Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6382 del 06/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 06/03/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 06/03/2020), n.6382

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21710-2018 proposto da:

T.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI

209, presso lo studio dell’avvocato CESARE CARDONI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO CONTICELLI;

– ricorrente –

contro

FAMAR SNC DI F.F. & M.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 68/2018 del TRIBUNALE di VITERBO, depositata

il 15/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARILENA

GORGONI.

Fatto

RILEVATO

che:

T.R. ricorre avverso la sentenza n. 68/2018 del Tribunale di Viterbo, depositata e resa pubblica il 15 gennaio 2018, formulando tre motivi. Nessuna attività difensiva è svolta dalla società intimata.

Il ricorrente espone in fatto di essere stato condannato dal Giudice di Pace di Viterbo, in accoglimento della domanda proposta da Famar S.n.c. di F.F. & M.P., da cui aveva noleggiato un autoveicolo industriale perito in un incendio, a pagare a titolo risarcitorio la somma di Euro 3.600,00, oltre agli interessi e alla rifusione delle spese di lite, in adempimento di quanto previsto dall’art. 10.3 del contratto di noleggio.

La decisione era stata impugnata dall’odierno ricorrente dinanzi al Tribunale di Viterbo, per violazione dell’art. 291 c.p.c., avendo il Giudice di prime cure omesso di effettuare le necessarie verifiche in ordine alla regolare instaurazione del contraddittorio. Tanto perchè la domanda risarcitoria era stata preceduta dalla notifica di un atto di citazione del 4 gennaio 2013, con cui T.R. era stato invitato a comparire finanzi al Tribunale adito con l’indicazione dell’Ufficio giudiziario del Tribunale di Viterbo, presso il quale il procedimento non risultava iscritto.

Nel merito, l’appellante eccepiva l’insussistenza negli atti di causa degli elementi necessari a determinare la somma dovuta e contestava la decisione in merito al cumulo di rivalutazione ed interessi.

Il Tribunale di Viterbo, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnazione, rigettava il gravame e regolava le spese di lite, ponendole a carico dell’appellante.

Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere il giudice d’appello ritenuto che fossero state formulate solo generiche asserzioni in merito alla mancata verifica da parte del Giudice di pace dei requisiti legittimanti la declaratoria di contumacia e che nulla fosse stato addotto e dimostrato relativamente alla nullità della notificazione dell’atto di citazione in rinnovazione.

La tesi del ricorrente è che, al contrario di quanto affermato dal giudice a quo, egli avesse specificamente contestato la validità della notificazione dell’atto di citazione in rinnovazione perchè, dopo l’ordine giudiziale di rinnovazione della prima notifica, la seconda era stata effettuata consegnandogli una copia conforme dell’atto di citazione già utilizzato per l’iscrizione a ruolo, recante erronea indicazione dell’Ufficio giudiziario adito e, quindi, anch’esso nullo per assoluta incertezza del requisito richiesto dall’art. 163 c.p.c., n. 1, così come previsto dall’art. 164 c.p.c., comma 1.

2. Con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente imputa al giudice a quo la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, con particolare riferimento all’art. 345 c.p.c..

Il ricorrente assume di avere debitamente e tempestivamente censurato la decisione con cui il Giudice di Pace aveva parametrato la franchigia al valore del bene assicurato al momento della stipulazione del contratto di assicurazione piuttosto che al momento del sinistro e lamenta che il giudice non abbia chiesto la produzione in giudizio del contratto di assicurazione al fine di verificare se la franchigia fosse quella assoluta o quella relativa prima di determinare la somma da porre a suo carico: somma che erroneamente, quindi, sarebbe stata conteggiata nella misura del 20% del valore dell’automezzo indicato nel contratto. La tempestività deriverebbe, ad avviso del ricorrente, dal fatto che le mere difese – cioè tutte quelle considerazioni che non sono volte, come le eccezioni in senso stretto, a paralizzare la pretesa della controparte, introducendo fatti modificativi, estintivi e impeditivi del diritto vantato dall’attore, ma a sollecitare l’esercizio dei poteri di ufficio – non incorrono nel divieto di ius novorum consacrato dall’art. 345 c.p.c. Perciò, il Tribunale di Viterbo gli avrebbe precluso l’esercizio di un’attività difensiva, per effetto di una non corretta applicazione dell’art. 345 c.p.c..

3. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente invoca la nullità della sentenza o del procedimento, nella forma sintomatica della violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere il giudice a quo omesso di pronunciarsi sulla domanda con cui aveva chiesto la riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva disposto il cumulo di rivalutazione monetaria ed interessi – domanda riportata nel ricorso al fine di soddisfare il principio di autosufficienza -.

