Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6366 del 21/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/03/2011, (ud. 09/11/2010, dep. 21/03/2011), n.6366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11529-2008 proposto da:

D.C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBALONGA

7, presso lo studio dell’avvocato PALMIERO CLEMENTINO, rappresentato

e difeso dall’avvocato DE NOTARIIS GIOVANNI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE SAN SALVO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO GONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato MANZI LUIGI, rappresentato e difeso dall’avvocato

PUTATURO WALTER, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1492/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/01/2008 r.g.n. 1581/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/11/2010 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato DE NOTARIIS GIOVANNI;

udito l’Avvocato CARLO ALDINI per delega WALTER PUTATURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza del 29.9.2006 il Tribunale di Vasto aveva respinto il ricorso presentato da D.C.S. inteso ad ottenere la reintegra nelle mansioni precedentemente svolte di responsabile dell’area economico-finanziaria del comune ed il risarcimento del danno cagionato dalla modifica delle mansioni, in particolare per la perdita dell’indennità corrispettiva a posizione organizzativa.

Con sentenza della Corte di Appello di L’Aquila del 30.1.2008, veniva respinto l’appello proposto dal D.C. avverso la suindicata pronunzia di primo grado. La Corte territoriale si richiamava al contenuto della sentenza emessa dalla stessa Corte, n. 523/2006 in relazione a decisione assunta su tre ricorsi di analogo contenuto e osservava che, comunque, nel gravame non veniva riproposto alcun argomento nuovo e che risultava non contestato che all’appellante erano state conferite mansioni di responsabile di staff e non di area, che tali mansioni implicavano in ogni caso un trattamento economico comprendente l’indennità di posizione; che le mansioni non erano state svolte dal D.C., il quale aveva rifiutato anche l’indennità di posizione corrispettiva. La Corte assumeva che non era stata proposta domanda di risarcimento del danno in forma specifica per eventuali danni da dequalificazione professionale e che non erano state espletate, a causa del rifiuto dell’appellante, le mansioni affidate, ai fini della valutazione in oggetto, oltre a considerare che la tesi dell’illegittimità della modifica delle mansioni avrebbe presupposto il vaglio della effettività della organizzazione lavorativa nel suo complesso e, nell’ambito della stessa, delle vicende lavorative proprie dell’appellante.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione il D.C., con ricorso notificato il 21,4.2008, fondato su sette motivi.

Resiste, con controricorso ritualmente notificato, il Comune, il quale ha depositato, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Deduce il ricorrente, con il primo motivo, violazione del principio fondamentale in tema di produzione del diritto ex artt. 1 e 2 disp. gen. ed assume che il giudice non è tenuto a seguire precedenti interpretazioni, ad eccezione del caso di cui all’art. 384 c.p.c., previsto per il giudice di rinvio. Pone quesito di diritto riferito alla esistenza, o meno, del vincolo per il giudice del gravame a decidere in conformità a sentenza della stessa Corte di Appello n. 523/06, che aveva deciso tre appelli pendenti tra le stesse parti del presente giudizio.

Deduce, poi, con il secondo motivo, la violazione di legge: art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., assumendo che la motivazione per relationem deve ritenersi apparente (Cass. 2268/2006), e formula quesito di diritto in ordine alla legittimità di una motivazione per relationem.

Rileva, con il terzo motivo, insufficienza e illogicità della motivazione, riferimento della stessa a falso presupposto e travisamento dei fatti; omesso esame su punti decisivi. Deduce, ulteriormente, violazione e falsa applicazione dell’art. 11 del ccnl 1999, del D.Lgs. n. 29 del 1993 – artt. 19 e 27 bis. In particolare, censura la sentenza oggetto di impugnazione, assumendo la incompetenza del Sindaco a conferire le posizioni organizzative per l’anno 2004, poichè, a seguito dell’introduzione nell’organico dell’ente della figura del Direttore Generale, la relativa competenza era passata a quest’ultimo ex art. 9 ccnl del comparto enti locali – Parte Generale.

Richiama il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19, comma 5, nonchè Delib.

Giunta n. 7 del 2002 modificativa.

