Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6397 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/03/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 06/03/2020), n.6397

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34173-2018 proposto da:

C.M., C.P., C.A., nella loro qualità di

eredi della madre sig.ra G.W.Y., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA PANAMA, 86, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA MELUCCO, rappresentati e difesi dall’avvocato ANIELLO

PULLANO;

– ricorrenti –

contro

TRENITALIA SPA, in persona dell’institore, elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA FLAMINIA n. 36, presso lo studio dell’avvocato

MARIAFEDERICA DI LIBERO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

contro

P.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6574/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

Con citazione 28-1-2005 G.W.Y., in proprio e quale erede del marito Cu.Al., convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Frosinone Trenitalia SpA (Gruppo Ferrovie dello Stato), Generali Assicurazioni SpA e P.R. per sentirli condannare al risarcimento del danno subito in conseguenza del sinistro ferroviario, avvenuto alle ore 18 circa del (OMISSIS) in prossimità della stazione di Frosinone, nel quale il figlio C.F. era stato mortalmente investito dal treno regionale n. (OMISSIS), proveniente da Roma e diretto a Frosinone, condotto da P.R..

A seguito del decesso, in corso di giudizio, di G.W.Y., si costituirono in prosecuzione gli eredi C.P., C.A. e C.M..

Con sentenza n. 380 dell’11-5-2012 l’adito Tribunale rigettò la domanda, ritenendo che il danneggiato non aveva fornito la prova, sullo stesso incombente, della condotta colposa o dolosa del danneggiante e del nesso causale tra tale condotta ed il danno lamentato; in particolare il Tribunale evidenziò che: 1) non vi era prova della condotta colposa del macchinista, che, appena resosi conto dell’ostacolo (e cioè del corpo privo di sensi di C.F. completamente straiato sul binario), aveva prontamente azionato il sistema di frenata ed il segnale acustico; 2) che non vi era prova del nesso causale tra la condotta del macchinista e l’investimento (nel senso che non si poteva ragionevolmente ipotizzare che una diversa condotta del macchinista avrebbe potuto evitare l’evento), in quanto, alla distanza alla quale era avvenuto l’avvistamento (200/300 mt) e considerata la velocità di 90 Km/h del treno, non vi era alcuna possibilità di arrestare il convoglio prima dell’investimento; 3) ogni nesso eziologico, d’altro canto, doveva ritenersi interrotto dalla condotta eccezionale, imprevista ed imprevedibile della vittima, che, con gravissima e letale leggerezza, si era introdotto abusivamente nell’area della ferrovia; 4) la condotta della vittima era di tipo suicidario, e quindi unico responsabile del tragico incidente doveva ritenersi la stessa vittima del fatto.

Con sentenza 6574/2017 del 17-10-2017 la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato inammissibile il gravame proposto da C.P., C.A. e C.M., nella loro qualità; in particolare la Corte territoriale ha evidenziato che l’appellata sentenza era fondato su quattro autonome “rationes decidendi” (come sopra riportate), una delle quali tuttavia (la terza) non era stata impugnata, con conseguente inammissibilità del gravame; “ad abundantiam” ha comunque ritenuto pienamente condivisibile quanto affermato dal primo Giudice, secondo cui il comportamento del danneggiato, anche se fosse dipeso da semplice leggerezza e non dalla deliberata volontà di compiere un gesto autolesionistico, presentava caratteristiche di tale abnormità da interrompere il nesso causale tra la condotta omissiva ascritta alle Ferrovie dello Stato SpA e l’evento dannoso in questione; al riguardo ha infatti evidenziato: che C.F. aveva attraversato i binari non all’interno di una stazione ferroviaria o in corrispondenza di una fermata (come prescritto dal D.P.R. n. 753 del 1980, art. 21), ma “in piena linea”, in una zona assolutamente interclusa (stante il disposto del D.P.R. cit., art. 19), a persone estranee al servizio; che C.F. ben poteva rendersi conto che l’attraversamento era vietato, atteso che la linea ferroviaria in quel tratto era delimitata da una rete di recinzione su ambedue i lati; che lo stesso, ciò nonostante, pur in assenza di particolari ragioni di necessità ed urgenza, aveva deciso ugualmente di attraversare, con scelta autonoma, assolutamente incauta ed imprudente, tale da interrompere (come detto) per la sua abnormità il nesso eziologico tra la condotta omissiva ascritta alle Ferrovie dello Stato SpA e l’evento dannoso in questione.

