Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6389 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 25/02/2022), n.6389

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore, legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege,

dall’Avvocatura generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata

presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi, n. 12, in Roma;

– ricorrente –

contro

F.E. e F.P., nella qualità di eredi di

F.C., rappresentati e difesi, giusta procura speciale stesa in

calce al controricorso, dall’Avv. Serapio Deroma, che ha indicato

recapito PEC, ed elettivamente domiciliati presso il suo studio,

alla via G. Avezzana n. 2, in Roma;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza n. 698, pronunciata dalla Commissione tributaria

regionale del Lazio il 20.1.2015, e pubblicata il 5.2.2015;

ascoltata, in Camera di consiglio, la relazione svolta dal

consigliere Paolo Di Marzio.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate notificava il 2.12.2010 a F.C. l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), avente ad oggetto maggiore imposta Irpef per l’anno 2005 per un importo complessivo di Euro 15.324,00 oltre sanzioni (sent. Ctr, p. 1), per effetto di accertamento sintetico del reddito ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 5, in applicazione del c.d. redditometro. L’incremento patrimoniale contestato dipendeva dall’acquisto di un fabbricato per il valore di Euro 405.000,00 in favore del nipote.

Il contribuente proponeva opposizione innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma contestando, per quanto ancora di interesse, che l’accertamento risultava illegittimo, perché la provvista per l’acquisto dell’immobile proveniva dal disinvestimento di titoli mobiliari e non da redditi non dichiarati (sent. Ctr, p. 1). Produceva documentazione volta ad attestare la disponibilità di un saldo attivo, all’epoca dell’acquisto, pari ad Euro 930.754,13 e depositato su un conto corrente acceso presso Banca Intesa. La Ctp riteneva fondati gli argomenti proposti dal contribuente e, nella contumacia dell’Amministrazione finanziaria, annullava l’avviso di accertamento.

Avverso la decisione sfavorevole conseguita in primo grado spiegava appello l’Agenzia delle entrate, evidenziando che il contribuente aveva proposto nell’anno 2012 istanza di conciliazione, che non aveva sortito esito positivo, avendo l’Ente impositore ritenuto inadeguata la documentazione bancaria prodotta da F.C.. Segnalava, inoltre, che analogo avviso di accertamento era stato inviato al contribuente in relazione all’anno 2006, che pure era stato da lui impugnato, e la Ctp aveva confermato la piena validità ed efficacia dell’atto impositivo. La Ctr osservava che il contribuente aveva prodotto ampia documentazione attestante la disponibilità di risorse di denaro, obbligazioni ed azioni, proprio al momento della stipulazione del contratto di acquisto del fabbricato, e l’Amministrazione finanziaria neppure in grado di appello aveva “contestato tali circostanze limitandosi a mere ripetizioni di principio in aperta contraddizione con quanto risultante per tabulas dalla documentazione prodotta da contribuente” (sent. Ctr, p. 2). In conseguenza rigettava il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria e confermava l’annullamento dell’avviso di accertamento.

2. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la pronuncia sfavorevole conseguita dal giudice dell’appello, affidandosi a due strumenti di impugnazione. Resistono mediante controricorso gli eredi di F.C., F.E. e F.P..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria contesta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 3, 4, 5 e 6, dell’art. 115 c.p.c., e degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto che la dimostrazione di una consistente disponibilità finanziaria da parte del contribuente possa costituire la prova della utilizzazione della medesima proprio per l’acquisto dell’appartamento che ha originato l’incremento patrimoniale posto a fondamento dell’accertamento fiscale per cui è causa.

2. Mediante il suo secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’Agenzia delle entrate contesta il vizio di motivazione in cui è incorsa la Ctr per non aver esaminato un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, perché “qualora anche risultasse dalla documentazione prodotta in giudizio dal contribuente” (un’ampia disponibilità di risorse economiche da parte dello stesso, ndr.) tanto “non era sufficiente a provare che quella stessa disponibilità, già tassata alla fonte, sia servita per le spese indicate nell’avviso di accertamento” (ric., p. 12).

3. L’Amministrazione finanziaria contesta, nel suo ricorso per cassazione, in relazione ai profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, che il giudice dell’appello non ha provveduto ad una corretta applicazione dei principi presuntivi che assistono l’accertamento tributario sintetico, non avendo verificato se la pur ampia disponibilità finanziaria del contribuente al momento dell’acquisto dell’appartamento sia stata utilizzata proprio per finanziare l’incremento patrimoniale oggetto di causa. I motivi di impugnazione presentano evidenti profili di connessione, ed appare conveniente proporne una trattazione unitaria.

In primo luogo sembra opportuno rilevare che l’Ente impositore, al di là delle formule ipotetiche ripetutamente utilizzate, non contesta che il contribuente disponesse, al momento dell’acquisto di un appartamento costato 405.000,00 Euro, di disponibilità economiche superiori ai 900.000.00 Euro, depositate su conto corrente (cfr. ric., p. 9 in fine). Inoltre, non vi è contestazione neppure in ordine alla circostanza che le somme depositate su conto corrente da F.C. fossero state lecitamente accumulate, nonché assoggettate agli oneri fiscali di legge.

Sembra allora opportuno ribadire come la Ctr abbia osservato che “il contribuente ha prodotto ampia documentazione attestante la disponibilità di qualificate risorse di denaro, obbligazioni ed azioni al momento della stipulazione del contratto di acquisto del fabbricato… sul suo conto corrente risultava un saldo attivo superiore ai 900.000,00 Euro… l’ufficio del resto… anche in questo grado, non ha contestato tali circostanze limitandosi a mere ripetizioni di principio in aperta contraddizione con quanto risultante per tabulas dalla documentazione prodotta dal contribuente” (sent. Ctr., p. 2).