Deduce, ancora, l’esistenza di azione persecutoria intentata da amministratori contro di lui, nonostante che nessun contrasto vi fosse da parte sua nei confronti del comune e richiama l’art. 22 del Regolamento degli uffici e servizi del Comune, nonchè Delib. G.M. 6 febbraio 2001, n. 45 che, a suo dire, prevedrebbe il conferimento sulla base di precisi criteri e censura la decisione per omessa motivazione sul fatto che la nuova area comprendeva attività cui in precedenza era stato preposto esso ricorrente; infine evidenzia che esso ricorrente aveva in precedenza operato in maniera lusinghiera, a differenza del F., come era dato evincere da relazione di Revisori dei conti.

Lamenta, ancora, con il quarto motivo, motivazione insufficiente, illogica, contraddittoria e falso presupposto, nonchè omesso esame di punti decisivi; erroneità del procedimento logico art. 360 c.p.c., n. 5 assumendo che è infondata l’affermazione circa l’inattività del D.C., essendo egli stato relegato da servizio apicale a funzioni residuali del settore controllo e gestione e che le deposizioni dei testi non erano state richiamate espressamente e per esteso, formulando all’esito, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., apposito quesito.

Con il quinto motivo, il ricorrente denunzia, ancora, erroneità del procedimento logico; omesso esame di punti decisivi; motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria, falso presupposto e travisamento dei fatti, nonchè violazione di legge, assumendosi che nel ricorso sono stati descritti tutti i fatti a base della richiesta – art. 2103 c.c. e D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 – tali da determinare l’impossibilità di spostamento a mansioni inferiore si rileva l’esistenza di documentazione sanitaria a supporto della domanda di danni morale ed esistenziale, ribadendosi la richiesta di Euro 50.000 o di risarcimento anche in via equitativa.

Con il sesto motivo, il C. lamenta erroneità del procedimento logico, omesso esame di punti decisivi e motivazione omessa, insufficiente e, con l’ultimo motivo deduce la violazione di legge, in particolare del D.Lgs. n. 29 del 1993, art 56 come modificato dal D.P.R. n. 80 del 1998, art. 25 richiamato dall’art. 3 ccnl 31.3.1999, nonchè la motivazione insufficiente illogica e contraddittoria, ponendo a conclusione delle argomentazioni, un apposito quesito di diritto, chiedendo se l’adibizione a mansioni inferiori a quelle della qualifica di appartenenza violi la normativa di legge e contrattuale, integrando inadempimento a doveri datoriali.

li ricorso è infondato e, pertanto, va rigettato, risultando alcune delle censure avanzate dal ricorrente prive di fondamento ed altre inammissibili in ragione della non completa e non specifica enunciazione dei quesiti di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c..

I motivi relativi alla rilevanza del precedente giudiziario ed al vincolo costituito dallo stesso quale interpretazione dalla quale non sarebbe stato possibile discostarsi sono infondati. Essi, infatti, riflettono un’erronea impostazione della questione circa la rilevanza di un precedente richiamato per sostenere non già la sua vincolatività assoluta quale fonte di diritto, ma in funzione di un richiamo a questioni analoghe già affrontate in precedenti procedimenti vertenti sulla stessa vicenda lavorativa dell’istante e sostanzialmente riproposte nel presente. E’ solo il richiamo a regole di coerenza logica che giustifica il riferimento a precedente giudiziale e in tal senso la censura si rivela, dunque priva di fondamento, laddove richiama fattispecie affatto diversa relativa al principio di diritto sancito in pronunzia di legittimità ed al vincolo di osservanza dello stesso per il giudice del rinvio.

Quanto alla motivazione per relationem, deve osservarsi in termini generali che il richiamo, rinvio o riferimento ad altre decisioni giurisdizionali può incidere in modo diverso sulla struttura, sul contenuto e sulla stessa validità della decisione che tale richiamo (rinvio o riferimento) effettua.

Nella decisione impugnata della Corte territoriale però il riferimento ad una precedente sentenza è stato operato ai fini di economia processuale senza che ciò abbia reso impossibile o difficoltoso il controllo della sua motivazione, così rispettandosi il principio più volte affermato dai giudici di legittimità.

Questi, infatti, hanno ritenuto ammissibile la motivazione per relationem sul presupposto della sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione del rinvio, diviene parte integrante dell’atto rinviante (cfr. al riguardo Cass. 25 settembre 2002 n. 13937); ed hanno più di recente rimarcato – sempre in presenza della effettiva possibilità di un controllo motivazionale della sentenza impugnata – come risponda al modello legale la motivazione per relationem in cui il giudice di secondo grado abbia fatto riferimento all’esame degli atti del primo giudizio ed alla conformità ad essi della motivazione estesa dal giudice di primo grado, in tal modo consentendo il controllo sul riesame della questione oggetto della domanda (in tali termini, cfr. Cass. 29 ottobre 2009 n. 22801).

