Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6362 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/03/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6362

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22084-2018 proposto da:

L.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA APPIA NUOVA 251,

presso lo studio dell’avvocato MARIA SARACINO, rappresentato e

difeso dagli avvocati MARCO PAGLIARA, DONATO GRASSO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI DIREZIONE TERRITORIALE

DEL LAVORO DI FOGGIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 28/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RIVERSO

ROBERTO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’appello di Bari sezione lavoro ha rigettato l’appello proposto da L.S. avverso la sentenza che aveva respinto l’opposizione all’ordinanza ingiunzione con la quale il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali – Direzione territoriale del lavoro di Foggia gli aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 2329,25 oltre accessori a titolo di sanzione amministrativa e spese di procedura per violazione delle norme di legge ivi indicate, per avere dichiarato in modo non veritiero il reale rapporto intercorrente con la lavoratrice C.P. registrato come rapporto di associazione in partecipazione e qualificato in sede ispettiva come di lavoro subordinato.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione L.S. con due motivi di ricorso. Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali – Direzione territoriale del lavoro di Foggia è rimasto intimato. E’ stata comunicata la proposta del giudice relatore unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.- col primo motivo il ricorso deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c. in riferimento al D.L. n. 152 del 1997, art. 1, comma 1, alla L. n. 863 del 1978, art. 30; al D.L. n. 112 del 2008, art. 39, comma 3, convertito in L. n. 133 del 2008, al D.L. n. 338 del 1989, art. 4, comma 5, come sostituito dal D.L. n. 6 del 1993, art. 2 bis, avendo la Corte d’appello omesso la verifica dei presupposti degli elementi probatori per la qualificazione preliminare del rapporto di lavoro subordinato, ciò comportando l’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme applicabili al caso di specie. La Corte ha ritenuto di omettere la verifica della sussistenza degli specifici elementi caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato ex art. 2094 c.c. giudicando la fattispecie in base alla norma ex art. 2552 c.c. che non poteva regolare il caso in esame in quanto deve escludersi che il mancato accertamento del rapporto di associazione equivalga ipso facto alla dimostrazione dell’esistenza della subordinazione.

2.- Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 24Cost., comma 3, dell’art. 115 c.p.c.; applicazione di un limite di ammissibilità non previsto dalla legge in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’appello confermato l’ordinanza istruttoria del giudice di primo grado che aveva rigettato implicitamente ogni richiesta istruttoria; in particolare la prova per testi violando così il diritto alla difesa ed al contraddittorio.

3.- I due motivi di ricorso, da esaminare unitariamente per la connessione delle censure che propongono, sono inammissibili; avendo la Corte proceduto alla valutazione delle prove raccolte selezionando il materiale probatorio, in conformità alle regole e secondo i poteri conferitele dalla legge, senza alcuna inversione dell’onere della prova, rispettando le norme sulla qualificazione del rapporto; dal momento che la Corte, oltre ad avere accertato la mancanza del rendiconto annuale previsto dal contratto di associazione, e la mancata partecipazione della presunta associante alle perdite, ha accertato che la lavoratrice giovanissima, all’epoca di 18 anni, praticamente priva di qualsiasi esperienza lavorativa nel settore lavorava ogni giorno osservando gli orari di apertura e chiusura della ditta, con mansioni di commessa espletando l’attività di per sè tipicamente inquadrabile nell’alveo di un rapporto di lavoro subordinato.

4.- Sulla scorta di tali elementi la Corte ha escluso l’esistenza di un rapporto di associazione in partecipazione. E quella presa appare perciò una decisione congrua che rientra nei poteri del giudice di merito effettuare e che non viola alcuna norma di legge in ordine alla qualificazione ed alla sussunzione del fatto accertato. Deve ritenersi perciò che la decisione cui è prevenuta al Corte territoriale rappresenti una legittima e logica opzione valutativa del materiale probatorio, e si sottragga quindi alle censure articolate nel ricorso con le quali, anzitutto, sotto le mentite spoglie di violazioni di legge, la parte ricorrente si limita a richiedere una diversa valutazione dei fatti già esaminati dal giudice di merito (Cass. 8758/2017), peraltro in una ipotesi di doppia conforme. D’altronde, non risultano indicate in ricorso, in maniera precisa e specifica, lacune od omissioni decisive che, se evitate, avrebbero condotto ad una diversa decisione (Sez. Un. 7 aprile 2014, nn. 8053, 8054).

Per contro è pure ripetutamente affermato da questa Corte di Cassazione che, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.

5.- Pure infondata è infine la censura relativa alla mancata ammissione delle prove avendo la Corte esplicitamente osservato che i capitoli di prova dedotti fossero inammissibili perchè valutativi, pacifici, irrilevanti, generici, riproduttivi di clausole del contratto di associazione, in contrasto con esse ovvero del contenuto della dichiarazione dei redditi e delle buste paga in atti.

6.- Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Nulla deve essere disposto sulle spese processuali non avendo l’intimato esercitato attività difensiva.

7.- Deve darsi atto, inoltre, che sussistono le condizioni processuali richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto, a carico del ricorrente.

8.- Sussistono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello se dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello se dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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