredita la madre ed egli stesso era stato rapito.

Il tribunale ha, dunque, ritenuto non fondata la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato, in ragione, da un lato, della valutazione di complessiva non credibilità della vicenda raccontata dal richiedente e, dall’altro, della mancanza dei richiesti presupposti normativi per il riconoscimento della predetta protezione; ha, inoltre, evidenziato la insussistenza dei requisiti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b, sempre in ragione della valutazione di non credibilità del ricorrente e per l’assenza di un concreto pericolo di essere sottoposto a trattamento disumano; ha, infine, rigettato la domanda di protezione sussidiaria, ai sensi del sopra ricordato art. 14, lett. c, perchè dalla consultazione delle fonti non è emersa in Nigeria una situazione di rischio collegato a conflitti armati, generanti violenza diffusa e generalizzata; non ha concesso, inoltre, la richiesta protezione umanitaria, in assenza della dimostrazione di un serio radicamento nel territorio nazionale del richiedente, che non poteva essere provato solo attraverso l’allegazione di una assunzione lavorativa.

2. Il decreto, pubblicato il 30 ottobre 2018, è stato impugnato da A.G. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, in relazione alla mancata fissazione da parte del giudice del merito dell’udienza di comparizione personale delle parti in mancanza della videoregistrazione, comparizione come tale finalizzata all’espletamento dell’interrogatorio libero delle parti.

2. Con il secondo mezzo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, per non avere il tribunale riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del richiedente, in ragione della generale situazione geopolitica del paese di provenienza.

3. Con il terzo motivo si articola vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 6, comma 6, del T.U. imm., in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, per non avere il giudice del merito riconosciuto il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari in relazione alla situazione socio-politica della Nigeria, paese di provenienza del richiedente.

4. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6 e art. 19, T.U. Imm., in relazione al mancato riconoscimento della richiesta protezione umanitaria, in ragione del livello di integrazione e di radicamento nel paese di accoglienza.

5. Il ricorso è infondato.

5.1 Il primo motivo di censura non è fondato.

Sul punto, va ricordato che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, salvo che il richiedente non abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Sez. 6, Ordinanza n. 14148 del 23/05/2019).

Ne consegue che la mancanza di videoregistrazione determina l’obbligo della fissazione dell’udienza di comparazione delle parti e non già quello dell’audizione del richiedente.

Ciò posto, risulta circostanza non controversa (e di cui si dà atto, peraltro, nello stesso provvedimento impugnato) quella secondo cui il tribunale aveva comunque fissato l’udienza di comparizione delle parti, omettendo, tuttavia, l’audizione del ricorrente, ritenendola non indispensabile ai fini della decisione.

5.2 Il secondo e terzo motivo – che possono essere esaminati congiuntamente in ragione della identità delle questioni prospettate – sono, invece, inammissibili, perchè prospettano – il secondo motivo in relazione al diniego della richiesta protezione sussidiaria ed il terzo in riferimento alla richiesta, anch’essa negata, di protezione umanitaria – solo questioni di merito, attinenti alla valutazione della situazione di pericolosità interna della Nigeria e alla situazione socio-politica di quest’ultima, questioni che sfuggono alla cognizione di questa Corte di legittimità, implicando una valutazione diretta delle prove che è inibita al giudice di legittimità ed invece rimessa alla cognizione esclusiva dei giudici del merito. E ciò a fronte di una motivazione che, in modo corretto e scevro da criticità argomentative, ha spiegato, sulla base di qualificate fonti di conoscenza internazionale, le ragioni di assenza di una situazione di rischio in caso di rimpatrio del richiedente.

5.3 Per le stesse ragioni deve essere dichiarato inammissibile anche il quarto motivo che richiede – attraverso censure, peraltro, solo genericamente formulate – una nuova valutazione in fatto dei presupposti applicativi della richiesta protezione umanitaria. Sul punto, il tribunale ambrosiano ha speso una motivazione coerente ed adeguata, spiegando che in assenza della dimostrazione di un serio radicamento nel contesto sociale italiano non è possibile rintracciare quella situazione di vulnerabilità connessa al possibile rimpatrio nel paese di origine, solo in presenza della quale è possibile riconoscere il diritto alla protezione umanitaria.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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