Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6390 del 15/03/2018


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Cassazione civile, sez. III, 15/03/2018, (ud. 05/12/2017, dep.15/03/2018),  n. 6390

Fatto

1. Con ricorso depositato il 13 aprile 2011 M.L. si opponeva a decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal Tribunale di Napoli e avente ad oggetto il pagamento a S.C. dell’importo di Euro 6476,88 oltre interessi, quali canoni locatizi dovuti per il periodo aprile 2010-novembre 2010 in forza di contratto di sublocazione in cui la opponente era subconduttrice: adduceva l’inesistenza del contratto di sublocazione, essendo scaduto il contratto di locazione, pur essendo stato poi rinnovato. Il S. si costituiva, resistendo.

Con sentenza n. 9592/2014 il Tribunale accoglieva l’opposizione, ritenendo che il contratto di sublocazione fosse cessato proprio per cessazione del contratto di locazione, stipulato poi ex novo, non essendo stata d’altronde la subconduttrice disponibile a stipulare un nuovo contratto ed avendo anzi rilasciato l’immobile il 31 maggio 2010; revocava pertanto il decreto ingiuntivo, ma condannava la opponente a pagare Euro 1537,72, oltre interessi, quale indennità di occupazione per aprile e maggio 2010.

Avendo proposto appello il S., cui controparte resisteva, la Corte d’appello di Napoli accoglieva il gravame, confermando quindi il decreto ingiuntivo.

2. Ha presentato ricorso la M., sulla base di tre motivi, da cui si è difeso con controricorso il S..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è fondato.

Deve premettersi che l’eccezione di inammissibilità relativa alle conclusioni del ricorso proposta dal controricorrente – nel ricorso di primo grado la M. aveva concluso nel senso che il contratto di sublocazione fosse dichiarato cessato il 4 ottobre 2008 e che fosse accertato l’avvenuto pagamento delle “indennità di occupazione” dell’aprile-maggio 2010; nel ricorso per cassazione chiede di cassare la sentenza impugnata per i motivi esposti e di dichiarare che il contratto decorrente dal 4 ottobre 2008 è inefficace e inopponibile al subconduttore come statuito dal Giudice di primo grado – non risulta fondata, dato che, contestualizzando secondo i canoni di una corretta interpretazione tali conclusioni con quanto illustrato nel ricorso, emerge trattarsi di una – ammissibile in astratto – richiesta di decisione nel merito in conformità con quanto prospettato ab origine, poichè la cessazione del contratto di sublocazione, secondo appunto la prospettazione della ricorrente, deriva proprio dalla inopponibilità a sè quale subconduttrice del rinnovato contratto locatizio.

3.1.1 Il primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1594,1595 e 1366 c.c..

Adduce la ricorrente che la sublocazione è un rapporto obbligatorio derivato; pur essendo contratto autonomo, sotto certi profili è condizionato dal rapporto locatizio, il cosiddetto rapporto fondamentale. Di qui il dettato dell’art. 1595 c.c., comma 3: “Senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore, la nullità o la risoluzione del contratto di locazione ha effetto anche nei confronti del subconduttore…”. Pertanto, se il subconduttore “deve subire la regolamentazione pattizia che ha ab origine accettato in ragione del contratto principale da cui dipende la sublocazione”, non può però “essere costretto a subire delle variazioni anche accidentali del rapporto principale alle quali non abbia aderito”. Prescindendo allora dall’effetto normativo o meno di tali variazioni, esse costituiscono “una modifica unilaterale” del rapporto principale: il terzo che è subconduttore viene a dover subire, nel caso in esame, una durata contrattuale più lunga senza avervi aderito e senza averla preventivamente accettata nel contratto di sublocazione; essa fu anzi espressamente rifiutata con raccomandata A.R. della M. in data 15 aprile 2010.

Il contratto locatizio originale, infatti, aveva previsto due periodi di durata, ciascuno di sei anni, a partire dal 4 ottobre 1996, e tale avrebbe dovuto restare la scadenza pure del contratto di sublocazione. Varrebbe qui il principio della buona fede di cui all’art. 1366 c.c., anche per la tutela dell’affidamento. Se si ritiene, invece, che il subconduttore debba sottostare alla maggior durata voluta dal conduttore e dal locatore e ai connessi oneri, incluso il pagamento del canone, si verrebbe a creare “una situazione di vantaggio rimessa al mero arbitrio del sublocatore”. Peraltro l’art. 1595 c.c., stabilisce che nullità e risoluzione del contratto di locazione non pregiudicano il subconduttore; da ciò dovrebbe desumersi che il contratto di locazione contenente una nuova durata è inefficace nei confronti del subconduttore a prescindere dal fatto che ciò costituisca o meno una novazione del contratto principale.

