Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6393 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2022, (ud. 11/01/2022, dep. 28/02/2022), n.6393

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 10225/15 R.G., proposto da:

TONDINI S.P.A., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e

difesa, giusta mandato in atti, dall’Avv.to Pietro Lolli e

dall’Avv.to Francesco Maria Mantovani, elettivamente domiciliata

presso il loro studio sito in Bologna, alla Via Amendola n. 17.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1583/10/14 della Commissione Tributaria

Regionale della Emilia-Romagna, depositata in data 24.09.2014, non

notificata;

nonché sul ricorso iscritto al n. 11064/15 R.G., proposto da:

TONDINI S.P.A., in persona del legale rapp.te p.t., rappresentata e

difesa, giusta mandato in atti, dall’Avv.to Pietro Lolli e

dall’Avv.to Francesco Maria Mantovani, elettivamente domiciliata

presso il loro studio sito in Bologna, alla Via Amendola n. 17.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1582/10/14 della Commissione tributaria

Regionale della Emilia-Romagna, depositata in data 24/09/2014, non

notificata;

udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita D’Angiolella nella

camera di consiglio del 11 gennaio 2022;

viste le conclusioni del sostituto procuratore generale, Dott. Mauro

Vitiello, di rigetto dei ricorsi.

Udito l’avv. Francesco Maria Mantovani.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. A seguito di verifica svolta dalla Guardia di Finanza di Bologna nell’ambito di un’indagine penale condotta dalla Procura della Repubblica di Agrigento a carico della società CGS s.r.l., fornitrice di rottami ferrosi e non ferrosi alla società Tondini s.p.a., emergeva che, nel periodo 2003-2004, la CGS emetteva fatture in favore della Tondini s.p.a. a fronte di operazioni inesistenti. Da tale verifica e dal conseguenziale processo verbale di constatazione (p.v.c.), ne seguivano due avvisi di accertamento nei confronti della società Todini, per gli anni 2003 e 2004. In particolare, con l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), notificato in data 07/07/2009, l’Agenzia delle entrate, contestando la deducibilità di componenti negativi di reddito derivanti dall’utilizzo di operazioni inesistenti, recuperava a tassazione, per l’anno 2004, una maggiore imposta per IRES, pari ad Euro 42.602,00, nonché maggiore IRAP, pari a Euro 5.487,00, oltre sanzioni ed interessi; con l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), anch’esso notificato in data 07/07/2009, l’Agenzia delle entrate, contestando la deducibilità di componenti negativi di reddito derivanti dall’utilizzo di operazioni inesistenti, recuperava a tassazione, per l’anno 2003, maggiore IRPEG, pari ad Euro 5.235,00, nonché maggiore IRAP, pari a Euro 654,00 oltre sanzioni ed interessi.

2. La società contribuente impugnava i due avvisi di accertamento, con due distinti ricorsi che davano luogo a due autonomi giudizi.

3. L’impugnazione dell’avviso di accertamento (OMISSIS), per l’annualità 2004, vedeva soccombente il contribuente sia innanzi alla CTP di Bologna che, con sentenza n. 202/15/10, rigettava integralmente il ricorso, sia innanzi alla CTR dell’Emilia-Romagna che, con sentenza n. 1583/10/14, confermava la sentenza di prime cure ritenendo fondata, sotto il profilo indiziario, l’ipotesi dell’Ufficio dell’emissione di fatturazioni per operazioni oggettivamente inesistenti per l’annualità in contestazione e, quindi, ritenendo legittimo l’avviso di accertamento. Avverso tale decisione la società contribuente ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi (numero di ruolo generale 10225/15). L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

4. Anche il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), per l’annualità 2003, ha visto soccombente la società contribuente, sia innanzi alla CTP di Bologna – che con sentenza n. 203/15/10 rigettava integralmente il ricorso – sia innanzi alla CTR dell’Emilia-Romagna che, con la sentenza n. 1582/10/14, confermava la sentenza della CTP ritenendo fondata, la pretesa dell’amministrazione finanziaria. Anche in tal caso, la società ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a due motivi (recante il numero di ruolo generale 11064/15) e l’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, il Collegio riunisce il ricorso n. R.G. 11064/15 al ricorso n. R.G. 10225/15 per connessione oggettiva e soggettiva, ex art. 274 c.p.c.; non ostano a ciò ragioni di carattere processuale anche considerato che, nei gradi di merito, i giudizi relativi, celebratisi separatamente, sono stati esaminati dallo stesso giudice in maniera strettamente coordinata e decisi con un’identica motivazione, sì da escludere ogni rischio di contrasto tra giudicati. Va, altresì, considerato che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., in quanto volto a garantire l’economia ed il minor costo dei giudizi, oltre alla certezza del diritto, è applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria ed acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia ed in conformità dal ruolo istituzionale della Corte di cassazione, che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale (cfr., Sez. U, 13/09/2005, n. 18125).

