Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6364 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2022, (ud. 16/02/2022, dep. 25/02/2022), n.6364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16171/2017 R.G. proposto da:

Calcestruzzi Irpini spa, con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rapp.nte pro tempore, rappresentato e difeso in giudizio dall’avv.

Pietro Musto, come da procura in atti, presso il quale è el.dom.to

in Roma, Via Barnaba Oriani 20/A;

– parte ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura Generale dello

Stato presso la quale è ex lege domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– parte controricorrente –

avverso sentenza Commissione Tributaria Regionale Campania n.

11213/16 del 13.12.2016;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 16.2.2022 dal

Consigliere Giacomo Maria Stalla.

 

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. Calcestruzzi Irpini spa propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione notificatole dall’agenzia delle entrate per imposta proporzionale di registro (3%) sulla “Convenzione per attività di cava” da essa stipulata con il Comune di (OMISSIS) (AV) il (OMISSIS), e già dalla società autoliquidata in misura fissa.

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:

– si trattava di atto di natura patrimoniale D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 35, non potendosi questa natura escludersi in ragione del fatto che l’importo dovuto dalla società autorizzata all’esercizio della cava avesse scopi indennitari e contributivi di ripristino ambientale, ai sensi della L.R. Campania n. 54 del 1985, art. 18;

– correttamente la base imponibile era stata dall’amministrazione finanziaria determinata in ragione delle somme pattuite per l’intera durata (triennale) del contratto, secondo quanto desumibile – salvo conguaglio – dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 43, lett. h).

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 20,35 e 43, nonché della allegata tariffa, art. 9.

Per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato, nell’erroneamente affermare la patrimonialità dell’atto, che la prestazione in convenzione:

– era obbligatoria nella sua stipulazione ai sensi della citata legge regionale e delle NTA del Piano Regionale Attività Estrattive, art. 16, disposizioni dalle quali si evinceva che, in assenza della stipula della convenzione, non poteva essere rilasciata né mantenuta in vita l’autorizzazione estrattiva;

– era obbligatoria anche nel contenuto (che doveva ricalcare lo schema-tipo approvato dalla Regione Campania) e nell’entità economica del contributo (determinato dalla Giunta Regionale in relazione al tipo, qualità e quantità del materiale estratto annualmente);

– aveva natura indennitaria e compensativa (a favore del Comune di ubicazione della cava) degli oneri di ripristino ambientale e riutilizzo delle aree interessate.

Da ciò derivava che era nella specie applicabile il D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, parte prima, non l’art. 9, ma l’art. 11, trattandosi di “atti pubblici e scritture private autenticate (…) non aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.

Con il secondo motivo di ricorso la società lamenta analoga violazione di legge con riferimento al D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, art. 5, dal momento che, trattandosi appunto di prestazione obbligatoria di fonte legale, se ne poteva anche predicare la natura tributaria, con conseguente radicale esclusione dell’imposizione di registro (anche nella misura fissa), stante il principio del ne bis in idem impositivo ed il divieto di doppia imposizione (a nulla rilevando che la stessa società avesse optato per la registrazione in misura fissa, discendendo ciò da mero interesse ad ottenere certezza di stipula e di data).

p. 2.2 I due motivi di ricorso sono suscettibili di essere trattati unitariamente perché entrambi incentrati – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – sulla erronea individuazione della natura giuridica dell’atto tassato e della relativa aliquota tariffaria ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986.

Essi sono infondati.

Questa corte di legittimità si è più volte occupata – seppure ai diversi fini del riparto di giurisdizione – dei contributi dovuti alla Regione ed ai Comuni dai titolari di autorizzazioni estrattive, sempre escludendone la natura tributaria.

Un quadro di sintesi dell’indirizzo così delineatosi è contenuto nella recente pronuncia delle Sezioni Unite (ord. n. 1182/2020), secondo cui: “appartiene alla giurisdizione ordinaria, e non a quella tributaria, la controversia relativa al pagamento dei prelievi previsti dalla L.R. Campania n. 1 del 2008, art. 19, e della L.R. Campania n. 15 del 2005, art. 17, a carico dei titolari di autorizzazione all’attività estrattiva e dei concessionari alla coltivazione di giacimenti per attività estrattiva, atteso che tali contributi non sono collegati alla redditività dell’attività di gestione delle cave ma trovano la loro “ratio” nell’esigenza di indennizzare la collettività per i pregiudizi recati dallo sfruttamento del suolo all’ambiente circostante; pertanto, i predetti prelievi non svolgono, nei confronti del bilancio dell’ente territoriale, la funzione genericamente contributiva o commutativa di un servizio che caratterizza i tributi ma, piuttosto, quella di sollevare l’ente medesimo dallo specifico onere finanziario di ripristinare le condizioni ambientali pregiudicate dall’attività di estrazione, così assumendo la natura di indennizzi posti a carico dei concessionari e dei titolari di autorizzazione per neutralizzare le conseguenze – nocive ma legittime – correlate all’attività produttiva svolta”.