3.1.2 Allo scopo di meglio comprendere il motivo, è opportuna una sintesi della motivazione con cui il giudice d’appello ha riformato la sentenza di primo grado, sostanzialmente conforme alla prospettazione dell’attuale ricorrente.

La corte territoriale (motivazione, pagine 4 ss.) ha incentrato il suo vaglio per gran parte sulla presenza o meno di una valenza novativa dell’accordo che la locatrice e il conduttore/sublocatore avevano tra loro stipulato in data 25 febbraio 2008 (pare, si nota per inciso, senza avvertirne la attuale ricorrente), giungendo ad escludere che esso sia stato realmente un “nuovo contratto di locazione”, in quanto modificativo solo di elementi non integranti, a suo avviso, una novazione oggettiva, ovvero l’aumento del canone di locazione e della durata. Esclusa poi ogni incidenza della lettera della subconduttrice del 15 aprile 2010 “con cui si invocava l’efficacia nei suoi confronti della scadenza del contratto di locazione, giammai fatta valere dal sublocatore” (argomento, questo, non si può non notare fin d’ora, privo di consistenza, dato che la scadenza di un contratto di genere locatizio può essere fatta valere da ambedue le parti), la corte territoriale afferma che “non appare perfettamente applicabile” l’art. 1595 c.c., comma 3, perchè “deve per certo escludersi che il conduttore-sublocatore possa avvalersi dell’estinzione del primo rapporto per invocare lo scioglimento del secondo e pretendere, così, la restituzione della cosa” (argomento che, si nota ancora per inciso, non appare pertinente, poichè l’art. 1595 c.c., comma 3, era stato invocato a tutela del subconduttore), e asserisce altresì che “dall’analisi della categoria degli interessi in cui la norma intende accordare protezione” emerge che la sua ratio è “offrire una maggiore tutela del diritto del locatore nei confronti del subconduttore”, per cui “essa attribuisce solo al locatore il diritto sostanziale alla restituzione del bene da parte del subconduttore, ma non conferisce analoga facoltà al subconduttore, che non può, quindi, utilmente invocare l’inefficacia della risoluzione del contratto di locazione nei suoi confronti”. Questa interpretazione viene definita in linea con la finalità della norma “volta ad attribuire diritti particolari al locatore nei confronti del subconduttore che possono influire sull’esecuzione del contratto di sublocazione e non certo a creare un rapporto di dipendenza fra i due contratti” (motivazione della sentenza impugnata, pagina 6).

3.1.3 Chiarito in tal modo l’iter che il giudice d’appello ha percorso per giungere alla riforma della sentenza di primo grado, deve ora osservarsi che il motivo in esame, a ben guardare, si fonda sul fatto che il contratto di sublocazione avrebbe avuto una durata determinata – sei anni più sei anni a partire dal 4 ottobre 1996 -, per cui sarebbe scaduto il 3 ottobre del 2008, “a nulla valendo” quanto pattuito tra sublocatore e locatrice, “sia essa una nuova durata o una semplice proroga” (v. in particolare la pagina 12 del ricorso). Prescindendo quindi dalla natura novativa o meno dell’accordo intervenuto tra locatrice e sublocatore il 25 febbraio 2008 (sulla quale, come si è appena visto, si è invece spesa una considerevole parte della motivazione della sentenza), la ricorrente prospetta che l’accordo suddetto non generi una proroga del contratto di sublocazione (e quindi lascia intendere che, quando nel 2010 scrisse la sua lettera di non adesione, si trovava in una situazione di occupazione senza titolo), e afferma che, ai sensi dell’art. 1595 c.c., comma 3, e comunque in base ai principi generali di buona fede e di inefficacia del contratto nei confronti del terzo, non sussiste più – ovviamente dal 3 ottobre 2008 – un rapporto contrattuale tra lei e il controricorrente (nel ricorso monitorio, si nota per inciso, risulta che il sublocatore S. aveva infatti addotto che, per mancanza di disdetta, il contratto di sublocazione si era rinnovato per altri sei anni fino al 3 ottobre 2014).

