Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6387 del 16/03/2010

Cassazione civile sez. II, 16/03/2010, (ud. 26/10/2009, dep. 16/03/2010), n.6387

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33432/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

Z.P.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 912/2005 del GIUDICE DI PACE di ANCONA

18/11/05, depositata il 30/11/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/10/2009 dal Consigliere Relatore Dott. IPPOLISTO PARZIALE;

nessuno è presente per le parti;

è presente il P.G. in persona del Dott. ANTONIETTA CARESTIA, che si

riporta alle conclusioni scritte.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Ministero dell’Interno impugna la sentenza del giudice di pace di Ancona n. 912 del 2005, depositata il 30 novembre 2005, con la quale veniva accolta l’opposizione proposta dall’odierno intimato, Z.P., avverso il verbale di contestazione n. (OMISSIS) della Polizia Stradale di Ancona del (OMISSIS) con il quale gli veniva comminata una sanzione amministrativa pecuniaria per la violazione dell’art. 142 C.d.S., comma 8, per aver superato la velocità consentita, violazione accertata mediante apparecchiatura autovelox modello 104/C2.

L’opponente a sostegno del ricorso deduceva l’inattendibilità della rilevazione della velocità a mezzo di apparecchiatura non sottoposta alla procedura di taratura.

Il giudice di pace con la sentenza impugnata affermava che “è evidente che le risultante dell’autovelox di cui è causa, sprovvisto di regolare certificato di taratura sit, sono inattendibili, in quanto non vi è garanzia che la velocità segnalata di 96 km l’ora corrisponda a quella effettivamente tenuta dal ricorrente”.

Parte ricorrente articola un unico motivo di ricorso col quale lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 273 del 1991, dell’art. 45 C.d.S., e art. 142 C.d.S., comma 6, nonchè degli artt. 192 e 345 del relativo regolamento di esecuzione.

Nessuna attività in questa sede ha svolto l’intimato.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale invia requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, conclude con richiesta di accoglimento del ricorso per la sua manifesta fondatezza.

La richiesta della Procura Generale può essere accolta.

In ordine al motivo di ricorso con il quale si deduce l’inaffidabilità dello strumento utilizzato per non essere stato sottoposto alla ritenuta necessaria preventiva e periodica taratura, questa Corte ha già avuto modo di occuparsi di tale problematica di recente con la sentenza n. 29333 del 2008, che ha diffusamente esaminato la questione anche sotto il profilo della costituzionalità della normativa vigente.

