Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6368 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 25/02/2022), n.6368

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 10011/2015, proposto da:

FLOATING HOTEL s.r.l., in persona del legale rapp.te p.t.,

rappresentata e difesa, giusta mandato in margine al ricorso,

dall’avv.to Giuseppe Vaccaro, elettivamente domiciliata in Roma, via

S. Tommaso D’Aquino n. 116, presso lo studio dell’avv.to Antonino

Dierna;

– ricorrente ­

contro

AGENZIA DELL’ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 2723/16/14 della Commissione Tributaria

Regionale della Sicilia, depositata in data 23/09/2014;

udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita d’Angiolella nella

Camera di consiglio del 9 febbraio 2022.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La società Floating Hotel s.r.l., (di seguito, “Società”), sul presupposto che fu costituita nell’anno 2002 per la costruzione e gestione di alberghi e motel, che rimase inattiva per diversi anni fino al dicembre 2006 quando acquistò partecipazioni pari al 50% del capitale sociale delle società Gia s.r.l. e Mega s.r.l. per il valore complessivo di Euro 3.850.000,00, presentava, per l’anno di imposta 2006, istanza di interpello disapplicativo, ai sensi della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4 bis, richiesta che non veniva accolta dall’Agenzia delle Entrate che, invece, riteneva applicabile la specifica norma antielusiva di cui alla citata L., art. 30. Successivamente, l’Agenzia delle entrate notificava alla società avviso di accertamento, per l’annualità 2006, con il quale accertava il reddito presuntivo, applicando la disciplina riguardante le cd. società di comodo e determinando maggiori imposte ai fini Ires ed Irap, oltre sanzioni.

2. Avverso tale avviso di accertamento proponeva ricorso la Società contribuente che veniva respinto dalla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo la quale confermava la legittimità della pretesa fiscale ritenendo che la società rientrasse tra le società cd. di comodo.

3. La Società interpose appello, che veniva respinto dalla Commissione tributaria regionale della Sicilia (di seguito, CTR) la quale confermava la decisione di prime cure, evidenziando la mancanza di prova circa l’oggettiva impossibilità della Società di conseguire ricavi anche in considerazione della circostanza che aveva compiuto, per l’anno 2006, acquisti, di ingente valore, di immobilizzazioni finanziarie.

4. Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a tre motivi contenuti in un’unica rubrica (“Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ovvero violazione e/o falsa applicazione della L. n. 724 del 94, artt. 30, degli artt. 2697,2727,2728 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”). Con essi, in primo luogo, la Società deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per omessa motivazione o, comunque, per motivazione apparente, nella parte in cui la CTR ha affermato che “l’applicazione dell’esimente ad una o ad entrambe le società cedenti non può automaticamente riflettersi sulla società cessionaria”, omettendo la motivazione in ordine alle ragioni di fatto e di diritto per le quali i secondi giudici hanno escluso che la società non fosse operativa nonostante le società Mega s.r.l. e Gia s.r.l. fossero state autorizzate a disapplicare la normativa per le società di comodo, nonché rendendo una decisione illogica nella parte in cui hanno ritenuto che le “dettagliate le circostanze allegate da parte appellata fin dal primo grado orientano nell’escludere un’oggettiva impossibilità di conseguire i ricavi”. Col secondo mezzo, denuncia la violazione della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4 bis, in rapporto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo l’errore dei secondi giudici per non aver dato rilevanza alle prospettazioni della società contribuente quali, in primo luogo, che era stata inattiva dalla data di sua costituzione sino al 19 dicembre 2006, perché priva di patrimonio il che “rende impossibile non solo la produzione di ricavi, ma anche la determinazione presuntiva del reddito ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 30, che espressamente far riferimento all’applicazione dei coefficienti di redditività ai valori dei beni posseduti nell’esercizio” (v. ricorso pag.15), in secondo luogo, perché l’acquisto di partecipazioni sociali non aveva determinato alcun reddito in quanto le quote di partecipazioni detenute, al 50%, nella Mega s.r.l. e nella Gia s.r.l., non erano redditizie avendo le società partecipate ottenuto la disapplicazione della normativa delle società di comodo. Infine, denuncia la violazione degli artt. 2697,2727 e 2728 c.c., nella parte in cui giudici di appello hanno ritenuto non superata la presunzione di legge in base a talune circostanze indicate alla pagina 3 della motivazione della sentenza (l’identità di domicilio fiscale delle tre società, il fatto che il signor B. era legale rappresentante della società Gia s.r.l. e della società Mega s.r.l., il fatto che dall’ottobre 2009 il legale rappresentante della Floating Hotel era familiare dei soggetti che nel 2006 avevano ceduto le partecipazioni Gia s.r.l. e Mega s.r.l. delle ricorrenti) che, tuttavia, a dire della ricorrente, non realizzano il “test di operatività” richiesto dalla legge per l’applicazione della normativa sulle società di comodo.

5. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

6. La Società ha presentato memoria telematica.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. La censura di nullità della sentenza per motivazione parvente, deve essere rigettata. La motivazione della sentenza impugnata non incorre in alcuna delle ipotesi di anomalia motivazionale – che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,” nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr., ex plurimis, Cass., 09/07/2020, n. 14633, in motivazione) – avendo la CTR fornito adeguata motivazione al fine di per ritenere non superata la presunzione di legge di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30. Ed invero, i secondi giudici, hanno, anzitutto, prestato piena condivisione alla motivazione dei giudici di prime cure circa la mancata dimostrazione da parte della società contribuente dell’oggettiva impossibilità di conseguire ricavi (v. pagina due della sentenza ove è trascritta la motivazione data sul punto dalla CTP) ed hanno, poi, argomentato circa l’infondatezza dell'”unica specifica circostanza sviluppata in atto introduttivo di appello” riguardante la cessione di quote societarie, avvenuta nel 2009, a due società che avevano goduto dell’esimente di cui alla citata L., art. 30. Su quest’ultimo punto hanno, quindi, specificato che le esimenti di cui avevano goduto le due società partecipate non potevano riflettersi, in senso favorevole alla società contribuente, sull’onere gravante a carico di quest’ultima, di dimostrare l’oggettiva impossibilità di produrre ricavi, anche considerando le allegazioni dell’Amministrazione finanziaria circa i rapporti tra la società contribuente e le società da questa partecipate (quali il fatto che le tre società avevano lo stesso domicilio fiscale, che B.R. era stato il legale rappresentante della società contribuente fino al 2002 e delle altre due società dal 2009 in poi, che “l’attuale” legale rappresentante della società contribuente era legato da rapporti di parentela con i precedenti legali rappresentanti delle altre due società, peraltro titolari delle quote acquistate dalla società ricorrente).

2. La difesa della ricorrente censura, poi, la sentenza impugnata per aver reso la decisione in violazione dei presupposti cui la L. n. 724 del 1994, art. 30, ritornando sulla assenza di redditività della partecipazione, pari al 50% del capitale sociale della Mega s.r.l. e della Gia s.r.l., in quanto entrambe le società partecipate avevano ottenuto l’esclusione di alcuni cespiti patrimoniali dal test di operatività con disapplicazione, per l’anno 2006, della disciplina di cui alla citata L., art. 30. A suo dire, dunque, la titolarità di partecipazioni in società non soggette alla disciplina della società di comodo, doveva essere considerata dai secondi giudici situazione di oggettiva impossibilità di conseguire i ricavi, essendo inequivocabile che la società contribuente nel periodo 1 gennaio – 19 dicembre 2006 non possedeva beni iscritti nell’attivo patrimoniale ai quali applicare coefficienti di redditività di cui alla citata Legge, art. 30. Deduce, infine, con l’ultimo motivo di ricorso, che la CTR nel dare risalto a circostanze prive di rilevanza quali quelle allegate dall’Ufficio in appello e indicate alla pagina 3 della sentenza – ha stravolto i principi che regolano la prova presuntiva in materia di disapplicazione della disciplina delle società di comodo.

2.1. Tali due ultime censure, da trattarsi congiuntamente in ragione della stretta connessione che le avvince, sono infondate.

2.2. Il dato pacifico che emerge dagli atti è che la società appellante nei giudizi di merito ha ritenuto di provare l’oggettiva impossibilità di produrre ricavi dalla circostanza che dal 19 dicembre 2006, fino alla fine della esercizio 2006, non poteva produrre redditi in quanto non era operativa, mentre, per il periodo successivo (19 dicembre – 31 dicembre 2006), la mancanza di operatività doveva desumersi dal fatto che le società partecipate erano state ammesse alla disapplicazione della procedura citata L., ex art. 30, il che determinava la prova logica del mancato conseguimento di ricavi per tutto il periodo restante del 2006. E’ pacifico e risulta dagli atti che tali circostanze sono state poste a fondamento anche dell’istanza di interpello disapplicativo.

2.3. Tali difese, che vengono pedissequamente ribadite con il ricorso in cassazione, non aiutano a comprendere l’error in iudicando in cui sarebbero incorsi i secondi giudici, ponendo, invece, in evidenza l’errore di impostazione in cui è incorsa la contribuente per provare i presupposti per la disapplicazione della disciplina sulle società di comodo.

2.4. E’ noto che le ragioni sottese alla disciplina delineata dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, mirano a disincentivare il ricorso all’utilizzo di uno schema societario di comodo per il raggiungimento di scopi eterogenei rispetto alla normale dinamica degli enti collettivi commerciali (ex multis, Sez. 5, 13/5/2015, n. 21358; Sez. 6-5, 28/9/2017, n. 26728); dalla lettera della legge, è chiaro che la finalità di deterrenza è perseguita attraverso la fissazione di standards minimi di ricavi e proventi, correlati al valore di determinati beni aziendali, il cui mancato raggiungimento costituisce indice sintomatico del carattere non operativo della società (v., Sez. 5, 24/2/2020, n. 4850, non massimata).

2.5. In tale cornice, la presunzione legale di inoperatività si fonda sulla massima di esperienza per la quale non vi e’, di norma, effettività di impresa senza una continuità minima nei ricavi (v. Sez. 5, 10/3/2017, n. 6195, in motivazione), presunzione che ha carattere relativo.

2.6. Pertanto, nell’ipotesi in cui (come nella specie) in base alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, una società si considera non operativa perché la somma di ricavi, incrementi di rimanenze e altri proventi (esclusi quelli straordinari) imputati nel conto economico è inferiore a un ricavo presunto, calcolato, attraverso il c.d. test di operatività, applicando determinati coefficienti percentuali al valore degli asset patrimoniali intestati alla società, spetta al contribuente di provare l’esistenza di situazioni oggettive – ossia non dipendenti da una scelta consapevole dell’imprenditore – che abbiano reso impossibile raggiungere il volume minimo di ricavi o di reddito che abbia reso impossibile il conseguimento del volume minimo di ricavi o di reddito determinato secondo i predetti parametri.

2.7. Giova evidenziare che la formulazione della disposizione in parola come risultante dai successivi interventi normativi (D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 35, comma 15, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, nonché L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 109, dai quali è scaturito il testo dell’art. 30 nella specie applicabile ratione temporis) con la soppressione del riferimento alla prova contraria, interessa esclusivamente il c.d. test di operatività disciplinato dalla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1.

2.7. Sul punto, questa Corte ha affermato (Sez. 5, 24/02/2021, n. 4946), con indirizzo che si fa proprio, che “trattandosi di snodi di un unico procedimento inferenziale congegnato dal legislatore al fine di agevolare l’accertamento del reddito in presenza di indici di elusione, è da escludersi che l’eliminazione dell’espressa previsione della facoltà di prova contraria nell’ambito del cd. test di operatività abbia mutato la natura della presunzione legale”, sicché le modifiche apportate dalla L. n. 296 del 2006, non hanno eliminato la possibilità per il contribuente di vincere la presunzione legale della finalità elusiva delle società non operative attraverso la prova contraria qualificata – contenutisticamente tipizzata alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4-bis – della ricorrenza di una situazione oggettiva a sé non imputabile che ha reso impossibile il conseguimento di ricavi e la produzione di reddito entro la soglia minima stabilita ex lege.

3. Alla stregua di tali principi alcun error in iudicando è rinvenibile nella decisione impugnata che ha rigettato l’appello della Società per mancata dimostrazione da parte di quest’ultima dell’oggettiva impossibilità di conseguire i ricavi entro la soglia minima stabilità dalla legge; né la totale assenza di pianificazione aziendale e di non redditività produttiva, nel periodo precedente ed in quello successivo al 19 dicembre 2009, sono idonee a concretizzare tale oggettiva impossibilità gravando sull’imprenditore l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale (v. Sez. 5, 23/11/2021, n. 36365, la cui massima così recita: “In tema di società di comodo, non sussistono le oggettive situazioni di carattere straordinario, che rendono impossibile il superamento del test di operatività, L. n. 724 del 1994, ex art. 30, comma 4-bis, nella versione all’epoca vigente, nell’ipotesi di totale assenza di pianificazione aziendale da parte degli organi gestori della società o di completa “inettitudine produttiva”, gravando sull’imprenditore, anche collettivo, ai sensi dell’art. 2086 c.c., comma 2, come modificato dall’art. 375 c.c., in coerenza con l’art. 41 Cost. – l’obbligo di predisporre i mezzi di produzione nella prospettiva del raggiungimento del lucro obiettivo e della continuità aziendale. Sicché in tal caso, il sindacato del giudice non coinvolge le scelte di merito dell’imprenditore, attenendo alla verifica del corretto adempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, con riduzione dell’operatività della “business judgement rule”, sempre valutabile, sotto il profilo tributario, per condotte platealmente antieconomiche.”)

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere integralmente rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 4.300,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile della Corte di Cassazione, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

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