Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6367 del 21/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/03/2011, (ud. 24/11/2010, dep. 21/03/2011), n.6367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31214-2007 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato ZUCCHINALI PAOLO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TAGLIAGAMBE

GIAMPAOLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SITI – B & T GROUP S.P.A.;

– intimata –

e sul ricorso 1429-2008 proposto da:

SITI – B&T GROUP S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BALDO DEGLI UBALDI

250, presso lo studio dell’avvocato CORRADI MARCELLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SARASSO CARLO, giusta

delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE

MICHELANGELO 9, presso lo studio dell’avvocato ZUCCHINALI PAOLO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TAGLIAGAMBE

GIAMPAOLO, giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1014/2007 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 26/09/2007 R.G.N. 1182/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2010 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO;

udito l’Avvocato SARASSO CARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso principale

e accoglimento dell’incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza resa dal Tribunale di Novara il 16.2.2006, erano state accolte le domande avanzate da M.A. tendenti al riconoscimento della natura retributiva della concessione in uso gratuito dell’ autovettura aziendale e dell’incidenza del controvalore della stessa, nonchè dei pernottamenti e dell’ una tantum sugli istituti retributivi indiretti e sul tfr, con condanna della società SITI B&T Group spa al pagamento di Euro 35.980,00, oltre che al pagamento di 1/3 delle spese di lite, compensate per i residui 2/3. Erano state, invece, respinte le altre domande, essendo stato ritenuto non dovuto il premio per le invenzioni, considerate di natura aziendale, per mancanza di utili, ed essendo stata esclusa la natura disciplinare del licenziamento e la sua giustificatezza, per essere state le funzioni ed il ruolo del M. conglobati nella persona di altro dirigente assistente del direttore generale, la relativa decisione non potendo essere oggetto di sindacato da parte del giudice.

Sull’appello del M. e di quello incidentale della società, con sentenza del 21.9/26.9.2007, la Corte di Appello di Torino respingeva il primo, e, in accoglimento di quello incidentalmente proposto, in parziale riforma della decisione di primo grado, riduceva la condanna della SITI B&T Group spa al pagamento del diverso importo di Euro 33,480,00, compensando tra le parti le spese doppio grado.

In sintesi, riteneva la Corte territoriale la giustificatezza del licenziamento intimato al M.; quanto al gravame incidentale, sosteneva che il premio per le invenzioni fosse da qualificare come di servizio e che i quattro pernottamenti dovevano considerarsi rimborso spese, come tali non ineludibili nella determinazione de t.f.r..

Propone ricorso per cassazione, notificato il 28.11.2007, il M., affidato a cinque motivi.

Resiste con controricorso e propone a sua volta ricorso incidentale la società, sia, condizionatamente all’accoglimento del ricorso principale, assumendo l’assenza di utili per il caso in cui il premio per invenzione fosse qualificata aziendale, sia in via autonoma, proponendo un unico motivo di impugnazione.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Devono, preliminarmente, riunirsi il ricorso principale e quello incidentale, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Con il primo motivo di ricorso il M. denuncia violazione dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori e degli artt. 19 e 22 ccnl Dirigenti di Aziende Industriali del 23.5.2000; insufficienza e contraddittorietà della motivazione con riferimento a fatto controverso e decisivo.

Assume che, sulla base dell’accertamento di fatto che il M. aveva, nonostante la nomina a direttore tecnico, continuato a svolgere principalmente le mansioni di responsabile del settore progettazione presse, e della circostanza che dall’ottobre 2001 tali mansioni non erano state soppresse ma attribuite e conglobate nelle mansioni di altro dirigente (ing. B.) – il quale sino ad allora occupava solo altro settore – la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere l’ingiustificatezza de licenziamento, non essendo stato accertato che il M. non avrebbe potuto continuare a mantenere tale ultimo incarico, in luogo del B.. Pone al riguardo quesito di diritto. Quanto alla violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 evidenzia che la Corte territoriale aveva sostanzialmente mutato la motivazione data dalla società datrice di lavoro al licenziamento, in dispregio del principio che sancisce la immodificabilità della stessa.