A tale fine si riportano sinteticamente i punti significativi di tale decisione, i cui principi risultano applicabili anche all’odierno ricorso. La disciplina legale delle misurazioni – a partire dal T.U. delle leggi sui pesi e le misure approvato con R.D. 23 agosto 1890, n. 7088, cui fece seguito il regolamento sul servizio metrico approvato con R.D. 31 gennaio 1909, n. 242, entrambi successivamente più volte aggiornati ed integrati, in particolare dalla L. 13 dicembre 1928, n. 2886, sulla definizione delle unità legali di peso e di misura – ha sempre avuto quale specifica finalità quella di regolare rapporti di carattere essenzialmente privatistico inerenti l’industria, l’agricoltura, il commercio ed, indirettamente, il pubblico interesse alla certezza nelle transazioni commerciali in genere e già allora, laddove si rese necessaria la regolamentazione di materie particolari implicanti interessi od esigenze difformi o non suscettibili d’essere ricondotti alla disciplina generale, il legislatore intervenne con normative ad hoc in deroga, od in aggiunta, a quella generale (cfr. ad ex. L. 7 luglio 1910, n. 480, sul carato metrico, la L. 5 febbraio 1934, n. 305, sul titolo dei metalli preziosi, il D.Lgs. 21 marzo 1948, n. 370, sulle unità fotometriche ed elettriche). Le medesime finalità risultano perseguite dalla normativa comunitaria di base (cfr. il preambolo alla Direttiva 80/181/CEE del Consiglio in data 20.12.1979 per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri, relative alle unità di misura laddove, tra l’altro, si considera “… che le legislazioni degli Stati Membri che prescrivono l’impiego di unità di misura differiscono da uno Stato Membro all’altro e pertanto ostacolano le transazioni commerciali; che, di conseguenza, per eliminare detti ostacoli è necessario armonizzare le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative;… che in data 18 ottobre 1971 il Consiglio ha adottato la Direttiva 71 /354/CEE intesa ad armonizzare le legislazioni degli Stati Membri alfine di eliminare gli ostacoli negli scambi mediante approvazione a livello comunitario del sistema internazionale delle unità;… che, durante il periodo transitorio, è indispensabile mantenere una situazione chiara in materia di impiego di unità di misura negli scambi tra gli Stati Membri, in particolare allo scopo di proteggere il consumatore;…”; ed ancora il preambolo della Direttiva 1999/103/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio in data 24.1.2000, laddove, tra l’altro, si considera “… che taluni paesi terzi non accettano nei propri mercati i prodotti le cui indicazioni sono apposte unicamente nelle unità legali stabilite dalla Direttiva 80/181/CEE; le imprese che esportano i loro prodotti in tali paesi si troverebbero in una situazione di svantaggio qualora si vietasse l’apposizione di indicazioni supplementari…”); alla quale sono seguiti adattamenti, anche in funzione di singole materie e dell’entrata in vigore, pur sempre rimanendo nel medesimo ambito d’interessi, ma sono state anche aggiunte disposizioni intese a disciplinare settori in origine non presi in considerazione ed implicanti interessi diversi e specifici (quale quello sanitario di cui alla Direttiva 85/1/CEE del Consiglio in data 18.12.1984).

E’ da notare che la più recente delle Direttive in materia, la 2004/22/CE del 31 marzo 2004, elenca specificamente, all’art. 1, gli strumenti nella stessa specificamente considerati, tra i quali non sono ricompresi i misuratori di velocità, onde, ad oggi, non essendo state emanate Direttive comunitarie in materia, il controllo CEE non può ancora essere attuato su tali dispositivi che, in tutti i Paesi Membri, vengono allo stato approvati e disciplinati secondo le rispettive normative nazionali (unica eccezione è data dalla disciplina dei cronotachigrafi, soggetti allo specifico regolamento CEE n. 3821/85 del 20.12.1985, come modificato dal Regolamento CE n. 2135/98 del 24.11.1998 e dal Regolamento CE n. 561/06 del 15.3.06, ai quali l’ordinamento italiano è stato adeguato con D.M. 10 agosto 2007, del Ministero dello Sviluppo Economico, normative che riflettono anch’esse, significativamente, esigenze riferite più all’aspetto so ciò – commerciale delle finalità perseguite nel settore dei trasporti su strada che non a quello attinente alla viabilità ed ai connessi problemi di sicurezza).

In buona sostanza, non esistono, allo stato, norme comunitarie vincolanti in materia di misurazione della velocità dei veicoli e di pertinenti apparecchiature.

Al qual riguardo si deve considerare che, contrariamente a quanto a volte sostenuto dalle parti interessate e da alcuni giudici del merito, non è vincolante la normativa UNI EN 30012 (Sistema di Conferma Metrologica di Apparecchi per Misurazioni) che, in assenza di leggi o regolamenti di recepimento, rappresenta unicamente un insieme di regole di buona tecnica, impropriamente definite “norme”, alle quali, in assenza di obblighi giuridici, i costruttori decidono autonomamente di conformarsi; così come non è direttamente applicabile la raccomandazione OIML R91 del 1990 (“Apparecchiature Radar per la Misura della Velocità dei Veicoli”), peraltro non attinente al caso di specie in quanto relativa alle apparecchiature radar.

