Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6365 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. II, 08/03/2021, (ud. 17/11/2020, dep. 08/03/2021), n.6365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24157-2019 proposto da:

T.N., rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO SOTTILE,

giusta procura speciale in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto di rigetto n. cronol. 3286/2019 del TRIBUNALE di

BOLOGNA, depositato il 17/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

 

Fatto

RITENUTO

che la vicenda qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti:

– il Tribunale di Bologna confermò la decisione della competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, con la quale era stata disattesa la domanda di protezione internazionale avanzata da T.N.;

ritenuto che la richiedente ricorre sulla base di tre motivi avverso la statuizione del Tribunale e che il Ministero dell’Interno resiste con controricorso;

ritenuto che con il primo e il secondo motivo, tra loro correlati, la ricorrente lamenta “violazione ex art. 360, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2, 3, 4, 5, 6 e 14, artt. 8 e 27 e art. 2 e 3 CEDU, oltre al difetto di motivazione, travisamento dei fatti e omesso esame dei fatti decisivi”, nonchè ancora “violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 – omessa valutazione di fatti decisivi”, assumendo, in sintesi, che il Giudice non aveva applicato il principio dell’onere della prova attenuato, nè valutato le dichiarazioni della ricorrente “alla luce di quanto stabilito dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”, in presenza di fatti narrati linearmente, che il Tribunale aveva interpretato erroneamente e prescindendo dalla situazione socio-politica della Costa d’Avorio, nè era consentito dalla legislazione interna imporre al richiedente la protezione far rientro in una zona delimitata del proprio paese, giudicata sicura; la decisione non aveva esaminato il fatto decisivo costituito dal danno grave derivante dalla situazione di violenza indiscriminata del Paese d’origine; non aveva ulteriormente approfondito i profili della narrazione che apparivano generici, così venendo meno al dovere di cooperazione istruttoria; non aveva considerato che la richiedente aveva riferito circostanziatamente di luoghi e date, nè della buona fede e degli sforzi dalla medesima compiuti.

Diritto

CONSIDERATO

che il complesso censuratorio è inammissibile, valendo quanto segue:

a) la ricorrente ha raccontato di essere fuggita dalla (OMISSIS), insieme a una sua figlia, a causa del coinvolgimento del marito, seguace del partito (OMISSIS), in un’aspra e violenta lotta politica, avendo subito perciò violenze e minacce e la Tribunale, con valutazione di merito in questa sede incensurabile, ha escluso in radice l’attendibilità del narrato, privo di appigli di attendibilità e gravemente contraddittorio; ciò solo fa escludere la ricorrenza di un dovere d’ulteriore approfondimento istruttorio sulla vicenda (senza contare che la narrazione, proprio a cagione della sua flagrante vacuità e irrisolvibile contraddittorietà non avrebbe comunque permesso attingimento di conferme di sorta) e la ricorrente, piuttosto che contrappore evidenze processuali tali da smentire le conclusioni del Tribunale, si limita a riportare i principi della materia e a insistere nella propria versione;

b) piuttosto palesemente le critiche sono rivolte al controllo motivazionale, in spregio al contenuto del vigente art. 360 c.p.c., n. 5 difatti, invece che porre in rilievo l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo o l’assenza di giustificazione argomentativa della decisione, con le stesse la ricorrente, contrappone al ragionato esame della Corte il proprio avverso convincimento;

c) sul piano della narrazione soggettiva, l’inattendibilità della stessa risulta sorretta da argomenti che non possono in alcun modo considerarsi mero simulacro; nè, si ripete, sulla base della approssimativa e gravemente contraddittoria narrazione era ipotizzabile un qualunque approfondimento istruttorio;

d) quanto alla situazione della (OMISSIS), la decisione ha preso in esame COI aggiornate, dalle quali è dato escludere la sussistenza di quella situazione di violenza diffusa e incontrollata evocata dalla ricorrente; in definitiva risulta evidenziata una condizione di sottosviluppo e d’instabilità del Paese, diffusa, peraltro, purtroppo in molte regioni del mondo, ma non la situazione di particolare criticità dalla quale può conseguire il diritto alla protezione sussidiaria;

e) il Giudice del merito, quindi, ha deciso applicando il principio enunciato da questa Corte, la quale ha avuto modo di chiarire che ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Sez. 6, n. 18306, 08/07/2019, Rv. 654719);

considerato che il terzo motivo, con il quale si deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e 19, nonchè l’omesso esame di fatti decisivi in riferimento alla Integrazione socio-lavorativa in Italia, è inammissibile, essendo diretto a un improprio riesame di merito della decisione, la quale ha evidenziato l’assenza di patologie fisiche tali da giustificare l’invocato riconoscimento (pag. 10) e l’assenza di specifiche ragioni di vulnerabilità, nel mentre il documento prodotto in questa sede, al fine di dimostrare svolgimento di attività lavorativa, deve essere dichiarato inammissibile, non ricorrendo alcuna delle ipotesi di cui all’art. 372 c.p.c.;

considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;

considerato che la soccombente ricorrente deve essere condannata al rimborso delle spese in favore del costituito Ministero nella misura di cui in dispositivo, tenuto conto della qualità della causa, del suo valore e delle attività svolte;

considerato che sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto;

che di recente questa Corte a sezioni unite, dopo avere affermato la natura tributaria del debito gravante sulla parte in ordine al pagamento del cd. doppio contributo, ha, altresì chiarito che la competenza a provvedere sulla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al giudizio di cassazione spetta al giudice del rinvio ovvero – per le ipotesi di definizione del giudizio diverse dalla cassazione con rinvio (come in questo caso) – al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato; quest’ultimo, ricevuta copia della sentenza della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 388 c.p.c., è tenuto a valutare la sussistenza delle condizioni previste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136 per la revoca dell’ammissione (S.U. n. 4315, 20/2/2020).

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese legali in favore del Ministero controricorrente, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese anticipate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

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