Questa Corte non ignora l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui le garanzie procedimentali dettate dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori devono trovare applicazione anche nell’ipotesi di licenziamento di un dirigente (Cass. sez. un., 30 marzo 2007 n. 7880). Nella specie però, non si verte in ipotesi di licenziamento ontologicamente disciplinare, avendo l’azienda nella lettera di licenziamento – premesso che per le condizioni di agguerrita concorrenza de mercato nel settore di operatività e per la necessità di ridurre i costi di struttura che imponevano ulteriori economie da attuarsi attraverso una riorganizzazione dei ruoli che coinvolgevano anche la struttura dirigenziale, – precisato che il consiglio di amministrazione ha pertanto deciso di conglobare le attività di progettazione macchine, engineering e tecnologie sotto l’unica Direzione “Tecnologie e Impiantistica”. In tal modo vengono annullati il ruolo e le funzioni del Direttore Tecnico da Lei ricoperto”. Non si pone, dunque, un problema di violazione di garanzie procedimentali di cui allo statuto, atteso che la società era, comunque, libera di procedere ad accorpamento di settori, come esplicitato nella lettera di recesso e, pertanto, come sopra evidenziato, l’invocazione delle norme dello statuto risulta inconferente e quanto mai generica, trattandosi di licenziamento di natura non disciplinare. Inoltre, anche le oggettive circostanze di fatto, per come valutate dalla corte territoriale, non risultano validamente, contestate proponendosi una diversa valutazione del materiale probatorio già vagliato, intravedendosi da parte ricorrente una contraddittorietà laddove la corte territoriale aveva accertato in precedenza la mancata soppressione delle mansioni principali svolte dal ricorrente, ossia quelle dei Direttore Tecnico.

In ordine alla decisione adottata dal giudice del merito che ha ritenuto la giustificatezza del licenziamento, sulla scorta di quanto emerso in ordine all’avvenuto conglobamento di mansioni di responsabile della progettazione, ed in sintonia con quanto esplicitato nella lettera di licenziamento, sono infatti da respingere le censure proposte dal ricorrente in merito alla valutazione delle risultanze processuali – che è stata compiuta dalla Corte di appello di Torino con riferimento alla situazione fattuale correttamente e globalmente accertata, in quanto la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento. Pervero, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prove che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, essendo sufficiente, al fine della congruità della motivazione del relativo apprezzamento, che da questa risulti che il convincimento nell’accertamento dei fatti su cui giudicare si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi probatori acquisiti considerati nel loro complesso, pur senza una esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati o non considerati: come, nella specie, è di certo avvenuto per la sentenza impugnata. Non sussiste, comunque, il vizio di motivazione denunciato dal ricorrente, poichè la sentenza in esame appare – come è stato dinanzi evidenziato – congruamente motivata ed immune da vizi logico – giuridici con riferimento a quanto statuito in base all’esatta applicazione della normativa di legge ed alla corretta valutazione delle risultanze processuali.

Al riguardo vale, in linea generale e di principio, rilevare che: a) il difetto di motivazione nel senso d’insufficienza di essa, può riscontrarsi soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l’obiettiva deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, – come per le censure mosse nella specie dalla ricorrente – quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; b) il vizio di motivazione sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di ripercorrere l’iter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno un insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l’esame di punti decisivi della controversia – irregolarità queste che la sentenza impugnata di certo non presenta;

c) per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi – come sicuramente ha fatto, nella specie, il Giudice di appello – le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (sul vizio di motivazione cfr. ex plurimis Cass. 18 maggio 2006, n. 11660; Cass. 17 novembre 2005, n. 23286).

Il primo motivo non può trovare quindi accoglimento di questa sede.

Peraltro, il ricorso difetta dell’autosufficienza, in quanto non si riporta nello stesso il contenuto del CCNL cui fare riferimento ed inoltre lo stesso – in forza del quale si assume con altra distinta censura anche la violazione di principio dell’immutabilità della causa di licenziamento – non è neanche stato allegato al ricorso ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

Tale documento risulta essere stato richiamato genericamente e non se ne indicano neanche le clausole funzionali alla tesi sostenuta, Osserva la Corte che il motivo di ricorso risulta inammissibile perchè non correttamente enunciato il quesito di diritto, rilevandosi che lo stesso, per come formulato, non risponde ai canoni di cui all’art. 366 bis c.p.c..

Ed invero, è esposta solo una richiesta generica di accertamento della violazione della norma di legge, laddove il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rendendo i ricorso inammissibile (cfr. Cass. sez. 3 30.9.2008 n. 24339; Cass. s.u. 3518/08; 22640/07; 14385/07).

Quanto all’asserita violazione art. 19 ccnl del 23.5.2000 in relazione all’accordo collettivo nazionale 27.4.1995, il corrispondente motivo risulta, per le medesime considerazioni sopra esposte, improcedibile in quanto in violazione dell’art. 369, comma 2, n. 4, il richiamo al contratto, laddove prevede la corresponsione di indennità supplementare anche in casi di licenziamento giustificato in casi particolari riconnessi a riorganizzazione aziendale e l’assunto alla cui stregua la nozione di ingiustificatezza esula anche dalla ricorrenza di giustificato motivo oggettivo e che pertanto debba essere corrisposta l’indennità supplementare risultano poi inconferenti, atteso che le ipotesi richiamate sono tipiche e riguardanti specifiche fattispecie riconosciute con decreto del Ministro Lavoro. Peraltro, è principio più volte affermato da questa Corte quello per cui ai fini della spettanza dell’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva in caso di licenziamento del dirigente, la giustificatezza del recesso non deve necessariamente coincidere con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione dì grave crisi aziendale tale da rendere impossibile o particolarmente onerosa tale continuazione, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità de licenziamento, deve essere coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., che verrebbe radicalmente negata ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa (cfr, Cass. 12365/2003). Nè tale coincidenza, ove non prevista dalla contrattazione collettiva (nella specie, c.c.n.l. per i dirigenti delle aziende industriali), potrebbe derivare, in base al criterio di interpretazione di cui all’art. 1362 c.c., comma 2, dalla sua previsione in un successivo Accordo Interconfederale (nella specie, A.l. del 27 aprile 1995), in quanto la differenza di funzione e di livello fra le due fonti collettive e la diversità delle parti stipulanti impediscono l’utilizzabilità del predetto criterio ermeneutico (cfr. Cass. 12365/2003 cit.).

Si lamenta poi, con il terzo motivo, la violazione del R.D. n. 1127 del 1939, art. 23 osservando che l’elemento distintivo tra invenzione di servizio e invenzione aziendale risiede nella previsione o meno di una specifica retribuzione che trovi la sua causa nell’obbligo del lavoratore a svolgere l’attività inventiva, dovendo la previsione contrattuale del risultato inventivo risultare pattiziamente correlata ad una specifica situazione retributiva e si richiamano pronunzie di questa corte n. 14439/2000 e n. 7161/1998. Si afferma, poi, a sostegno de motivo di impugnazione, che la mera attribuzione delle mansioni di Responsabile Reparto Progettazione presse non comporti alcun obbligo di espletamento di attività inventiva e si formula quesito di diritto.

Il motivo è infondato.

La disciplina regolante la materia è quella di cui al R.D. n. 1127 del 1939, art. 23 che distingue l’ipotesi di cui al secondo (cd.

“invenzione d’azienda”) rispetto a quella di cui al primo comma (la cd. “invenzione di servizio”) : nell’invenzione d’azienda la prestazione del dipendente non consiste nel perseguimento di un risultato inventivo, sicchè il conseguimento di questo non rientra nell’oggetto dell’attività dovuta, anche se resta pur sempre collegata a questa stessa attività. Questa Corte, nella decisione 71561/2006, alla quale risulta conforme la successiva n. 14439/2000, ha evidenziato come” il discrimine in concreto tra le due fattispecie a confronto possa essere difficile, atteso che ogni prestazione di lavoro subordinato è in sè di mezzi, mentre l’invenzione è un risultato, per di più aleatorio o meglio incerto, come invece tende a non essere la retribuzione. Ma a parte l’ammissibilità, in via di principio, di forme o comunque di voci o componenti retributive legate al risultato, la previsione dell’art. 23, comma 1 rispetto a quella del comma 2, sta proprio nel fatto che oggetto del contratto sia l’attività inventiva, cioè il particolare impegno per raggiungere un risultato prefigurato dalle parti, dotato dei requisiti della brevettabililtà stabiliti dalla legge, e che, a tale scopo sia prevista una retribuzione”. Detta sentenza che ha, tuttavia, anche evidenziato come sia compito del giudice di merito quello di accertare – sulla base della interpretazione del contratto basata sui criteri dettati dall’art. 1362 c.c. – se le parti hanno voluto in effetti pattuire una retribuzione che sia pure in parte si collochi come corrispettivo dell’obbligo del dipendente di svolgere un’attività inventiva ha pure sottolineato che si tratta di indagare sulla volontà delle parti, non operando “ex post”, quando l’invenzione è stata conseguita, perchè con questo criterio si dovrebbe considerare pattuita l’attività inventiva in tutti i casi in cui la prestazione lavorativa abbia dato luogo, comunque, ad un’invenzione, ma indagando “ex ante” sull’effettivo intendimento delle parti e che non assume rilievo la maggiore o minore probabilità che dall’attività lavorativa, pattuita scaturisca l’invenzione, di tal che, ogniqualvolta sia probabile quel risultato, si dovrebbe automaticamente considerare come rientrante nella previsione contrattuale.

Orbene, la Corte di Appello di Torino, attraverso una compiuta indagine ha potuto affermare che la retribuzione, la stessa previsione di una pattuizione del premio di L. 12 000.000, risalente all’inizio del rapporto, e la stessa entità del trattamento economico complessivo del M. risultavano giustificate proprio in ragione dell’oggetto della prestazione di progettazione ed adattamento delle presse alle esigenze che di volta in volta si palesassero, di guisa che doveva la relativa pattuizione ritenersi ancorata proprio al particolare impegno richiesto da dirigente, diretto ad un risultato creativo.

Tale conclusione – in questa sede non sindacabile perchè esente da vizi logici – che l’attività dedotta in contratto era una attività di progettazione connotata da finalizzazione alla ricerca di soluzioni tecniche di tipo inventivo risulta coerente con l’applicazione di retti criteri di interpretazione della volontà delle parti contrattuali.

Con ciò è rimasto, quindi, dimostrato che il risultato inventivo raggiunto da M. rientrava tra gli obiettivi prefigurati dalle parti, attraverso le mansioni affidategli, il che spiega anche il motivo per cui era stato previsto un corrispettivo idoneo a compensare anche un contenuto inventivo dell’attività espletata.

Correttamente, quindi, la corte territoriale ha orientato in questa direzione la sua indagine di merito, giungendo alla conclusione che là previsione di interventi progettuali sulle presse rientrava nelle competenze lavorative, in maniera congrua remunerate anche in ragione del contenuto particolarmente pregnante delle funzioni progettuali – Per quanto detto, si ritiene di dover confermare sul punto la sentenza impugnata che ha escluso il diritto all’equo premio previsto dal R.D. n. 1127 del 1939, art. 23, comma 2.

Con il quarto motivo, si denunzia la violazione dell’art. 2099 c.c. e art. 2118 c.c., nonchè la violazione degli artt. 7, 23 e 24 ccnl e art. 17 degli accordi interconfederali e si censura la decisione, con lo stesso motivo, anche per la omessa motivazione in relazione a fatto controverso e decisivo.

Si assume che i pernottamenti erano ineludibili nella determinazione dei compensi per gli istituti retributivi indiretti e in particolare nel TFR, perchè il lavoratore non aveva mai sostenuto in proprio alcuna spesa, poi rimborsata, dal che doveva evincersi la natura retribuiva della prestazione datoriale in natura. Sul punto deve rilevarsi corretto il richiamo all’art. 2120 c.c., che espressamente esclude dal computo nel TFR quanto corrisposto a titolo di rimborso spese, senza distinzioni tra rimborsi forfettari o a piè di lista e quindi a prescindere dalle modalità di corresponsione.

Con il quinto motivo, la violazione dell’art. 92 c.p.c. viene invocata ritenendo non conforme a tale norma la integrale compensazione delle spese. Tuttavia, la regolamentazione nel senso contestato risulta sorretta da idonea motivazione, coerente con l’accoglimento solo in minima parte della pretesa del lavoratore già in primo grado.

Deve ritenersi assorbito il ricorso incidentale condizionato, relativo all’assenza di utili connessi all’invenzione aziendale, essendo stato il ricorso principale respinto in toto.

Con riferimento al gravame incidentale definito dalla società come “autonomo”, riferito alla asserita violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1460 e 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè alla insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, viene evidenziato come non sia stato dato rilievo all’eccezione di inadempimento con riguardo all’obbligo di restituzione di materiale da parte del M., che avrebbe detenuto ingiustificatamente documentazione della società.

Il motivo si rivela inammissibile in quanto pone riferimento ad elementi che inducono ad un riesame della valutazione dei fatti compiuta dal primo giudice senza censurarne i criteri valutativi posti a base delle argomentazioni, con le quali era stato evidenziato come il materiale si riferisse solo a copie di materiale informatico, avendo il M. accesso agli archivi informatici, senza che fosse risultato provato il fatto materiale dell’illecita detenzione di supporti elettronici dopo l’allontanamento dall’azienda.

La reciproca soccombenza giustifica la integrale compensazione tra le parti anche delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale condizionato; dichiara inammissibile il ricorso incidentale autonomo;

compensa tra le parti per l’intero, le spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011

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