Nella fattispecie scrutinata i principi sopra enunciati sono stati rispettati per avere la Corte territoriale espressamente rilevato che “a prescindere dalla ampia e dettagliata motivazione della sentenza n. 523/2006”, da ritenersi parte integrante della propria motivazione, sussistevano ragioni insuperabili, puntualmente esplicate, inidonee a determinare una decisione in senso difforme del gravame esaminato.

Con riguardo agli ulteriori motivi di ricorso, osserva la Corte che la norma richiamata del CCNL del comparto autonomie locali del 31.3.1999, non prodotto ma acquisito da questa Corte, prevede che “i comuni privi di posizioni dirigenziali che si avvalgono delle facoltà previste dalla L. n. 142 del 1990, art. 51, comma 3 bis introdotto dalla L. n. 191 del 1998 e nell’ambito delle risorse finanziarie ivi previste a carico dei rispettivi bilanci, applicano la disciplina dell’art. 8 e ss. esclusivamente a dipendenti cui sia attribuita la responsabilità degli uffici e dei servizi formalmente individuati secondo il sistema organizzativo autonomamente definito e adottato”. Detti comuni stabiliscono, poi, il valore economico della retribuzione di posizione e di risultato attribuibile al personale di cui allo stesso comma 1 classificato nella categoria D nell’ambito dei limiti definiti dall’art. 10; la L. n. 142 del 1990, l’art. 51, comma 3 bis introdotto dalla L. n. 127 del 1997, prevede, poi, che “Nei comuni privi di personale dirigenziale, le funzioni di cui al comma 3 sono svolte dai responsabili degli uffici e servizi”.

La norma presuppone l’adozione preventiva di un sistema organizzativo autonomo in detti comuni, attraverso regolamento che disciplini, appunto, la pianta organizzativa, utile quale elemento di partenza per il passaggio dalla vecchia alla nuova struttura, costituita dalle aree, per la preposizione dei dipendenti, con incarico annuale, alla titolarità delle aree.

Orbene, deve al riguardo rilevarsi, per quanto attiene al regolamento comunale ed alla delibera comunale, che la loro conoscenza non rientra tra i doveri del giudice, sicchè il mancato assolvimento, da parte del ricorrente, dell’onere di allegazione e produzione delle fonti su cui basa le sue richieste non consente l’esame completo delle questioni sottoposte all’esame della Corte relative al denunziato mutamento di mansioni (non equivalenti a quelle da ultimo esercitate o a quelle della qualifica di appartenenza).

I motivi risultano, nella sostanza, del tutto inammissibili, così come i corrispondenti quesiti di diritto, che confondono in maniera non consentita doglianze di fatto con questioni di carattere giuridico, venendo raggruppati alla fine di un lungo iter motivazionale ed argomentativo i cui passaggi richiederebbero l’enunciazione di autonomo e specifico motivo immediatamente dopo la prospettazione di ogni altro passaggio su singole questioni di diritto, i detti motivi di ricorso, per di più, si presentano privi di specificità, perchè, per la maggior parte, risultano ripetitivi delle doglianze avanzate in primo grado, senza censurare in maniera, appunto, specifica, le ragioni poste a base della sentenza impugnata;

fanno riferimento ad atti e documenti e a prove, di cui non si riportano i contenuti e ciò in palese violazione del principio dell’autosufficienza dei motivi di ricorso.

In conclusione, la sentenza impugnata si sottrae a tutte le censure che le sono state mosse per essere supportata da una motivazione congrua, priva di salti logici e per avere fatto corretta applicazione della normativa da applicare alla fattispecie in esame in quanto il giudice d’appello ha puntualmente precisato che il D. C. non ha provato di avere titoli idonei per rivendicare il posto ricoperto dal F., nè poi ha provato il denunziato demansionamento a fronte della riorganizzazione dei diversi settori dell’amministrazione del Comune di S. Salvo.

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato. Le spese di lite del presente giudizio sono regolate in base al principio della soccombenza.

PQM

La Corte cosi provvede:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, di cui Euro 31,00 per spese, Euro 3.000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA