Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6369 del 21/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/03/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 21/03/2011), n.6369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8527-2007 proposto da:

A.S.L. n. (OMISSIS) di NAPOLI, in persona del legale

rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PIETRALATA 320,

presso lo studio dell’avvocato MAZZA RICCI GIGLIOLA, rappresentata e

difesa dagli avvocati MARTUCCI EDUARDO, AFELTRA FRANCESCO SAVERIO,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.S.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4424/2006 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 29/12/2006 R.G.N. 763/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2010 dal Consigliere Dott. PASQUALE PICONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. La sentenza di cui si domanda la cassazione rigetta l’appello dell’Azienda sanitaria locale Napoli (OMISSIS) e conferma la decisione del Tribunale di Torre annunziata del 15.12.2003, con la quale l’Asl era stata condannata al pagamento, in favore del dott. D.S. A. somme dovute a titolo di “compenso aggiuntivo” in relazione ai due rapporti di convenzione di medicina generale con l’Azienda, l’uno relativo all’assistenza primaria, l’altro di continuità assistenziale (ex guardia medica) e poi, dal 1997, di medicina dei servizi.

2. La Corte di appello di Napoli ritiene che si era in presenza di due diversi rapporti di lavoro e perciò la voce retributiva denominata “compenso aggiuntivo” doveva essere corrisposta per ciascuna delle convenzioni secondo le (diverse) discipline dettate per ognuna di esse dal D.P.R. n. 484 del 1996, non sussistendo divieti di cumulo e dovendosi escludere l’estensione a tale istituto retributivo della regolamentazione del diverso, e sostituito dall’1.1.1995, istituto della “quote di carovita”.

4. Il ricorso dell’Asl Napoli (OMISSIS) si articola in unico motivo; non svolge attività di resistenza il dott. D.S.A..

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1 L’unico motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 484 del 1996, art 45 e allegato; del D.P.R. n. 314 del 1990, art. 41; del D.P.R. n. 260 del 1992, art. 14; del D.P.R. n. 218 del 1992, art. 20; dell’art. 36 Cost.. Viene altresì denunziato vizio di motivazione. Si deduce, formulando in questi termini il quesito di diritto, che l’Asl aveva rispettato le disposizioni degli accordi collettivi in tema di “compenso aggiuntivo”, corrispondendo un unico compenso calcolato sommando gli importi corrispondenti a due diversi incarichi nei limiti del massimale costituito dalla somma delle quantità di ciascuna prestazione effettivamente svolta secondo il calcolo tabellare previsto da quello dei due contratti più favorevoli al medico.

2. La Corte premette che il rapporto di lavoro dedotto in giudizio ha ad oggetto una prestazione d’opera professionale autonoma, ancorchè svolta nell’ambito di una relazione cd. di “parasubordinazione”. Ai sensi della Legge Riforma Sanitaria 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48 (richiamato dalla legislazione successiva: D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 1), è riservata esclusivamente alla contrattazione collettiva, mediante accordi resi esecutivi con Decreto del Presidente della Repubblica, la disciplina uniforme del trattamento economico e normativo del personale convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale. Le clausole dei predetti accordi, siccome acquistano efficacia soltanto con l’inserimento nel decreto presidenziale, hanno natura giuridica regolamentare, con la conseguenza che l’interpretazione data dal giudice del merito agli anzidetto accordi può essere denunciata in sede di legittimità, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, norme che la Corte regolatrice sottopone pertanto a diretto esame esegetico, in base ai criteri fissati dall’art. 12 disp. att. c.c. per l’interpretazione delle leggi (Cass. Su. 20 dicembre 1993, n. 12595, e le successive decisioni conformi).

Conseguentemente è inammissibile la denuncia di vizio di motivazione, irrilevante per le controversie la cui soluzione dipende dall’applicazione di norme di diritto (Cass. 7 aprile 2010, n. 8254).

3 Nel limite precisato il ricorso è fondato, come già ritenuto dalla Corte in controversia con analogo oggetto (Cass. 31/05/2010, n. 13279.

