Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6394 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/03/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 06/03/2020), n.6394

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32012-2018 proposto da:

S.G.V., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO

ARENULA n. 26, presso lo studio dell’avvocato DILETTA FULCHERI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANPAOLO DALESSIO

CLEMENTI;

– ricorrente –

contro

V.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROBERTO NASUTI;

– controricorrente –

contro

F.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAIZONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato PAOLO BRIN;

– controricorrente –

contro

FO.SI.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1116/2018 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 04/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

S.G. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Savona V.R., Fo.Si. ed F.A.M. per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti dal proprio immobile (sito in (OMISSIS)) in conseguenza di lavori di ampliamento degli appartamenti di proprietà Fo. (interno 17) e di proprietà F. (interno 18) siti all’ultimo piano nonchè di lavori al tetto; al riguardo, in particolare, evidenziò che il V., amministratore del condominio, era stato direttore e progettista dei lavori di rifacimento del tetto nonchè progettista dei lavori di ampliamento, mentre la F. e la Fo. erano state committenti dei detti lavori.

Con sentenza 419 del 27-4-2012 l’adito Tribunale rigettò le domande, escludendo, sulla base dell’espletata CTU, la sussistenza di qualsiasi nesso causale tra le lesioni esistenti all’interno dell’appartamento dell’attore ed i lavori progettati ed eseguiti.

Con sentenza 1116/2018 del 4-7-2018 la Corte d’Appello di Genova ha rigettato il gravame proposto dal S., che ha condannato anche al pagamento delle spese di lite; in particolare la Corte, anche sulla base di una nuova CTU espletata in appello dall’ingegnere B.B., ha ribadito l’insussistenza del detto nesso causale.

Avverso detta sentenza S.G.V. propone ricorso per Cassazione, affidato a due motivi ed illustrato anche da successiva memoria.

V.R. e F.A.M. resistono con separati controricorsi. Fo.Si. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Va preliminarmente dichiara l’inammissibilità dell’ulteriore memoria presentata per posta da F.A.M., pervenuta in data 8-1-2020.

Al riguardo va ribadito che “in tema di giudizio di cassazione, le memorie ex art. 380 bis c.p.c., se depositate a mezzo posta, devono essere dichiarate inammissibili, tanto che nulla in esse proposto possa essere preso in considerazione, non essendo applicabile l’art. 134 disp. att. c.p.c., in quanto previsto esclusivamente per il ricorso ed in controricorso” (Cass. 8835/2018; v. anche Cass. 10/10/2016, n. 20314; Cass. 19/04/2016, n. 7704; Cass. 31/03/2016, n. 6230; Cass., ord. 20/10/2014, n. 22201; Cass. ord. 04/01/2011, n. 182; Cass. 04/08/2006, n. 17726; anche dopo la novella del 2016, per la memoria ex art. 380-bis c.p.c.: Cass. ord. 10/08/2017, n. 19988).

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. c.p.c., nn. 3 e 5, – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., si duole che la Corte territoriale abbia fatto proprie, ritenendole adeguatamente motivate e logiche, le conclusioni alle quali era giunto il CTU B.B., il quale invece aveva omesso di evidenziare quanto acclarato dal CTU geometra R.F. (precedente CTU sempre in grado di appello) e dall’ingegnere Va. (redattore di perizia asseverata e giurata il 31-11-2001).

Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una critica (inammissibile in sede di legittimità) alla valutazione in fatto e di natura tecnica operata dalla Corte in ordine alla insussistenza di alcun nesso causale tra le lesioni all’immobile di proprietà dell’attore ed i lavori in questione.

In ogni modo, in particolare, non sussiste la violazione dell’art. 116 c.p.c., (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale), che, come precisato da Cass. 11892 del 2016 e ribadito (in motivazione) da Cass. S.U. 16598/2016, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando (e non è il caso di specie) il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime.

Nè sussiste la violazione dell’art. 115 c.p.c., che, come precisato dalla cit. Cass. 11892/2016, può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche quando (come nella specie) il medesimo, nel valutare le risultanze istruttorie, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre; irrilevante è, al proposito, la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., sotto il profilo anche dell’erronea applicazione del notorio, atteso che la Corte territoriale si è limitata ad ipotizzare una mera potenzialità causale del terremoto, senza in alcun modo incrinare la precedente esaustiva motivazione, sicchè le affermazioni della Corte sul punto devono ritenersi prive di decisività.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. c.p.c., nn. 3 e 5, – violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., si duole che la Corte territoriale lo abbia condannato al pagamento delle spese di lite quando invece sussistevano ragioni per disporre la totale compensazione delle spese dei due gradi del giudizio.

Il motivo è inammissibile.

Correttamente la Corte d’Appello, in applicazione del criterio della soccombenza e implicitamente riconoscendo, nell’esercizio del suo discrezionale potere di valutazione, l’insussistenza di ragioni per disporne la compensazione, ha condannato il S. alla rifusione delle spese sostenute dai convenuti appellati (Cass. S.U. 14989/2005), peraltro, ebbe a riportare (Ndr: testo originale non comprensibile) l’omessa compensazione delle spese da parte del giudice di merito.

La sollevata questione, posta da parte resistente, sulla produzione di sentenza resa in altro giudizio è da ritenersi irrilevante, atteso che parte ricorrente non trae alcuna conseguenza da essa.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore di ciascuno dei controricorrenti, in Euro 2.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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