Invero, il giudice d’appello, come si è visto, si limita ad argomentare sulla natura non novativa dell’accordo, stipulato dalla locatrice e dal S. in data 25 febbraio 2008, e a negare ogni effetto alla lettera dell’aprile 2010 inviata dall’attuale ricorrente, nonchè ad escludere che l’articolo 1595, terzo comma, c.c. venga a creare un rapporto di dipendenza tra locazione e sublocazione, la sua ratio essendo unicamente la tutela del locatore nei confronti del subconduttore, interpretando poi la norma, peraltro, nel senso che il sublocatore non può avvalersi della estinzione del rapporto locatizio per invocare lo scioglimento del rapporto di sublocazione: mentre, nel caso in esame, si tratta di una fattispecie tendenzialmente inversa, poichè è il subconduttore che invoca lo scioglimento del rapporto di sublocazione nei confronti del sublocatore.

3.1.4 La ricorrente focalizza la sua censura sul fatto che locatrice e sublocatore non potevano giuridicamente modificare a suo discapito – cioè per quanto concerne la durata – il contratto di sublocazione: e ciò non è stato risolto dal giudice d’appello, proprio perchè non è risolvibile con la esclusione della sussistenza di una novazione che, se fosse stata esistente, avrebbe semmai riguardato il contenuto del contratto tra locatrice e sublocatore, in quanto discendente da un accordo stipulato esclusivamente da loro.

Pertinente, invece, è il diverso profilo degli effetti del collegamento tra i due distinti contratti, dal momento che il contratto locatizio è per legge correlato al contratto di sublocazione, come si evince proprio dall’art. 1595 c.c.. Il giudice d’appello, nella parte conclusiva del suo percorso motivazionale, non può esimersi dal considerare tale norma, ma la interpreta pretermettendo, per così dire, forzatamente la presenza in essa di qualunque tutela del subconduttore, e leggendola invece come norma-presidio degli interessi del locatore. Ciò d’altronde lo conduce anche ad una evidente contraddittorietà nel suo ragionamento: premesso appunto che la ratio della norma è “offrire una maggiore tutela del diritto del locatore nei confronti del subconduttore”, così da attribuire al locatore il diritto alla restituzione del bene da parte del subconduttore, osserva poi che, ferma la finalità dell’art. 1595, comma 3, “ad attribuire diritti particolari al locatore nei confronti del subconduttore che possono influire sull’esecuzione del contratto di sublocazione”, la disposizione non ha la finalità di “creare un rapporto di dipendenza fra i due contratti nel senso che la nullità o la risoluzione del contratto di locazione produce la nullità o la risoluzione del contratto di sublocazione”.

In realtà, ictu oculi l’art. 1595 c.c., comma 3, costruisce proprio un rapporto di dipendenza tra i due contratti, e questo non è diretto soltanto a tutelare il locatore, bensì anche a tutelare il subconduttore nel contratto collegato a quello di locazione: infatti “la nullità o la risoluzione del contratto di locazione” e la relativa sentenza pronunciata tra locatore e conduttore hanno effetto pure nei confronti del subconduttore, ma ciò avviene “senza pregiudizio delle ragioni del subconduttore verso il sublocatore”. Dunque, il legislatore ha perseguito, come è usuale, un punto di equilibrio fra i contrapposti interessi: il collegamento tra i contratti, che qui risiede nella identità (totale o parziale) dell’oggetto, impone che il locatore non possa essere privato, quando vi ha diritto, della restituzione dell’oggetto attraverso la stipulazione da parte del conduttore di un contratto di sublocazione; peraltro, a sua volta il subconduttore deve in tal caso restare “senza pregiudizio” nel suo rapporto con il sublocatore. E ciò significa che il contratto di sublocazione è collegato al contratto di locazione ma non da esso “assorbito” e asservito, vale a dire avvinto al punto che le parti del rapporto “principale” possano essere stesse governare pure l’esecuzione, e – soprattutto – prima ancora il contenuto dell’accordo correlato, ovvero anche apportare un “pregiudizio” al subconduttore nel subcontratto che non si limiti a coincidere con quanto spetta nel contratto principale al locatore: al di là di questa coincidenza, che incardina il collegamento, rimane invece integro per il resto il rapporto sublocatore-subconduttore come dalle parti di tale rapporto – e solo da esse – disciplinato nel regolamento negoziale.