4. E’ opportuno ricordare, ai fini di una migliore comprensione dei termini della controversia, la disciplina dettata dal D.P.R. n. 484 del 1996, art. 25 – Massimale di scelte e sue limitazioni – nella parte in cui stabilisce, al comma 4, che “nei confronti del medico che, oltre ad essere inserito negli elenchi, svolga altre attività orarie compatibili con tale iscrizione, il massimale di scelta è ridotto in misura proporzionale al numero delle ore settimanali che il medesimo dedica alle suddette altre attività”, e, al comma 5, che “ai fini del calcolo del massimale individuale per i medici soggetti a limitazioni per attività a rapporto orario compatibili si ritiene convenzionalmente che il massimale corrisponda ad un impegno settimanale equivalente a 1.500 scelte per 40 ore settimanali”. La norma, però, non concerne direttamente la questione della cumulabilità degli emolumenti corrisposti a titolo di “compenso aggiuntivo”, ma l’oggetto dell’incarico, cioè il numero degli assistiti consentiti, ovvero il numero massimo delle ore di prestazione. Il superamento del tetto massimo consentito in caso di svolgimento di altre attività orarie compatibili incide ovviamente sulla totalità dei compensi spettanti al medico convenzionato dell’assistenza primaria, escludendo il diritto in relazione agii assistititi e ore eccedenti (vedi Cass. 23 gennaio 2002, n. 735; 7 aprile 2001, n. 5220).

La soluzione della controversia dipende, invece, dall’interpretazione delle norme che disciplinano specificamente l’emolumento denominato “compenso aggiuntivo”.

5. Ai medici convenzionati con la medicina generale spettava il compenso costituito dalle “quote di carovita” e modellato sull’istituto, proprio del lavoro dipendente pubblico, dell’indennità integrativa speciale (D.P.R. 28 settembre 1990, n. 314, art. 41). Soppresso, a decorrere dal 1 gennaio 1991, il sistema automatico di adeguamento della retribuzione dei dipendenti pubblici e privati al costo della vita (L. 13 luglio 1990, n. 191, art. 1) ed emanato il D.Lgs. n. 502 del 1992 (il cui art. 8, comma 1, ha dettato i principi cui gli accordi sindacali dovevano attenersi per essere resi esecutivi dai decreti), il riassetto del sistema dei compensi spettanti ai medici convenzionati con il servizio sanitario nazionale è stato attuato, con decorrenza 1 gennaio 1995, dal D.P.R. 22 luglio 1996, n. 484, recante “Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale”. In particolare, l’istituto delle quote di carovita è stato sostituito dal “compenso aggiuntivo”, componente dei compensi fissi. Per i medici dell’assistenza primaria l’art. 45 prevede la corresponsione di un “compenso aggiuntivo” con l’attribuzione di quote mensili determinate con i criteri di cui al punto F del D.P.R. n. 314 del 1990, art. 41 e nella misura corrisposta al 30 aprile 1992 – con gli incrementi percentuali previsti con determinate decorrenze -moltiplicato per il numero delle scelte in carico al singolo medico per ciascun mese, con il tetto massimo di 1.500 scelte o della minore quota individuale.

Analogamente, per i medici addetti al servizio di “continuità assistenziale” (già di “guardia medica”) e di emergenza territoriale – per i quali i compensi sono fissati per ogni ora di attività svolta – l’art. 58, comma 4, stabilisce che il compenso aggiuntivo è corrisposto con i criteri di cui al D.P.R. n. 41 del 1991, art. 17, comma 1, lett. d), e determinato nella misura corrisposta al 30 aprile 1992. Non diversamente è disposto dal regolamento per i medici addetti alle attività della medicina dei servizi (art. 14 dell’allegato norma finale n. 2, che rinvia ai criteri di cui al D.P.R. n. 218 del 1992, art. 20, comma 1, lett. b) (b2 e b3), che sono gli stessi di quelli di cui al punto F del D.P.R. n. 314 del 1990, art. 41). La configurazione dell’istituto retributivo di cui trattasi è rimasta la stessa nelle disposizioni dettate dal successivo D.P.R. 28 luglio 2000, n. 270. La necessità di una disciplina economica distinta trova ragione nel fatto che i compensi dei medici dell’assistenza primaria vengono determinati in base al numero degli assistiti, mentre sono calcolati in base alle ore prestate per i medici convenzionati che assicurano il servizio per il numero di ore stabilito.

6. La sostituzione dell’istituto “caro-vita” con quello del “compenso aggiuntivo”, attratto nel novero dei compensi fissi dell’attività professionale e reso indipendente dalla variazione degli indici del costo della vita, ha fatto sorgere dubbi interpretativi che hanno originato numerose questioni. Ciò perchè, ai fini della disciplina del compenso aggiuntivo, le norme attributive del diritto a tale compenso rinviano, per le parti non direttamente regolate, ai “criteri” di cui al D.P.R. n. 41 del 1991, art. 17, comma 1, lett. d), (ovvero ai “criteri” di cui al D.P.R. n. 218 del 1992, art. 20, comma 1, lett. b) – b2 e b3 -, per la medicina dei servizi).

Tra questi criteri (D.P.R. n. 41 del 1991, art. 17, comma 1, lett. d, alinea d3, secondo periodo, cit.; D.P.R. n. 218 del 1992, art. 20 comma 1, lett. b, alinea b3, secondo periodo) figura l’esclusione del diritto per i medici che comunque ed a qualsiasi titolo usufruiscono di meccanismi automatici di adeguamento dei compensi al costo della vita (oltre ad una previsione specifica per i titolari di trattamento di pensione).

