Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6370 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2022, (ud. 29/10/2021, dep. 25/02/2022), n.6370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 106/2021 R.G. proposto da:

U.S., cittadino nigeriano nato il (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la

cancelleria della Corte di cassazione rappresentato e difeso dagli

Avv.ti Aresi e Seregni, giusta procura speciale a margine del

ricorso per cassazione;

– ricorrente –

nei confronti di:

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Milano emesso il 10 giugno 2020

nel procedimento n. R.G. 44549/2018;

sentita la relazione in camera di consiglio del relatore consigliere

Dott. Di Marzio Mauro.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. – Con ricorso del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, U.S., cittadino nigeriano nato a (OMISSIS), il (OMISSIS), ha adito il Tribunale di Milano impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

2. – Nel richiedere la protezione internazionale il ricorrente riferiva di aver lasciato il suo Paese per timore di esser ucciso dai cultisti della setta segreta Amorc, in quanto si era rifiutato di entrare a farne parte, nonostante fosse obbligato a subentrare al padre, che ne era membro.

3. – Il Tribunale ha ritenuto che non fosse credibile il racconto del ricorrente, e che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria richiesta, avuto riguardo anche alla situazione generale della Nigeria, descritta con l’indicazione delle fonti di conoscenza, ed in assenza di indici di vulnerabilità in capo al ricorrente.

4. – Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione U.S., svolgendo due motivi.

5. – L’intimata Amministrazione dell’Interno non ha svolto difese, limitandosi al depositato di un atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

6. – I motivi sono così rubricati:

“1. Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8”, censurando il decreto impugnato per non aver valutato il periodo di permanenza del ricorrente nei paesi in cui era transitato e le ragioni che lo avevano indotto a fuggire anche dalla Libia.

“2. Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 14”, censurando il decreto impugnato per aver ritenuto non credibile la narrazione del richiedente senza soffermarsi sul necessario approfondimento istruttorio.

RITENUTO CHE:

7. – Il ricorso è inammissibile.

7.1. – E’ inammissibile il primo mezzo: esso fa riferimento al transito del richiedente dalla Libia, senza tuttavia che i caratteri di detto transito, del quale il provvedimento impugnato non parla, risultino in alcun modo illustrati. Sicché il motivo non è autosufficiente.

Difatti, il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere accordato automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti in un paese di transito; può esserlo soltanto se tali violenze per la loro durata, per la loro gravità o per la durevolezza dei loro effetti abbiano reso il richiedente “vulnerabile”, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5. Ne consegue che è onere del richiedente allegare e provare come e perché le vicende avvenute nel paese di transito lo abbiano reso vulnerabile; in difetto di tale prova resta irrilevante, ai fini del rilascio della invocata protezione, la circostanza che nel Paese di transito si commettano violazioni dei diritti umani (Cass. 28781/2020).

7.2. – E’ inammissibile il secondo mezzo.

In materia di protezione internazionale, il giudizio sulla credibilità del racconto del richiedente, da effettuarsi in base ai parametri, meramente indicativi, forniti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti – oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa -spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il fatto storico non valutato, il dato testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua decisività per la definizione della vertenza (Cass. 2 luglio 2020, n. 13578). Dunque, in caso di giudizio di non credibilità del richiedente, delle due l’una: o la motivazione è ” sotto soglia “, e allora si ricade nell’art. 360 c.p.c., n. 4; o la motivazione c’e’, e allora non resta se non sostenere che il giudice di merito, nel formulare il giudizio di non credibilità, ha omesso di considerare un fatto, che era stato allegato e discusso, potenzialmente decisivo, per il fine della conferma della credibilità.

Nel caso in esame: a) il giudizio di non credibilità è sostenuto da una motivazione senz’altro eccedente la soglia del minimo costituzionale, svolta ampiamente in particolare alle pagine 5-6 del decreto impugnato; b) il ricorrente non individua alcuno specifico fatto decisivo e controverso che il giudice di merito non avrebbe considerato, ma sostiene che il Tribunale non avrebbe valutato la situazione del cultismo in Nigeria, fenomeno, si dice in ricorso, che sarebbe esploso nell’ottobre 2020, la qual cosa riveste evidentemente per la decisione della causa interesse pari a zero, visto che il richiedente è andato via dal proprio paese il 23 gennaio 2016, e che il Tribunale ha adottato la propria decisione nella camera di consiglio del 10 giugno 2020, quando la asserita deflagrazione era ancora di là da venire. Ma, al di là di questo, la pretesa di approfondimento del fenomeno del cultismo è comunque nella specie totalmente fuori luogo, visto che il giudizio di non credibilità poggia essenzialmente sul rilievo che di detto fenomeno e delle sue implicazioni il richiedente, sentito dalla Commissione territoriale, non sapeva assolutamente nulla (“Come già rilevato dalla Commissione, il ricorrente non è stato in grado di fornire alcun dettaglio ne dell’appartenenza del padre alla setta segreta, della quale nulla conosce… né della asserita persecuzione subita dopo la morte del padre parte degli affiliati…” e così via di questo passo). E cioè il Tribunale ha rilevato la soggettiva non credibilità, per l’interna inconsistenza, della narrazione del richiedente, sicché non v’era approfondimento istruttorio da compiere utilmente. Data pubblicazione 25/02/2022 D’altronde, si rileva che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il Tribunale riporta le fonti consultate ai fini della sussidiaria lett. c a pag. 9 del decreto, e un approfondimento sul culto Amorc nella nota 2 a pag. 5 del decreto.

8. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

 

 

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