Il che, a ben guardare, significa che, una volta tutelato il locatore in riferimento alla particolarità della fattispecie giuridica – l’identità dell’oggetto dei due contratti collegati -, si applicano per il resto i principi generali che regolano l’autonomia negoziale e circoscrivono l’ambito dei suoi effetti. Se è vero, allora, che il contratto di sublocazione è avvinto da un collegamento di dipendenza unilaterale al contratto locatizio, che assume il ruolo di contratto fondamentale a fronte di quello, proprio del contratto di sublocazione, di contratto derivato (cfr. Cass. sez. 3, 11 gennaio 2006 n. 260 e Cass. sez. 3, 23 luglio 2002 n. 10742), è altrettanto vero, tuttavia, che il collegamento negoziale, o che sia legislativamente istituito come nel caso in esame, o che discenda direttamente dalla volontà delle parti coinvolte, cioè sia atipico, non dà luogo ad un unico contratto, bensì ad una pluralità coordinata di contratti, che quindi, laddove non incide direttamente l’interesse economico-giuridico che li ha connessi, rimangono entità negoziali autonome (cfr. Cass. sez. 3, 18 luglio 2003 n. 11240 e Cass. sez. 3, 28 giugno 2001 n. 8844). Ed è pertanto applicabile al contratto di sublocazione il principio generale, implicitamente ma inequivocamente invocato dalla ricorrente, dell’art. 1372 c.c., comma 2: il contratto ha effetto sui terzi solo nei casi previsti dalla legge.

Come si è appena visto, allora, la legge non prevede che il locatore e sublocatore possano con accordi stipulati esclusivamente tra di loro modificare il contenuto di un contratto di sublocazione che ha per oggetto lo stesso immobile, essendo l’effetto del contratto locatizio sul subconduttore circoscritto dall’art. 1595 c.c., che in nessuno dei suoi commi conferisce al contratto principale un globale effetto di “governo” del contratto collegato, tale da attribuire alle parti del contratto principale un’autonomia negoziale relativa anche al contratto collegato, autonomia che venga così “sottratta” al subconduttore, l’unico dei tre soggetti che, non accordandosi nell’ambito del rapporto principale cui è estraneo, potrebbe infatti ricevere “pregiudizio” da un accordo locatore-sublocatore attinente al contenuto del contratto di sublocazione: e ciò pure nel caso in cui tale contenuto non possa definirsi novativo, perchè comunque verrebbe lesa la sua autonomia negoziale. Quel che rileva, invero, non è il contenuto del regolamento negoziale, bensì la titolarità dell’autonomia negoziale: titolarità che, come si è appena visto, al di fuori di quanto è riconducibile all’identificazione normativa dell’ambito del collegamento – qui concentrata nell’art. 1595 c.c. -, permane in capo alle parti di quello che è un vero e proprio contratto, pur se collegato ad un altro.

3.2 Il motivo risulta pertanto fondato, ed assorbe logicamente il motivo successivo, che critica infatti, come violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1230 c.c. e ss., la – non rilevante, per quel che si è osservato, ma asserita dal giudice d’appello – natura non novativa rispetto al contratto di locazione dell’accordo stipulato tra il sublocatore S. e la locatrice in data 25 febbraio 2008.

La sentenza in conclusione deve essere cassata, con rinvio (non apparendo sussistenti nel caso concreto in esame i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2) ad altra sezione della stessa corte territoriale, che dovrà rispettare il seguente principio di diritto: nel caso in cui ad un contratto di locazione sia collegato come contratto derivato un contratto di sublocazione avente in quanto tale ad oggetto, totalmente o parzialmente, lo stesso bene oggetto del contratto principale, l’autonomia negoziale delle parti del contratto locatizio non si estende a disciplinare il regolamento negoziale del contratto derivato.

L’accoglimento del ricorso rende il controricorrente in questa sede soccombente, e conseguentemente lo si condanna, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 2, alla rifusione a controparte delle spese processuali del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo, cassa in relazione la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli, condannando il controricorrente a rifondere a controparte le spese processuali del rito, liquidate in un totale di Euro 3000, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2018

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