Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6383 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/03/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 06/03/2020), n.6383

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22677-2018 proposto da:

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL COLLE DI

SANT’AGATA 4, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA SCANDALE,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO ZEPPOLA;

– ricorrente –

contro

FENIX SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1672/2018 del TRIBUNALE di TARANTO, depositata

il 13/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

Fatto

RILEVATO

che:

M.F. ricorre, formulando tre motivi, per la cassazione della sentenza del Tribunale di Taranto n. 1672/2018, pubblicata il 13 giugno 2018. Nessuna attività difensiva è svolta dai resistenti.

Il ricorrente espone in fatto di aver convenuto in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Taranto, l’Hotel Fenix S.r.l. nonchè Unipolsai S.p.a., per chiederne la condanna in solido al risarcimento dei danni fisici, quantificati nella somma di Euro 4.092,67 ovvero in quella nei limiti di competenza del giudice adito, occorsigli il 23 novembre 2014, allorchè cadeva, mentre era intento a scendere le scale dell’hotel.

Sia il Giudice di primo grado, con sentenza n. 4022/2015, sia il Tribunale di Taranto, quale giudice di appello presso cui l’odierno ricorrente aveva impugnato la decisione di prime cure, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, rigettavano la domanda e regolavano, in virtù del principio di soccombenza, le spese di lite.

In particolare, il Tribunale di Taranto confermava che non vi era prova della causa effettiva della caduta che M.F. attribuiva al mal posizionamento della moquette che rivestiva la scala dell’hotel, riteneva che l’unico teste, la moglie della vittima, avesse reso una descrizione dell’incidente non attendibile e deduttiva e che persino il danneggiato, il quale non aveva negato che l’illuminazione presente gli permetteva di vedere adeguatamente, non era stato in grado di riferire circa la anomalia di posa della moquette ed aveva descritto l’incidente in questo modo “nello scendere le mie scarpe di gomma facendo attrito con la moquette mi hanno procurato uno sbilanciamento in avanti e quindi sono caduto”. Confermava, quindi, la decisione di rigetto della domanda risarcitoria, per difetto di prova della causa della caduta, apparendogli “per di più la stessa riconducibile ad una disattenzione dell’appellante nel discendere le scale”; accoglieva l’eccezione di carenza di legittimazione passiva di UnipolSai, data l’assenza tanto di un rapporto contrattuale tra la vittima e la compagnia assicuratrice quanto di una disposizione normativa che attribuisse al danneggiato azione diretta nei confronti della Impresa di Assicurazioni. Poneva le spese del giudizio di appello a carico dell’odierno ricorrente.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2051 c.c. e all’art. 115, comma 1, all’art. 116 c.p.c., e all’art. 164 c.p.c., comma 5.

Il ricorrente sostiene che il Tribunale di Taranto abbia erroneamente deciso la controversia, ravvisando la ricorrenza del caso fortuito, sebbene esso non fosse mai stato eccepito e dedotto dalla controparte, ed omettendo, ex adverso, di considerare esposto e provato che il fatto generatore del danno era da individuarsi nei vizi di progettazione e di esecuzione imputabili all’albergo e nell’omessa manutenzione dello stesso.

Erroneamente il giudice a quo avrebbe attribuito alla testimonianza resa dalla moglie contenuto deduttivo, senza considerare la sua dichiarazione affermativa, allorquando aveva dichiarato “mio marito è inciampato nella predetta moquette ed è caduto sul lato sinistro”, ed altrettanto erroneamente l’avrebbe ritenuta inattendibile, poichè non lo avrebbe direttamente visto inciampare, pur avendo dichiarato di aver veduto la dinamica dell’evento, perchè era presente.

Peraltro, il CTU aveva concluso il proprio accertamento, dichiarando che le lesioni riportate dal danneggiato apparivano compatibili con la dinamica del sinistro (caduta sulle scale).

1.1. Il motivo, là dove denuncia la violazione dell’art. 2051 c.c., oltre a risultare formulato in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, giacchè non è nemmeno indicato se e dove la domanda fosse stata prospettata, adducendo l’assenza del passamano e di uno scivolo per il bagaglio, non risulta in alcun modo supportata da un’argomentazione difensiva: il ricorrente si limita ad assumere che sia il primo che il secondo giudice non avrebbero sussunto la fattispecie sotto l’art. 2051 c.c., ma: a) non solo contraddittoriamente asserisce (pag. 5) che i giudici di merito avrebbero invece sussunto la vicenda sotto il fortuito, il che implicherebbe sempre una riconduzione della fattispecie proprio all’art. 2051 c.c.; b) nemmeno individua quale sia la motivazione con cui il giudice di secondo grado non avrebbe proceduto a detta sussunzione.