Si è in proposito osservato che:

– ormai consolidati, anche a seguito di molte decisioni della Corte Costituzionale (sent.nn. 167/18, 89/18, 236/17, 269/17 ed altre) sono i parametri identificativi (avulsi dal nomen utilizzato dal legislatore) del carattere tributario della prestazione; dati dalla matrice legislativa della prestazione imposta, dalla sua doverosità e vincolatività per il privato, dalla correlazione con la spesa pubblica e con l’esigenza di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell’ente impositore;

– nella specifica materia dell’attività di estrazione di cava, la Corte Costituzionale (sent. 89/2018 cit., richiamante la sent. C. Cost. n. 387/90 relativa agli analoghi contributi di cava di cui alla L.R. Veneto n. 44 del 1982, art. 20) ha escluso la natura tributaria del contributo L.R. Sicilia 7 maggio 2015, n. 9, ex art. 83, nella parte in cui prevede un canone di produzione annuo dovuto dai titolari di concessioni per lo sfruttamento di giacimenti minerari di cave, commisurato alla quantità nonché alla qualità del minerale estratto e destinato in parte alla Regione ed in parte al Comune interessato, con vincolo “alla realizzazione di opere di recupero e riqualificazione ambientale” oltre che al recupero dei beni confiscati alla mafia e alle organizzazioni criminali, appunto osservando che questa prestazione economica “…si pone a latere del titolo che legittima l’attività estrattiva. Non è influenzato dalla titolarità, pubblica o privata, del giacimento; si lega, piuttosto, all’insieme di competenze amministrative correlate all’attività estrattiva nonché alle caratteristiche della stessa, tali da incidere sulla salubrità e integrità ambientale del territorio interessato dalla relativa iniziativa imprenditoriale”;

– i contributi in questione costituiscono dunque non prelievi tributari ma strumenti diretti ad assicurare l’esecuzione di tutta una serie di interventi pubblici (anche ulteriori rispetto al mero recupero dell’area di cava e delle strade di accesso) funzionali alla salvaguardia dei beni collettivi dell’ambiente e del territorio dall’impatto su di essi indotto dalla localizzazione delle cave e dall’esercizio dell’attività estrattiva (paesaggio, viabilità, salubrità ecc…), con correlativo e “specifico onere dei comuni (…) di ripristinare le condizioni ambientali e territoriali pregiudicate dall’attività di estrazione”, senza che ciò concreti una “funzione genericamente contributiva al bilancio dei comuni o commutativa di un servizio, che caratterizza i tributi (cfr.Cass.S.U. nn. 27347/2009 e 26815/2009, che in motivazione richiamano Cass. n. 28168/2008 e Cass. n. 18045/2008, rese con riguardo ai contributi per attività estrattive disciplinati dalla L.R. Marche 1 dicembre 1997, n. 71, art. 17”.

Orbene, non vi sono ragioni per ritenere che questi principi – formulati con specifico riguardo ai contributi di cava previsti da varie leggi regionali e, segnatamente, dalla legislazione regionale campana successiva alla L.R. n. 54 del 1985 (qui in diretta considerazione) ma sul presupposto di essa e degli oneri economici da quest’ultima posti a carico dei concessionari convenzionati – non siano applicabili anche nella presente controversia.

Infatti, quanto finora considerato si attaglia appieno – sia per collegamento con la convenzione sia per finalizzazione comunale della prestazione – anche al contributo previsto dalla L.R. in esame, art. 18 (come sostituito dalla L.R. n. 17 del 1995, art. 14), secondo cui: “Convenzione fra imprenditori e Comuni. 1. Fra il richiedente l’autorizzazione o la concessione e il Comune o i Comuni interessati, viene stipulata una convenzione, secondo lo schema tipo approvato dalla Giunta Regionale, nel quale sarà previsto che il titolare dell’autorizzazione o della concessione è tenuto a versare, in unica soluzione entro il 31 dicembre di ogni anno, al Comune o ai Comuni interessati, un contributo sulla spesa necessaria per gli interventi pubblici ulteriori, rispetto alla mera ricomposizione dell’area. 2. Il suddetto contributo verrà determinato dal Presidente della Giunta Regionale o suo delegato in relazione al tipo, qualità o quantità del materiale estratto nell’anno ed in conformità alle tariffe stabilite dalla Giunta Regionale. 3. Le somme introitate dai Comuni, ai sensi del precedente comma 2, debbono essere prioritariamente utilizzate dai Comuni medesimi per la realizzazione di interventi e di opere connesse alla ricomposizione ambientale o alla riutilizzazione delle aree interessate da attività di cava. 4. Il mancato pagamento comporta, comunque, la revoca della concessione o dell’autorizzazione. (…)”.

Anche questo specifico contributo deve dunque essere sottratto alla sfera tributaria (Cass. SS.UU. cit.), il che rende qui senz’altro inapplicabili i principi (ne bis in idem; divieto di doppia imposizione) di cui la società ricorrente lamenta la violazione.

Sennonché, escluso che si verta di “imposizione su imposta” vanno al contempo disattese anche le ulteriori argomentazioni della contribuente, dal momento che la finalità compensativa ed indennitaria del danno ambientale genericamente inteso (pur astrattamente rilevante per altri tipi di imposizione, come quella reddituale) risulta di per sé inidonea ad escludere la natura non solo economica ma prettamente patrimoniale della prestazione convenzionata ai fini dell’imposta di registro; vale a dire, ai fini di una tipica ‘imposta d’attò che, nel caso di specie, colpisce indubitabilmente un trasferimento di ricchezza ed un incremento patrimoniale (in capo all’ente pubblico) che trova il proprio sostrato e la propria giustificazione causale nello sfruttamento di cava.

Corretta deve dunque ritenersi l’aliquota del 3% di cui al D.P.R. n. 131 del 1986, allegata tariffa, Parte Prima, art. 9 (“Atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”), sulla base imponibile determinata citato D.P.R., ex art. 43, lett. h): “h) per i contratti diversi da quelli indicati nelle lettere precedenti, aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, dall’ammontare dei corrispettivi in denaro pattuiti per l’intera durata del contratto”.

Ne segue il rigetto del ricorso, con la condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

 

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2000,00, oltre spese prenotate a debito;

– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, riunitasi con modalità da remoto, il 16 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

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