7. La giurisprudenza della Corte ha, con assoluta prevalenza, disatteso la tesi secondo cui il richiamo ai “criteri” di regolazione dell’indennità di carovita non vale a rendere operanti le limitazioni ivi previste per il nuovo istituto del compenso aggiuntivo, siccome il richiamo si dovrebbe intendere come circoscritto ai criteri di determinazione del quantum del compenso, stante la totale disomogeneità di natura tra quote di carovita e compenso aggiuntivo (tesi fatta propria da circolari ministeriali, nonchè condivisa dal parere del Consiglio di Stato, adunanza della Sezione prima, 12 dicembre 2001).

Si è osservato, infatti, che la formulazione letterale delle norme, nella parte in cui rinviano ai “criteri” di determinazione delle quote di carovita, senza alcuna limitazione, non consente la proposta lettura riduttiva, secondo la quale i “criteri” richiamati sarebbero solo quelli relativi al calcolo, o determinazione (determinazione in realtà operata direttamente dalla normativa istitutiva del nuovo istituto) restando estranei al richiamo le condizioni di attribuzione del compenso. I criteri in questione, infatti, non possono che essere tutti quelli precisati, pena il totale svuotamento del significato normativo del rinvio.

L’arbitrarietà della lettura riduttiva sottrae ogni fondamento logico at rilievo che le parti stipulanti l’accordo non avevano ritenuto di dettare una disciplina in materia di cumulo di indennità analoghe, atteso che la norma ha reso chiaramente applicabile nella sua interezza il regime giuridico già vigente per l’istituto delle quote di carovita, regime perfettamente compatibile con il nuovo meccanismo di incrementi, alle scadenze contrattuali, del compenso (ancorchè non più collegati all’aumento del costo della vita), restando escluso ogni profilo di carenza di regolamentazione. Una specifica disciplina, del resto, sarebbe stata del tutto superflua per il compenso aggiuntivo, atteso il rinvio che le parti hanno ritenuto di operare al regime giuridico già in atto per le quote di carovita. Nè l’interpretazione riduttiva, giudicata priva di riscontri sul piano della formulazione letterale delle norme disciplinanti il compenso aggiuntivo, potrebbe risultare suffragata da esigenze di coerenza sistematica, collegate alla natura dell’istituto del compenso aggiuntivo ed alla conformità al quadro normativo in cui si inserisce, considerata la natura autonoma del rapporto di lavoro (cui non è applicabile l’art. 36 Cost.) e che, ricondotta l’erogazione in oggetto alla categoria dei compensi fissi, ben poteva stabilirsi una limitazione, confermando, per coloro che comunque ed a qualsiasi titolo usufruiscono di meccanismi automatici di adeguamento dei compensi, la disciplina già operante per il soppresso istituto delle quote di carovita. Nessuna norma o principio, infatti, impedisce di determinare il compenso per un lavoratore autonomo attribuendo rilevanza a fatti e circostanze anche inerenti a profili puramente soggettivi ed estranee allo specifico rapporto (vedi, tra le numerose decisioni, Cass. 12 gennaio 2009, n. 397; 22 febbraio 2008, n. 4682; 3 luglio 2007, n. 15005; 19 aprile 2007, n. 9342; 8 maggio 2006, n. 10467, 13 novembre 2006, n. 24164;

con specifico riferimento alla questione del superamento dell’importo massimo spettante al sanitario con unica convenzione: Cass. 19 giugno 2008, n. 16681). E’ rimasto cosi isolato il precedente costituito da Cass. 28 febbraio 2006, n. 4412, esplicitamente non condiviso dalle decisioni successive perchè interamente argomentato sulla diversità di natura tra quote di carovita e compenso aggiuntivo, diversità certamente indiscutibile ma priva di significato per escludere che le limitazioni e condizioni già previste per la prima indennità non possano operare per la seconda indennità, stante il chiaro significato del rinvio alla disciplina già vigente per la prima. Del resto, il contrasto di giurisprudenza deve considerarsi definitivamente superato con la sentenza delle Sezioni unite della Corte 18 dicembre 2009, n. 26633, che, decidendo specificamente in ordine al misura del compenso parametrata ad un massimale orario (104 o 156), indipendentemente dal numero effettivo di ore di prestazione dei medici incaricati di continuità assistenziale, hanno confermato l’interpretazione prevalente relativa al significato del rinvio ai “criteri”, tra i quali anche quello dell’esclusione del cumulo con altre indennità di analoga derivazione dal sistema di indicizzazione al costo della vita.