Ne deriva che il motivo non contiene alcuna attività assertiva della dedotta violazione di norma di diritto.

Per il resto, l’evocazione di 115 e 116 c.p.c. non è fatta secondo i criteri indicati da Cass. 10/06/2016, n. 11892, costantemente ribaditi dalla nostra giurisprudenza e confermati, in motivazione non massimata, da Cass., Sez. Un., 05/08/2016 n. 16598. Costituisce ius receptum che perchè si configuri un motivo integrante la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario che venga denunciato che il giudice non ha posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè che abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, dichiarando di non doverla osservare o giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.). E’ pacifico che detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”.

Ne consegue che la vera natura del motivo risulta diretta a sollecitare un riesame della quaestio facti al di fuori di quanto consentito dal nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” – secondo la nota lettura datane da questa Corte, a Sezioni Unite, con la pronuncia del 22/09/2014, n. 19881; e ciò è riconosciuto persino dal ricorrente, là dove dice che ” dunque, vi è stato un cattivo governo delle fonti di prova ” (pag. 7).

2. Con il secondo motivo il ricorrente imputa alla sentenza gravata la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c..

La tesi del ricorrente è che il Tribunale di Taranto abbia pronunciato oltre i limiti della domanda, allorchè aveva rilevato la presenza del caso fortuito, giacchè l’accidentalità dell’evento non era stata dedotta nè emergeva da alcuna prova che parte convenuta avrebbe dovuto fornire.

Va rilevato che viene imputata al Tribunale una violazione dell’art. 112 c.p.c. in modo assolutamente generico, là dove dice che non era stata dedotta dalla controparte la ricorrenza del caso fortuito ed evoca una deduzione fatta con l’atto di appello che risulta del tutto sfornita priva di specificazione.

Il che non basta a ritenere integrato il lamentato il vizio di ultrapetizione, dovendosi ricordare che tale vizio ricorre solo quando il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili di ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato; mentre al di fuori di tali specifiche previsioni il giudice, nell’esercizio della sua potestas decidendi (anche riguardo alla interpretazione della domanda), resta libero non solo d’individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle all’uopo prospettate, ma anche di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della controparte, la presenza o la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva od estintiva di una data pretesa della parte, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (Cass. 20/08/2003, n. 12265; Cass. 22/03/2007 n. 6945).

3. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente censura la sentenza gravata per violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 2051 c.c..

La causa dell’incidente, nella prospettazione di M.F., non avrebbe dovuto ravvisarsi nella sua disattenzione, ma nell’assenza di passamano e di scivolo per bagagli; pertanto, il giudice avrebbe omesso di considerare l’assenza e/o l’inadeguatezza di misure di sicurezza o di segnalazione di pericolo da parte del custode-gestore nonchè il mancato esercizio da parte del medesimo dei poteri di vigilanza che gli competevano.

Il terzo motivo evoca una dichiarazione del ricorrente concernente l’assenza di passamano e di scivolo per bagaglio come determinativa della caduta, imputando al Tribunale di Taranto di non averla valutata, ma, in disparte che non si dice in che sede essa sarebbe stata fatta, così violando l’art. 366 c.p.c., n. 6, non è dato comprendere, trattandosi di dichiarazione pro se che rilievo potesse avere e, soprattutto, non è chiarito come e perchè dovrebbe evidenziare, quando pure la circostanza fosse vera, la violazione dell’art. 2051 c.c., che risulta affermata in modo meramente assertorio.

4. La memoria, con cui assertivamente e lapidariamente il ricorrente insiste per l’accoglimento del ricorso, non offre argomenti per discostarsi da quanto rilevato.

5. In definitiva, il ricorso è inammissibile.

6. Nulla deve essere liquidato per le spese, non essendo stata svolta alcuna attività difensiva da parte dei resistenti.

7. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla deve essere liquidato per le spese, non avendo i resistenti svolto alcuna attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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