Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6363 del 10/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 10/03/2017, (ud. 25/01/2017, dep.10/03/2017),  n. 6363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15618/2015 proposto da:

G.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. BERTOLONI

31, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA RAPONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato TERESA NOTARO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI,

EMANUELA CAPANNOLO, CLEMENTINA PULLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 487/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 16/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/01/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. La Corte d’ appello di Messina ha riformato la sentenza del Tribunale di Patti ed ha rigettato la domanda proposta da G.F. tesa al riconoscimento del diritto a percepire la pensione di inabilità avendo verificato, in esito ad una nuova consulenza medico legale, che l’invalido aveva la propria capacità lavorativa ridotta in misura non superiore al 74%. Inoltre ha accertato che con riguardo all’assegno di assistenza non ne sussistevano le condizioni reddituali.

2. Per la cassazione della sentenza ricorre G.F. denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. Sostiene il ricorrente che nella sua valutazione il consulente nominato dalla Corte d’appello, diversamente da quello nominato in primo grado che aveva ritenuto sussistente una invalidità nella misura richiesta per il conseguimento della pensione di inabilità, si sarebbe in parte contraddetto ed avrebbe ignorato la documentazione sanitaria prodotta, dalla quale emergeva la gravità delle patologie dalle quali è affetto, di conseguenza sottostimandole.

3. L’Inps ha resistito con controricorso; il G. ha depositato anche memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. S.U. 7.4.2014 n. 8053 e 8054 e altre successive).

2. Inoltre, il vizio, denunciabile in sede di legittimità, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura costituisce mero dissenso diagnostico che si traduce in un’inammissibile critica del convincimento del giudice, pretendendo da questa Corte un sindacato di merito inammissibile (v. Cass., ord. 3 febbraio 2012, n. 1652).

3. Nel caso in esame la Corte territoriale, con una valutazione complessiva degli elementi istruttori acquisiti al giudizio, superando anche nella sostanza le osservazioni critiche alla c.t.u., è pervenuta al convincimento che il G. non si fosse mai trovato nelle condizioni per potere beneficiare della pensione di inabilità, poichè le pur gravi patologie incidevano complessivamente in misura non sufficiente a tale scopo, recependo il parere reso dal consulente medico legale operato “individuando per ciascuna patologia i relativi codici e il grado di invalidità che comportano e sulla base dei corretti metodi”.

4. Con il ricorso non si contesta tanto l’omesso esame di un fatto decisivo, quanto piuttosto la complessiva ricostruzione operata dalla Corte d’ appello, prospettandone una diversa e più favorevole al ricorrente. Anche laddove richiama la violazione dei codici tabellari contenuti nel D.M. n. 43 del 1992, in effetti il ricorrente richiede una valutazione di maggiore gravità delle affezioni rispetto a quella operata in sede di merito, idonea a detetininare un diverso inquadramento nelle voci tabellari. Il ricorso risulta dunque sollecitare una valutazione in contrasto con i limiti della cognizione di legittimità come sopra delineati.

5. Segue il rigetto del ricorso.

6. Le spese del presente giudizio vanno dichiarate non ripetibili, in virtù della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c..

7. Sussistono invece i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, considerato che il presupposto di insorgenza di detto obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. da ultimo ex multis Cass. ord. 16/02/2017 n. 4159).

PQM

Rigetta il ricorso. Non assoggetta il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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