1. Passando al merito dei ricorsi riuniti, per ciascuno di essi la società ricorrente ha proposto due motivi di gravame, tra loro identici, lamentando, con il primo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità delle sentenze impugnate per motivazione apparente, in violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 36, comma 2, n. 4; col secondo motivo, articolato in subordine, la violazione e falsa applicazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), là dove la CTR ha ritenuto provata la fittizietà delle fatturazioni per operazioni inesistenti in assenza di indizi, gravi, precisi e concordanti nei confronti della società, e per aver malamente ripartito l’onere della prova, essendo onere dell’Amministrazione provare che la fatturazione fosse inesistente. A dire della società l’intero impianto argomentativo non spiega “come il Giudice abbia raggiunto il ragionevole convincimento che le irregolarità poste a carico della CGS s.r.l. potessero tradursi nella plausibile prova delle contestazioni mosse alla Toindini s.p.a. e ciò facendo ha violato, oltre la disposizione di cui all’art. 2729 c.c., anche l’essenza stessa del ragionamento presuntivo come delineato da questa Corte” (v. ricorso, pag. 17).

2. Il primo motivo di ricorso è infondato.

2.1. Le motivazioni addotte dalla Commissione Regionale nelle gravate sentenze, consentono senz’altro di individuare la loro ratio decidendi, in quanto enunciano, in maniera obiettivamente adeguata, le ragioni che, sia sul piano logico che su quello giuridico, hanno portato al rigetto degli appelli della società; in particolare, in entrambe le sentenze, di contenuto pressoché identico, la Commissione tributaria Regionale ha sufficientemente e chiaramente motivato la sua decisione, ritenendo provata, sul presupposto delle risultanze dell’indagine penale, condotta dalla Procura della Repubblica di Agrigento a carico della società CGS s.r.l., fornitrice di rottami ferrosi e non ferrosi alla società Tondini s.p.a. da cui emergeva che, nel periodo 2003-2004, la CGS emetteva fatture in favore della Tondini s.p.a. a fronte di operazioni inesistenti, la frode per fatturazione inesistente (v. pag. 3 e 4). La CTR ha ritenuto che gli elementi indiziari risultanti dall’indagine penale, pur se non specificamente enucleati in sentenza, avessero quei caratteri di gravità, precisione e concordanza per ritenere fondato lo schema presuntivo posto a favore dell’Amministrazione, così esprimendo l’iter logico e giuridico attraverso il quale è pervenuta a confermare le sentenze di prime cure. A tal fine, la parte narrativa delle sentenze, ove è descritto non solo l’accertamento penale ma è riportato il percorso argomentativo dei primi giudici, con indicazione degli elementi indiziari su cui essi avevano fondato il loro convincimento (esistenza di indizi gravi precisi e concordanti, anche sotto il profilo dell’ingente volume di affari accertato, superiore rispetto alla capacità produttiva della stessa contribuente, nonché dell’utilizzazione in detrazione di fatture per operazioni inesistenti e di costi non inerenti con la propria attività istituzionale), integra e rafforza le decisioni di appello, di piena conferma delle sentenze della CTP.

3. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.

3.1. I fatti di causa sono pacifici, non avendo la ricorrente contestato l’impianto indiziario evidenziato dal p.v.c. redatto dalla guardia di Finanza ed allegato ai due avvisi di accertamento per cui è causa, da cui viene spiccata la contestazione nei confronti della società Tondini, per aver fatturato, per gli anni 2003 e 2004, acquisti, di materiale ferroso e non ferroso, inesistenti presso il fornitore CGS s.r.l., società cartiera.