Il legislatore italiano, nell’adeguarsi alla surrichiamata normativa Europea sul riavvicinamento delle singole legislazioni in materia di unità di misura, con la Legge Delega 9 febbraio 1982, n. 42, il D.P.R. 12 agosto 1982, n. 802, la L. 11 agosto 1991, n. 273, il D.M. Attività Produttive 10 dicembre 2001, (nella cui intestazione è significativamente indicato “materia: commercio”), ha adeguato l’ordinamento interno a quello comunitario perseguendo le medesime finalità. Le quali, all’evidenza, sono del tutto diverse da quelle perseguite con il porre la disciplina dell’utilizzazione delle vie di comunicazione e dei mezzi di trasporto, le cui norme sono intese alla tutela dei diversi interessi, pubblico e privato, alla sicurezza della circolazione, in funzione dell’ordine pubblico, della preservazione dell’integrità fisica degli individui, della conservazione dei beni. Occorre rilevare ancora che la materia dell’impiego e della manutenzione dei misuratori di velocità ha una propria disciplina, specifica rispetto alle norme che regolamentano gli altri apparecchi di misura, contenuta nel D.M. 29 ottobre 1997, relativo all’approvazione dei prototipi delle apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità e alle loro modalità di impiego, il cui art. 4 stabilisce che “gli organi di polita stradale interessati all’uso delle apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità sono tenuti a rispettare le modalità di installazione e di impiego previste nei manuali d’uso”, escludendo, perciò, la necessità di un controllo periodico finalizzato alla taratura dello strumento di misura se non è espressamente richiesto dal costruttore nel manuale d’uso depositato presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti al momento della richiesta di approvazione, ovvero nel decreto stesso di approvazione.

Si noti, infine, che alcuni tipi d’apparecchi di più recente approvazione in quanto da utilizzarsi in modalità automatica, cioè senza la presenza ed il diretto controllo dell’operatore di polizia stradale nelle ipotesi espressamente previste e consentite, devono essere sottoposti ad una verifica periodica tendente a valutare la corretta funzionalità dei meccanismi di rilevazione che, secondo le disposizioni del richiamato D.M. 29 ottobre 1997, art. 4, deve essere effettuata a cura del costruttore dell’apparecchio o di un’officina da questo abilitata con cadenza al massimo annuale.

Ne risulta, dunque, un complesso sistema di controlli – preventivi, in corso d’utilizzazione e successivi – tale da garantire il cittadino assoggettato all’accertamento sia in ordine alla legittimità dell’azione amministrativa, sia in ordine a possibili disfunzioni delle apparecchiature che possano incidere sul suo diritto di difesa.

I controlli preventivi si svolgono, come da riportata disciplina, in fase d’omologazione od approvazione del prototipo e, considerata la partecipazione al procedimento d’organi tecnici e d’istituti specializzati, non sembra possano sollevarsi dubbi al riguardo.

Si svolgono altresì, in fase d’utilizzazione del singolo apparecchio, da parte degli agenti operatori all’atto della sua predisposizione per le operazioni di rilevamento, in ossequio alle disposizioni impartite con D.M. 29 ottobre 1997, relativo all’approvazione di prototipi di apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità e alle loro modalità di impiego, il cui art. 4 stabilisce che “gli organi di polita stradale interessati all’uso delle apparecchiature per l’accertamento dell’osservanza dei limiti di velocità sono tenuti a rispettare le modalità di installazione e di impiego previste nei manuali d’uso”.

Il Giudice di Pace non si è attenuto a tali principi.

Il ricorso va accolto e il provvedimento impugnato cassato.

Sussistendone i presupposti, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., questa Corte può pronunciare sul merito, rigettando l’opposizione originariamente proposta.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, mentre per il giudizio di merito non vi è luogo a provvedere non avendo l’Amministrazione, rappresentata in quella sede da personale amministrativo, chiesto e documentato la refusione delle spese vive.

PQM

LA CORTE accoglie ricorso, cassa senza rinvio il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione originariamente proposta dall’intimato.

Condanna la parte intimata alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 400,00 Euro per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2010

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