4. Mette conto rilevare, in primo luogo, che l’esposizione del fatto è gravemente carente, in quanto il ricorrente si limita a riferire della vicenda relativa all’introduzione della lite quanto alla notificazione della citazione introduttiva, ma omette: a) di indicare le ragioni della domanda proposta; b) di riferire dello svolgimento del giudizio di primo grado; c) di indicare le ragioni della decisione, dato che non va oltre il richiamo della condanna al pagamento della somma di Euro 3.000,00 oltre ad accessori che dice dovuta in ragione di un non meglio specificato sinistro e di non meglio giustificato “adempimento” di quanto previsto da un contratto di noleggio.

Se ne conclude che il ricorso non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato da tale norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che sia capace di garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., Sez. un., 18/05/2006 n. 11653). La prescrizione del requisito risponde, infatti, non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., Sez. Un., 20/02/2003 n. 2602). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

5. In via gradata, va osservato che con il primo motivo, pur dolendosi della violazione di una norma del procedimento, in quanto censura il non essere stato esaminato un fatto concernente un atto processuale, invece di evocare l’art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente si avvale erroneamente della categoria logica di cui al n. 5, che non è rilevante nel caso di vizi ai sensi di quel paradigma, atteso che nel suo ambito è denunciabile anche l’omesso esame da parte del giudice di merito della situazione fattuale inerente l’attività processuale riguardo alla quale si deduce la violazione della legge processuale.

6. Pur correggendo l’errore di sussunzione, riconducendo, quindi, il vizio denunciato all’art. 360 c.p.c., n. 4, in applicazione dei principi enunciati da Cass., Sez. Un., 24/07/2003 n. 17931, non può farsi a meno di rilevare che il Tribunale di Viterbo ha esaminato il fatto processuale rappresentato dal tenore dell’atto di rinnovazione della citazione effettuato su ordine del Giudice di pace e pure le conseguenze che quel giudice ebbe a trarne, allorchè dichiarò la contumacia dell’attuale ricorrente, affermando che a rilevare, in definitiva, era che non risultava dimostrata alcuna nullità.

Ora, l’illustrazione del motivo, dopo avere riprodotto il contenuto dell’appello, quello della difesa avversaria e quello della conclusionale, conclude (pag. 14) che il fatto di cui il giudice a quo avrebbe omesso la considerazione sarebbe stato la nullità dell’atto di citazione in rinnovazione per “assoluta incertezza del requisito di cui all’art. 163 c.p.c., n. 1, così come previsto dall’art. 164 c.p.c., comma 1”: senonchè, la stessa lettura della riproduzione dell’appello evidenzia che tale nullità non era stata affatto dedotta, in quanto il ricorrente, dopo avere riferito che la citazione in rinnovazione aveva in epigrafe l’indicazione dell’ufficio giudiziario del Giudice di pace e “recava l’invio a comparire davanti al “tribunale adito” e, dopo avere affermato trattarsi di una “frase che di per sè potrebbe anche essere ritenuta priva di significato (…) se la sua notifica non fosse stata (…)”, non formulava alcuna attività assertiva della nullità, che predica in chiusura del motivo in esame, ma ragionava di mancanza di prova della notifica. Va aggiunto che nemmeno nella riproduzione della conclusionale, che succede, come s’è detto, a quella della difesa avversaria, si ragiona di nullità della citazione.

Ne deriva che il motivo deduce l’omesso esame di un fatto processuale, di cui non è stato provato che il Giudice d’Appello fosse stato investito. Sicchè l’assunto del Tribunale circa il non essere stato dimostrato nulla in merito alla nullità della citazione in rinnovazione risulta corretto.

Tanto si rileva non senza rimarcare che la situazione descritta circa l’atto di rinnovazione non evidenziava alcuna incertezza relativamente al requisito dell’art. 163 c.p.c., n. 1, atteso che all’esattezza della intestazione faceva riscontro una generica indicazione del ” tribunale ” che si rivelava inidonea a determinare incertezza, tanto che nell’appello lo stesso ricorrente, come si è visto, pretendeva di dedurla aliunde, cioè dall’atto precedentemente notificato e non iscritto.

Va aggiunto che il ricorrente non ha nemmeno dedotto se l’atto in rinnovazione non recasse l’indicazione di essere un atto in rinnovazione e/o se difettasse di altri riferimenti alla pendenza del giudizio davanti al Giudice di pace ed al suo ordine di rinnovazione.

7. Il secondo ed il terzo motivo risultano inammissibili, perchè prospettano questioni inerenti al contratto assicurativo, le quali, in ragione della rilevata carenza dell’esposizione del fatto, restano incomprensibili, tanto più in relazione alla motivazione della sentenza impugnata.

8. La memoria depositata dal ricorrente riproduce le argomentazioni difensive già spese con il ricorso, soprattutto relativamente al primo motivo, e non offre quanto agli altri argomenti efficaci per discostarsi da quanto rilevato.

9. In conclusione, il ricorso è inammissibile.

9. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla liquida per le spese, non essendo stata svolta attività difensiva in questa sede da parte della società resistente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2020

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