8. L’intervento delle Sezioni unite della Corte, quindi, chiarisce definitivamente che, ai fini della disciplina del nuovo istituto del compenso aggiuntivo, le fonti rinviano a quella già operante per la (sostituita) indennità di carovita, ma, evidentemente, il rinvio viene operato per le parti non direttamente regolate dalla norma istitutiva del compenso aggiuntivo.

Orbene, la disposizione fondamentale concernente il nuovo istituto del compenso aggiuntivo è quella relativa alla sua attrazione nel novero dei compensi fissi, con soppressione dell’istituto dell’indennità di caro – vita, ancorata agli indici di variazione del costo della vita. Ed infatti, l’importo raggiunto da questa indennità viene “congelato” nella misura corrisposta alla data del 30 aprile 1992 e, quale “compenso aggiuntivo”, assoggettato ad incrementi periodici che nulla hanno a che fare con la variazione degli indici del costo della vita (aumenti percentuali con le decorrenze nel triennio stabilite dagli accordi collettivi recepiti in D.P.R.). Risultano, pertanto, compiutamente regolati, i profili concernenti la natura del compenso, il sistema e la decorrenza degli incrementi, cosicchè il rinvio ai “criteri” di cui al D.P.R. n. 41 del 1991, art. 17, comma 1, lett. D, non può avere ad oggetto la cadenza semestrale dell’adeguamento (alinea D1), nè la base di calcolo per l’applicazione dei criteri di cui alla L. n. 38 del 1986 e al D.P.R. n. 13 del 1986 (alinea D/2), nè le altre disposizioni incompatibili (alinea D/3, primo periodo). Ma, per altro verso, certamente il rinvio ai “criteri” di cui al D.P.R. n. 41 del 1991, art. 17, lett. d) non può essere svuotato di effettiva portata normativa e va necessariamente inteso come richiamante gli altri profili della disciplina già dettata per l’indennità di caro – vita che devono trovare applicazione per il nuovo istituto del compenso aggiuntivo.

Tra questi, il tetto massimo delle ore e l’esclusione del cumulo con altre indennità di analoga derivazione dal sistema di indicizzazione al costo della vita, che si risolvono in limiti all’obbligazione retribuiva delle aziende, limiti che si è ritenuto di conservare anche per il compenso aggiuntivo. Del resto, appare plausibile, alla stregua di una lettura sistematica della disciplina, che con l’operazione di sostituzione dell’una all’altra indennità si sia inteso mantenere gli oneri per le aziende nei limiti già fissati per la precedente indennità o comunque contenerli mediante l’operato rinvio.

9. In conclusione, il rinvio a criteri di cui al D.P.R.. n. 314 del 1990, art. 41, lett. F) (ovvero del D.P.R. n. 218 del 1992, art. 20, lett. b) comporta che si applichi al compenso aggiuntivo anche il diniego di cumulo di più trattamenti già previsto per il carovita nel caso di titolarità di più incarichi compatibili o di pensione e convenzione. Ne consegue che l’importo del compenso aggiuntivo deve essere lo stesso per i medici che raggiungono il massimale di assistiti con un unico rapporto e per quelli che lo raggiungono sommando due rapporti consentiti, sicchè l’Ausl di Napoli (OMISSIS) ha esattamente adempiuto l’obbligazione relativa al compenso aggiuntivo derivante dai due rapporti di convenzione.

10. Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto: “Il compenso aggiuntivo per i medici convenzionati con il S.s.n. per la medicina generale, secondo la disciplina dettata al D.P.R. n. 484 del 1996, art. 45, lett. e, non può superare l’importo massimo spettante al sanitario con unica convenzione, stante il divieto di cumulo dei compensi nel caso di titolarità di altri rapporti convenzionali, atteso che si applica senza limitazioni, in forza del richiamo fatto al D.P.R. n. 314 del 1990, art. 41, lett. f, il regime giuridico già vigente per l’istituto delle quote di carovita, regime perfettamente compatibile con il nuovo compenso”. L’accoglimento del ricorso in base all’enunciato principio di diritto comporta la cassazione della sentenza impugnata e la decisione nel merito della causa, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto (art. 384 c.p.c., comma 1) per ritenere infondata la pretesa creditoria azionata, con il rigetto della domanda proposta da D.S. A. contro l’Asl Napoli (OMISSIS).

11. Sussistono giusti motivi di compensazione per l’intero delle spese dei giudizi di merito e di cassazione, considerato il recente intervento delle Sezioni unite della Corte sulla materia controversa a risoluzione di questione di massima di particolare importanza e sulla quale si erano registrati interventi giurisprudenziali difformi.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta la domanda proposta da D.S.A. contro l’Asl Napoli (OMISSIS); compensa per l’intero le spese dei giudizi di merito e di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011

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