Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6364 del 10/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 10/03/2017, (ud. 25/01/2017, dep.10/03/2017),  n. 6364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17140/2015 proposto da:

L.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIRSO 90,

presso lo studio legale dell’avvocato GIOVANNI PATRIZI, presso

l’avvocato SALVATORE QUINTINO FEROCINO che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati LIDIA

CARCAVALLO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO;

– controticorrenti –

e contro

INAI, (OMISSIS), in persona del dirigente con incarico di livello

generale, Direttore della Direzione Centrale Prestazioni,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo

studio dell’avvocato LUCIANA ROMEO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LUCIA PUGLISI;

– resistente –

avverso la sentenza n. 93/2014 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 02/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/01/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. La Corte d’appello di Perugia ha rigettato il gravame proposto da L.F. avverso la sentenza del Tribunale di Spoleto che, sul presupposto della discontinuità dell’esposizione all’amianto, aveva rigettato la domanda tesa all’accertamento del suo diritto ai benefici contributivi previsti dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8.

2. La Corte territoriale ha accertato che i periodi di sospensione del rapporto di lavoro in Cigs avevano comportato significative interruzioni nell’esposizione tra il 1982 ed il 1988 e che di questi non si poteva tenere conto nel calcolo del periodo di effettiva esposizione; questa pertanto si riduceva a 515 settimane e non superava i dieci anni necessari per il riconoscimento del beneficio contributivo azionato.

Ha poi confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto inammissibile, perchè immotivata e tardiva, la richiesta di modifica delle conclusioni con indicazione di un ulteriore periodo di esposizione, non indicato nel ricorso ma risultante dalle domande amministrative presentate ed allegate agli atti.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre L.F. con due motivi.

4. Resiste l’Inps con controricorso; l’Inail si è costituito con mandato in calce al ricorso notificato.

5. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma

semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8, con riguardo alla ritenuta interruzione dell’esposizione continuativa durante i periodi di cassa integrazione guadagni.

2. La censura è manifestamente infondata.

Questa Corte ha chiarito che in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, non sono computabili per la determinazione del periodo complessivo dell’esposizione i periodi di collocamento del lavoratore in cassa integrazione guadagni, ove essi abbiano avuto significativa durata ed ove abbiano comportato in concreto, a cagione del loro protrarsi e dell’eventuale prossimità ad altre sospensioni della prestazione lavorativa, l’effettivo venir meno del rischio tutelato (cfr. Cass. 4/8/2010 n. 18134 e, più recentemente, Cass. 29/9/2015 n. 19980).

2.1. Nel caso in esame, la Corte di merito risulta avere fatto applicazione di tale principio, laddove ha rilevato che i periodi di cassa integrazione guadagni avevano comportato una significativa interruzione dell’esposizione morbigena, essendosi protratti nel periodo dal 1982 al 1988 (con la sola esclusione del 1985) per una consistente durata, che andava dalle 10 settimane del 1982 alle 35 settimane del 1986, e pari complessivamente a centoventinove settimane, che non potevano di conseguenza essere computate ai fini del decennio.

3. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata l’errata interpretazione ed applicazione di norma di diritto, oltre che l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio, in relazione all’art. 420 c.p.c.. Ad avviso del ricorrente, il Tribunale e la Corte d’appello avrebbero errato nel ritenere che la richiesta formulata all’udienza del 21.12.2011 – di modificare il periodo di durata del rapporto di lavoro con esposizione qualificata all’amianto da quello indicato nel ricorso (2.2.1976-19.6.1988) a quello effettivo quale risultante anche dalle domande amministrative dal curriculum lavorativo e dall’estratto contributivo (2.2.1976-13.7.1993) – costituisse una tardiva richiesta di emendatio libelli come tale inammissibile e non, piuttosto, una mera indicazione e ricognizione di un dato cronologico omesso per mera svista, già risultante dalla documentazione allegata al ricorso di cui costituiva parte integrante.

2.1. Neppure tale motivo è fondato.

La Corte d’ appello ha rilevato che la modifica delle conclusioni era stata chiesta in data 21.12.2001 quando la causa era pendente dal 27 maggio 2009 e che era stata proposta dopo l’espletamento della c.t.u., quando nè il ricorso nè le istanze istruttorie facevano riferimento all’ulteriore periodo. Ha quindi ritenuto non trattarsi di rettifica di errore materiale, ma di modifica della domanda, e la relativa autorizzazione era stata correttamente negata dal Tribunale in quanto chiesta tardivamente e senza ragionevole giustificazione. 2.2. La soluzione è corretta ed adeguatamente argomentata.

Deve preliminarmente rilevarsi che nel contestare la motivazione del giudice di merito laddove ha escluso che la richiesta di modifica della domanda costituisse correzione di errore materiale sulla base dell’interpretazione degli atti di causa, non vengono denunciati da parte del ricorrente errori processuali, ma si formula un’ argomentazione meramente contrappositiva, che quindi inammissibilmente richiede a questa Corte un sindacato del merito della valutazione della Corte territoriale.

2.3. La soluzione adottata dalla Corte di merito è poi coerente con il principio, in più occasioni ribadito da questa Corte (v. da ultimo Cass. n. 17176 del 29/07/2014) secondo il quale nel rito del lavoro, la disciplina della fase introduttiva del giudizio risponde ad esigenze di ordine pubblico attinenti al funzionamento stesso del processo, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che lo informano, con la conseguenza che non sono ammesse domande nuove, nè modificazioni della domanda già proposta, essendo ammesse solo le modifiche che comportino una “emendatio libelli” solo all’udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e della ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla legge.

3. Segue il rigetto del ricorso e la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del controricorrente Inps, liquidate come da dispositivo.

4. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese in favore dell’Inail, considerato che il rigetto del ricorso per cassazione non comporta, in favore della parte intimata che si sia limitata a depositare la procura speciale, nè la liquidazione degli onorari, non costituendo detta procura un elemento univocamente indicativo della prestazione relativa allo studio della controversia, nè l’attribuzione delle spese della procura stessa, siccome attinenti ad un atto che non si è tradotto in alcuna specifica utilità processuale ed è rimasto sostanzialmente superfluo, così da legittimare il potere di esclusione dalla ripetizione previsto dall’art. 92 c.p.c., comma 1 (Cass. 04/02/1994 n. 1153, Cass. 24/09/2004 n. 19274).

5. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Inps delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre ad e 100,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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