Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6364 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/03/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6364

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24691-2018 proposto da:

M.A., in proprio e nella qualità di legale

rappresentante della MI & MI DI A.M. E C. SAS IN

LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LEONCAVALLO 2,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIOVANNI MARIA LADISI, che

li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI, in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso la sentenza n. 647/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RIVERSO

ROBERTO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Roma sezione lavoro e previdenza, in riforma della sentenza appellata dalla DPL di Roma, respingeva la opposizione proposta da M.A. avverso le ordinanze ingiunzioni con le quali gli era stato intimato il pagamento di somme a titolo di sanzioni amministrative che traevano origine dall’accertamento ispettivo della Guardia di Finanza del 16 agosto 1007 nel quale si affermava che il M., titolare di un esercizio di ristorazione in Ladispoli, avesse assunto alle sue dipendenze come apprendista cuoco P.S. formalmente da aprile 2007 a fronte dell’effettivo inizio dell’attività lavorativa nel febbraio 2007.

A fondamento della decisione la Corte, ribaltando il giudizio espresso dal primo giudice, riteneva che le dichiarazioni rese dal P. alla Guardia di Finanza in occasione dell’accertamento ispettivo dovevano ritenersi, nel contrasto con quelle rese in sede testimoniale, più veritiere sia perchè rese nell’immediatezza, sia perchè oltremodo dettagliate quanto alle modalità del concreto svolgimento dell’attività lavorativa.

Avverso la sentenza ha ricorso per cassazione con due motivi M.A.; nel ricorso è contenuta istanza incidentale di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza.

Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali si è costituito ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

E’ stata comunicata la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.- col primo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; in quanto la Corte attribuendo maggiore efficacia probatoria ai verbali ispettivi aveva sovvertito l’onere probatorio in materia di accertamento dell’illecito contestato stabilito dall’art. 2697 c.c.

2.- Con il secondo motivo viene dedotto l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia avendo la Corte d’appello errato nella valutazione degli elementi probatori acquisiti evidenziando solo gli elementi utili a sostenere le tesi della Direzione territoriale del lavoro.

3.- I motivi di ricorso da esaminare unitariamente per il contenuto delle censure, sono inammissibili posto che pongono questioni di merito non ammissibili in questa sede e comunque non riconducibili ad alcuno dei motivi di cui all’art. 360 c.p.c.; inoltre il ricorso non deduce fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. S.U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).

4.- Va infatti osservato che la Corte d’appello ha accertato l’esistenza della violazione in merito all’effettiva data di inizio del rapporto di lavoro di un dipendente del ricorrente sulla scorta delle dichiarazioni raccolte in occasione dell’accertamento ispettivo, avendole ritenute più veritiere sia perchè rese nell’immediatezza, sia perchè dettagliate quanto alle modalità del concreto svolgimento dell’attività lavorativa. Quella presa dalla Corte appare perciò una valutazione congrua che rientra nei tipici poteri del giudice di merito effettuare e che non viola alcuna norma di legge, dal momento che la decisione cui è prevenuta al Corte territoriale rappresenta una legittima e logica opzione valutativa del materiale probatorio, e si sottrae quindi alle censure articolate nel ricorso con le quali, anzitutto, sotto le mentite spoglie di violazioni di legge, la parte ricorrente si limita a richiedere una diversa valutazione dei fatti già esaminati dal giudice di merito (Cass. 8758/2017).

5.- Non sussiste del resto la denunciata carenza di motivazione, perchè l’impugnata sentenza ha invece svolto argomentazioni motive idonee ad esplicitare il procedimento logico giuridico posto a sostegno di ogni punto qualificante della decisione. D’altronde, non risultano indicate in ricorso, in maniera precisa e specifica, lacune od omissioni decisive che, se evitate, avrebbero condotto ad una diversa decisione (Sez. Un. 7 aprile 2014, nn. 8053, 8054).

6.- Per contro è pure ripetutamente affermato da questa Corte di Cassazione che, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.

7.- Pure infondata è infine la censura relativa all’onere della prova posto che la Corte territoriale non ha invertito l’onere della prova in materia di illecito ammnistrativo, avendo solo affermato che le prove acquisite in fase ispettiva comprovassero l’esistenza della violazione contestata. E ciò in conformità alla giurisprudenza consolidata (Cass. 23800/2014, 11946/2005, 17335/2009, 14038/2005, 405/2004) secondo cui anche le dichiarazioni rese in sede ispettiva e lo stesso verbale ispettivo possono fare prova dei fatti (privilegiata ex art. 2700 c.c. oppure ordinaria, a seconda dei casi) anche a preferenza delle dichiarazioni rese in istruttoria, dal momento che la valutazione e la selezione degli elementi probatori è rimessa al giudice del merito e non è di per sè sindacabile in sede di legittimità.

8.- Per quanto attiene al valore probatorio delle dichiarazioni acquisite nel giudizio la legge non consente infatti di attribuire in modo aprioristico prevalenza all’una o all’altra delle medesime dichiarazioni: e quindi nè di vincolare il giudice al contenuto delle dichiarazioni testimoniali raccolte in istruttoria, nè di riconoscere efficacia di prova legale al contenuto intrinseco delle dichiarazioni rese in fase amministrativa.

9.- Vale il principio generale secondo cui tutte le dichiarazioni introdotte in un giudizio civile devono essere valutate nel complesso del materiale raccolto, non esistendo alcuna rigida gerarchia. Il giudice deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti alla causa; e deve perciò analizzare criticamente tutto il materiale istruttorio acquisito nella causa; e può dare credito esclusivo a quello acquisito in precedenza dal pubblico ufficiale ed anche valorizzarne la portata alla luce della dichiarazione resa in giudizio da un dichiarante (che non sia verosimile, attendibile e concludente).

Perciò, dal punto di vista della valenza probatoria intrinseca, le dichiarazioni raccolte dagli organi accertatori in sede ispettiva, pur non avendo efficacia di piena prova fino a querela di falso ex art. 2700 c.c., hanno bensì valore di prova sufficiente alla decisione della causa, che può essere infirmata solo da una prova contraria che sia ovviamente attendibile, credibile e logica secondo il prudente apprezzamento del giudice; la cui valutazione può essere tuttavia sottoposta a censura in sede di legittimità solo dentro le maglie costituite dall’art. 360 c.p.c., n. 5, in vigore il quale consente oggi di sindacare l’accertamento dei fatti solo sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti.

10.- Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Nulla deve essere disposto sulle spese processuali non avendo l’intimato esercitato attività difensiva. Deve darsi atto, inoltre, che sussistono le condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello se dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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