3.2. Nonostante le sentenze impugnate non abbiano qualificato la natura di frode fiscale contestata alla società, è evidente che tale situazione ha realizzato quella che è comunemente definita un’operazione oggettivamente inesistente, nella quale, cioè, le operazioni commerciali non sono mai state poste in essere, sicché le fatture rappresentano la mera espressione cartolare di eventi mai avvenuti. L’illecito fiscale che si realizza attraverso tale schema fraudolento è dato dal fatto che l’emissione di false fatture, non collegabili ad alcuna attività economica, è fatta al fine fraudolento di incamerare l’IVA addebitata al cliente nella fattura anziché versarla all’Erario, violandosi, così, il principio di neutralità dell’IVA. La peculiarità di tale meccanismo fraudolento si riverbera sulla prova e sulle relative regole di riparto dell’onere probatorio.

4. La CTR, in entrambe le sentenze, ha rigettato l’appello della contribuente ritenendo che l’emissione di fatturazione inesistente era stata provata dall’Ufficio attraverso elementi indiziari caratterizzati dalla gravità, precisione e concordanza, mentre la contribuente, dal canto suo, non era riuscita a fornire la prova contraria dell’effettività delle operazioni.

5. Osserva il Collegio che le ragioni addotte dalla CTR a sostegno della decisione, sono conformi ai principi affermati in materia da questa Corte che, in sequenza giurisprudenziale sostanzialmente univoca (cfr. da Cass., 18/06/2014 n. 13800; Cass., 18/06/2014, n. 13803; Cass., 17/12/2014, n. 26461; Cass. 09/09/2016 n. 17818, sino alle più recenti Cass., 22/05/2018, n. 16469 e 06/07/2018 n. 17788, conf. da Cass. 30/10/2018, n. 27566), consolidata dalle Sezioni Unite con riferimento al regime del margine (cfr. Sez. U. 12/09/2017, n. 21105), ha affermato che: “In tema di IVA, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia”.

5.1. In tal senso, è stato soggiunto (cfr. Sez. 6-5, 14/09/2016, n. 18118) che l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (in tal senso, cfr. Sez. 5, 19/01/2010 n. 735; Sez. 5, 27/01/2010, n. 1650; Sez. 5, 05/11/2014, n. 23551, Sez. 5, 09/09/2016 n. 17818; sez. 5, 20/04/2018, n. 9851).

5.2. E’ stato chiarito, che mentre nelle ipotesi più complesse (come la c.d. “frode carosello”, caratterizzata da una catena di passaggi, con fatturazioni per operazioni sia oggettivamente che soggettivamente inesistenti, nonché interposizioni strumentali di società c.d. “filtro”) l’Amministrazione deve dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente, in quelle più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare, come quella ricorrente nel caso in esame), detto onere può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione, trattandosi di elemento sintomatico dell’assenza di “buona fede” del contribuente, stante l’immediatezza dei rapporti (cfr., Cass. 30/10/2013 n. 24426 e Cass., 13/03/2013, n. 6229, richiamate entrambe da Cass., 05/12/2014, n. 25778); ovvero che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, dell’evasione o frode posta in essere dal cedente, in quanto disponeva di elementi tali da porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto.

5.3. Non si è mancato di evidenziare che la peculiarità di tale riparto dell’onere probatorio discende dalla particolare valenza della fattura nel sistema tributario rispetto al sistema civilistico e ciò in quanto mentre civilmente la fattura rappresenta un documento di formazione unilaterale ex art. 2709 c.c. inidonea in linea generale (salvo l’eccezione di cui all’art. 2710 c.c.) a costituire di per sé prova del rapporto controverso a favore dell’emittente, nel rapporto con il fisco la fattura rappresenta a tutti gli effetti un costo dell’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 il che spiega anche perché l’Amministrazione finanziaria possa avvalersi di presunzioni – che rientrano a pieno titolo nel novero delle prove utilizzabili in giudizio (artt. 2697 e ss. c.c.) – al fine di dimostrare che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, ovvero è stata posta in essere tra soggetti diversi (cfr. Cass. n. 25578 del 2014 cit.).

5.4. La Commissione tributaria regionale in entrambe le sentenze impugnate ha fatto retta applicazione dei criteri di valutazione delle prove presuntive considerato che, a fronte degli elementi indiziari offerti dall’Amministrazione erariale, ha accertato la carenza di prova contraria da parte della società contribuente.

6. In conclusione, i ricorsi riuniti devono essere rigettati con condanna della società ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce il ricorso n. R.G. 11064/15 al ricorso n. R.G. 10225/15. Rigetta i ricorsi riuniti.

Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia dell’entrate liquidate, per ciascuno dei giudizi riuniti, in Euro 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta sezione civile, il 11 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

 

 

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