Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6392 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/03/2020, (ud. 09/01/2020, dep. 06/03/2020), n.6392

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16046-2018 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAMOZZI,

1, presso lo studio dell’avvocato MATTEO TIDEI ZEGRINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCELLO NARDI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CARIATI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LEONARDO ROCCO

FILARETI;

– resistente –

contro

FONDIARIA SAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1026/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata l’01/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO

CIGNA.

Fatto

RILEVATO

che:

S.G. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Rossano il Comune di Cariati e la Fondiaria Sai Spa per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del fatto che in data 17-9-2002, mentre percorreva in bicicletta (OMISSIS), era stato assalito da un cane randagio ed aveva perso l’equilibrio, cadendo con la testa su cassonetti in metallo siti all’interno della carreggiata e destinati alla raccolta dei rifiuti, con conseguenti lesioni.

Con sentenza 50/12 del 31-1-2012 l’adito Tribunale condannò il Comune al pagamento della somma di Euro 40.067,27 e dichiarò il difetto di legittimazione passiva della Fondiaria Sai SpA.

Con sentenza 1026/17 la Corte d’Appello di Catanzaro, in accoglimento del gravame proposto dal Comune ed in riforma dell’impugnata sentenza, ha rigettato la domanda attorea; in particolare la Corte territoriale ha ritenuto che, in base a quanto disposto dalla L. quadro n. 281 del 1991, in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo e dalla L.R. Calabria n. 4 del 2000, art. 7, rientrava nei doveri dell’Azienda Sanitaria locale la vigilanza ed il controllo del fenomeno del randagismo, essendo attribuito alla stessa un compito di vigilanza preventiva nell’ambito territoriale di competenza per la generica ricerca di cani vaganti; nessuna responsabilità poteva invece essere imputata al Comune di Cariati; e ciò nè per il comportamento dei cani randagi, atteso che, ai sensi della L.R. Calabria n. 41 del 1990, art. 2, al Comune spettava solo il compito di realizzare, e comunque garantire, la presenza di idonee strutture per il ricovero e la custodia temporanea dei cani nonchè di realizzare sul territorio un corretto rapporto uomo-ambiente-animale; nè per la presenza dei cassonetti sulla sede stradale, atteso, da una parte, che gli stessi, benchè quel giorno più spostati verso la sede stradale, erano comunque visibili e non costituivano una anomalia della “res” in custodia, e, dall’altra, che la perdita di equilibrio che aveva fatto cadere lo S. era stata causata dall’intervento del cane, sicchè la presenza dei cassonetti non aveva svolto alcun ruolo causale nella caduta dello S. dalla bicicletta; i cassonetti, in altre parole, avevano avuto un ruolo meramente passivo della vicenda, in quanto le lesioni subite sarebbero state le stesse se la strada fosse stata occupata invece che dai cassonetti, da un’auto in sosta o da altro veicolo; secondo la Corte, peraltro, nella specie non vi era neanche la prova che il cane fosse randagio.

Avverso detta sentenza S.G. propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi.

Il Comune di Cariati e Fondiaria Sai Spa non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Il relatore ha proposto la trattazione della controversia ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.; detta proposta, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata, è stata ritualmente notificata alle parti.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Preliminarmente va rilevato che il Comune non ha presentato controricorso, avendo invero depositato solo atto di costituzione, con espressa riserva di partecipare alla discussione.

Al riguardo va ribadito che “anche nell’ambito del procedimento camerale di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c., (introdotto dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 196 del 2016), alla parte contro cui è diretto il ricorso, che abbia depositato un atto non qualificabile come controricorso, in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c., nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per la discussione del ricorso per cassazione è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio o alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 378 c.p.c.”; inammissibile è, pertanto, la memoria 24-12-2019 presentata dall’avv. R. Filareti nell’interesse del Comune.

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione della L.R. Calabria n. 41 del 1990, artt. 2 e 7, si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto che il compito di vigilanza e controllo del fenomeno del randagismo spettasse in via esclusiva all’Azienda Sanitaria Locale; al riguardo sostiene che, come risultante dal tenore letterale della menzionata L.R. Calabria, artt. 2 e 7, aveva affidato alle Aziende sanitarie Locali solo ed esclusivamente il compito di cattura e recupero dei cani randagi, e non anche un più ampio dovere di vigilanza e sorveglianza della sicurezza cittadina dal fenomeno del randagismo; spettava, invece, al Comune, quale organo deputato al controllo del territorio, il più ampio dovere di vigilare sulla corretta applicazione della normativa in materia di randagismo.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, si duole che la Corte territoriale non abbia ritenuto provato che il cane che aveva aggredito lo S. fosse randagio.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e falsa applicazione degli artt. 2051,2043 e 2697 c.c., si duole che la Corte territoriale, nell’escludere la responsabilità del Comune per la presenza dei cassonetti, abbia applicato la norma di cui all’art. 2051 c.c., anzichè quella più generale di cui all’art. 2043 c.c., e si sia pertanto limitata ad escludere gli elementi della visibilità e della prevedibilità della res in custodia, senza valutare complessivamente la condotta omissiva colposa del Comune nella produzione del danno (i cassonetti, al momento del fatto, erano posti all’interno della carreggiata anzichè nell’apposita piazzola).

Il primo motivo è infondato, con conseguente assorbimento del secondo.

Come già precisato da questa S.C., infatti, “la responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi spetta esclusivamente all’ente, o agli enti, cui le singole leggi regionali, attuative della L. quadro nazionale n. 281 del 1991, attribuiscono il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi. (Nel caso di specie la S.C. ha evidenziato che l’art. 12, comma 2, della L. Reg. Calabria n. 41 del 1990, come sostituito dall’art. 7 della L. Reg. Calabria n. 4 del 2000, attribuisce tale dovere di prevenzione al Servizio veterinario istituito presso le unità sanitarie locali, ora aziende sanitarie locali)” (Cass. 19404/2019); in senso conforme anche Cass. 12495/2017, secondo cui “la responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi spetta esclusivamente all’ente, o agli enti, cui è attribuito dalla legge (ed in particolare dalle singole leggi regionali attuative della L. quadro nazionale n. 281 del 1991), il dovere di prevenire il pericolo specifico per l’incolumità della popolazione, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi”.

Il terzo motivo èinfondato.

La Corte d’Appello, invero, ha correttamente applicato al caso di specie l’art. 2051 c.c., (avente ad oggetto responsabilità da cose in custodia), accertando, con giudizio in fatto (di per sè non sindacabile in questa sede), la insussistenza di nesso causale tra la “res”, e cioè tra i cassonetti in custodia (che avevano avuto un ruolo meramente passivo nella vicenda), e la caduta dello S.; nesso causale, peraltro, necessario anche per affermare la responsabilità ex art. 2043 c.c.; l’irrilevanza, nella sequenza causale, della posizione dei cassonetti, comporta la superfluità di ogni indagine circa il comportamento del Comune inerente i cassonetti.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla per le spese, non avendo (come detto) gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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