3.1. Merita di essere ancora evidenziato come i controricorrenti abbiano segnalato che nel giudizio di merito svoltosi nei confronti dell’originario ricorrente in relazione all’anno 2006, processo che presenta questioni di diritto assolutamente analoghe a quelle da esaminare nel presente giudizio, ed aveva visto F.C. soccombere in primo grado, questa decisione è stata ribaltata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio in sede di appello, con sentenza n. 5078/1/2014 del 24.6.2014-4.8.2014, avendo il giudice di secondo grado annullato l’avviso di accertamento. La Ctr ha ritenuto in quel giudizio “che la parte privata ha dato una dimostrazione certa circa la disponibilità di una provvista non reddituale al momento dell’acquisto dell’appartamento, con ciò assolvendo all’onere probatorio che le era richiesto. Spettava quindi alla parte pubblica controdedurre circa la non rilevanza dei documenti acquisiti in giudizio, esponendo i motivi per i quali la comprovata disponibilità di una provvista non reddituale non sarebbe stata di per sé sufficiente a dimostrare che l’acquisto non sarebbe avvenuto mediante somme non dichiarate e, quindi, non tassate” (controric., p. 5). A questi rilievi, proposti dagli odierni ricorrenti, non ha ritenuto di replicare l’Amministrazione finanziaria.

3.2. Tanto premesso, la problematica in contestazione in questo giudizio è già stata sottoposta all’esame di questa Corte di legittimità, ed a seguito di alcune pronunce che presentavano elementi di contrasto, si è formato un orientamento giurisprudenziale condivisibile, ed al quale si intende pertanto assicurare continuità. Era stato infatti affermato, in un senso, che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alle spese per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa, a carico del contribuente, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 6, vigente ratione temporis, riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte e non anche la dimostrazione del loro impiego negli acquisti effettuati, in quanto la prima circostanza è idonea, da sola, a superare la presunzione dell’insufficienza del reddito dichiarato in relazione alle spese sostenute”, Cass. sez. V, 19.3.2014, n. 6396. Quasi contemporaneamente, era stato però anche sostenuto che “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, non riguarda la sola disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’essere stata la spesa per incrementi patrimoniali sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non già con qualsiasi altro reddito (dichiarato)”, Cass. sez. V, 20.3.2009, n. 6813 (invocata dalla ricorrente, ric., p. 7).

3.2.1. La giurisprudenza di legittimità si è quindi consolidata nell’affermare che “in tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto, è onerato della prova contraria sulla loro disponibilità, sull’entità degli stessi e sulla durata del possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. (La S.C., in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata che aveva accolto il ricorso del contribuente limitandosi a prendere atto delle disponibilità liquide derivanti dalla cessazione di due imprese riconducibili allo stesso, senza verificare l’effettivo transito di dette disponibilità su conti correnti a lui riferibili negli anni nei quali erano stati individuati gli incrementi patrimoniali posti a fondamento dell’accertamento)”, Cass. sez. VI-V, 13.11.2018, n. 29067 (evidenza aggiunta, conf. Cass. sez. VI-V, 23.3.2018, n. 7389);

Questa Corte di legittimità non ha, inoltre, mancato di specificare che “in tema di accertamento sintetico del reddito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, ove il contribuente deduca che la spesa sia il frutto di liberalità o di altra provenienza, la relativa prova deve essere fornita con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento, pur non essendo lo stesso tenuto, altresì, a dimostrare l’impiego di detti redditi per l’effettuazione delle spese contestate, attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica.”, Cass. sez. VI-V, 28.3.2018, n. 7757.

3.3. Risultando in questo giudizio pacifico che il contribuente disponeva, all’epoca dell’acquisto dell’immobile, di somme sovrabbondanti, pari ad oltre 900.000,00 Euro, di cui neppure è contestata la regolare sottoposizione ai tributi di legge, per finanziare un acquisto immobiliare dell’importo di Euro 405.000,00, occorre pertanto verificare se la circostanza sia da ritenersi presuntivamente idonea a dimostrare la possibile utilizzazione proprio di questi fondi, il cui possesso è incontestato, per finanziare l’acquisto.

In proposito la Corte di legittimità ha già avuto l’opportunità di statuire condivisibilmente, in una fattispecie che presenta evidenti elementi di analogia, che “in tema di accertamento sintetico, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 6, non è sufficiente la dimostrazione, da parte del contribuente, della disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che tali redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, deve essere fornita quella delle circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha annullato l’impugnata decisione per aver ritenuto la documentazione bancaria prodotta in appello dal contribuente dimostrativa della mera disponibilità della linea di credito concessagli, dovendosi intendere, invece, la stessa sintomatica del suo utilizzo nei periodi in contestazione), Cass. sez. VI-V, 10.7.2018, n. 18097.

Sussistono pertanto le condizioni per ritenere che la decisione adottata dalla Ctr risulti conforme al diritto applicabile ed all’interpretazione dello stesso fornita dalla Suprema Corte, in considerazione dei rilievi che precedono.

I motivi di ricorso proposti dall’Amministrazione finanziaria risultano pertanto infondati, e devono essere rigettati.

4. Le spese di lite seguono l’ordinario criterio della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo, in considerazione della natura delle questioni esaminate e del valore della controversia.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, e non risulta perciò dovuto, da parte della ricorrente, il pagamento del c.d. doppio contributo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, che condanna al pagamento delle spese di lite in favore dei costituiti contribuenti, e le liquida in complessivi Euro 3.500,00, oltre 15% per spese generali, Euro 200,00 per esborsi, ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

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