Avverso detta sentenza C.P., C.A. e C.M., nella loro qualità propongono ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato anche da successiva memoria.

Trenitalia SpA (Gruppo Ferrovie dello Stato) resiste con controricorso.

P.R. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 4, – nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., si dolgono che la Corte territoriale abbia considerato non impugnata un’autonoma “ratio decidendi” (l’interruzione del nesso causale per l’abnormità della condotta del C.), quando invece il gravame era complessivamente diretto a contestare l’idoneità della condotta della vittima ad interrompere il nesso causale, e non poteva ritenersi limitato a quanto affermato dal primo Giudice in ordine alle ragioni di tale condotta (evidente condotta di tipo suicidario).

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 1227 c.c., si dolgono che la Corte territoriale abbia affermato la responsabilità di C.F. per il semplice fatto che lo stesso fosse entrato in un’area interdetta, avvicinandosi ai binari

Con il terzo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5, – “omessa motivazione circa un fatto decisivo della controversia”, sostengono l’intrinseca illogicità della motivazione della Corte territoriale, per avere dedotto dall’introduzione della vittima nell’area interdetta la conclusione che siffatta illegittima condotta fosse stata da sola sufficiente a determinare l’evento, senza considerare il movimento del treno (in relazione alla sua velocità, peso e sistema frenante), la posizione e la visibilità del corpo sui binari. Il primo motivo è inammissibile.

Posto che la sentenza di primo grado è fondata (come ritenuto dalla Corte e non censurato da parte ricorrente) su quattro autonome “rationes decidendi”, ritiene questo Collegio, da una lettura (consentita dalla natura di “error in procedendo” della denunziata violazione)sia della sentenza di primo grado sia dell’atto di appello, che effettivamente con il gravame non è stata impugnata in modo specifico la terza “ratto” (per come sopra esposta), concernendo l’appello la condotta colposa dei convenuti (in particolare per avere il Tribunale erroneamente valutato il tempo intercorso tra l’avvistamento e l’azionamento della frenata rapida) ed il richiamo operato dal Tribunale all’evidente condotta di tipo suicidario da parte del C.; nessuna specifica censura, al di là di quanto genericamente viene dedotto a pagina 8 dell’atto di appello, prima della stessa esposizione dei motivi) è stata invece proposta avverso la statuizione di primo grado nel punto in cui la stessa (con autonoma “ratio”, per come sopra precisato) ha ritenuto interrotto ogni nesso eziologico tra la condotta dei macchinisti e l’investimento “dalla condotta di natura eccezionale, imprevista ed imprevedibile del C., il quale…

ha commesso una gravissima e letale leggerezza, introducendosi abusivamente nell’area della ferrovia, violando palesemente sia le norme in materia di trasporti (D.P.R. n. 753 del 1980), sia quelle di comune prudenza”.

Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.

Come sopra evidenziato, invero, la Corte territoriale ha dichiarato inammissibile il gravame per mancata impugnazione di una delle quattro autonome “rationes decidendi” poste a base della sentenza di primo grado, ed ha poi proceduto “ad abundantiam” (come dalla stessa Corte espressamente precisato) all’esame del merito.

Al riguardo va ribadito che “qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità…, con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (Cass. S.U. 3840/2007 e successive; v., da ultimo, Cass. 30393/2017).

Ne consegue l’inammissibilità del secondo e del terzo motivo, concernenti la valutazione di merito operata dalla Corte.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile

In considerazione della peculiarità della vicenda in esame, si ritiene sussistano giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese relative al presente giudizio di legittimità (art. 92 c.p.c., “ratione temporis” vigente).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dichiara compensate le spese relative al presente giudizio di legittimità; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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