Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6361 del 10/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.10/03/2017),  n. 6361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24080/2015 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA (C.F. e P.I. (OMISSIS)), in persona

dell’istitore pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO BONAMICO;

– ricorrente –

contro

A.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSI 2,

presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PIERANGELO SCACCHI;

– controricorrente –

nonchè:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dell’avvocato

VINCENZO STUMPO, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

RETI FERROVIARIA ITALIANA SPA (C.F. e P.I. (OMISSIS)), in persona

dell’istitore pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.

FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCO BONAMICO;

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 154/2015 della CORTR D’APPELLO di TORINO,

depositata il 14/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza del 14.4.2015, la Corte di appello di Torino, in accoglimento dell’appello principale proposto dall’INPS, respingeva le domande proposte dalla Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. nei confronti del primo, dirette ad ottenere il pagamento in restituzione di guanto pagato a titolo di TFR, quale committente obbligato con vincolo di solidarietà, ad A.S., lavoratore dipendente della società appaltatrice P.M. Ambiente s.p.a; respingeva il gravame incidentale proposto dalla società RH, inteso ad ottenere il rigetto nei sui confronti della domanda di pagamento di quote di TFR dovute all’ A. (a seguito della estinzione del giudizio, per effetto di transazione, relativamente alle differenze retributive diverse dal TFR), ritenendo inammissibile, perchè prospettata per la prima volta in appello, la deduzione di RFT relativa all’ esclusione di ogni obbligo nei confronti del lavoratore sul presupposto che il contratto di appalto era stato stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006 ed in quanto tale non soggetto alla disciplina del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29;

che, in particolare, era disattesa la tesi di RFI della sussistenza di un diritto di surrogazione da parte del committente nei diritti del lavoratore nei confronti del Fondo di Garanzia per il credito al TFR, quale conseguenza dell’assolvimento degli obblighi dell’appaltatore nei confronti dei propri dipendenti in forza del vincolo di solidarietà D.Lgs n. 276 del 2003, ex art. 29 e che la dedotta insussistenza di ogni credito del lavoratore nei confronti dello stesso anche per le quote di tfr maturate dopo il 1.1.2007 era da ritenere priva di fondamento, sia perchè non vi era prova alcuna dell’avvenuto versamento al Fondo delle quote di tfr da parte dell’appaltatrice P.M. Ambiente, sia per l’inammissibilità della deduzione relativa all’inapplicabilità del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, fondata sulla circostanza che il rapporto di appalto era regolato dal D.Lgs. n. 163 del 2006 (codice degli appalti), per essere stata la stessa formulata per la prima volta in sede di impugnativa;

che di tale sentenza RFI spa chiede la cassazione affidando l’impugnazione a tre motivi, cui hanno opposto difese, con controricorsi, nonchè l’INPS, che ha proposto ricorso incidentale condizionato, al quale, con proprio controricorso, ha resistito RFI spa;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale i ricorrenti, principale ed incidentale, hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo del ricorso principale, RFI deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 434 e 436 bis c.p.c., artt. 112 e 115 e 437 c.p.c., in relazione alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 e del D.Lgs. n. 163 del 2006 (codice dei contratti pubblici), artt. 2, 5 e 118 e Allegato 6^, nonchè del D.P.R. n. 207 del 2010, artt. 4, 5 e 6 e denunzia nullità del procedimento o della sentenza, nonchè omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione alle disposizioni normative suindicate, sostenendo che doveva ritenersi incontestato tra le parti il presupposto di fatto, ritenuto non dedotto tempestivamente dalla Corte di appello, della stipulazione, tra Rete Ferroviaria Italiana e la P.M. Ambiente, di un contratto di appalto che come tale e per ciò solo era soggetto alle disposizioni del D.Lgs. n. 163 del 2006, di cui indubitabilmente RFI era soggetto destinatario, e che il divieto richiamato in sentenza doveva ritenersi non estensibile alle domande o eccezioni fondate su diversi presupposti giuridici ma sui medesimi fatti;

con il secondo motivo, la ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione dell’art. 1203 c.c., n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, L. n. 297 del 1982, artt. 1 e 2, anche in relazione alle Direttive Cee e dell’art. 3 Cost., sul rilievo che l’adempimento di un obbligo ex lege da parte del committente, coobbligato solidale, non può escludere il diritto di quest’ultimo a rivalersi sul Fondo di Garanzia per effetto di surroga rispetto alla posizione del lavoratore, in applicazione dell’art. 1203 c.c., che consente la surrogazione del solvens rispetto ai diritti dell’accipiens;

che, con il terzo motivo, lamenta violazione o falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 755-757, D.M. 30 gennaio 2007 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2120 c.c., nonchè in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, sostenendo l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui non ha ritenuto la totale estraneità di RFI al pagamento del TFR maturato dal lavoratore a far data dal 1.1.2007, per essere il relativo pagamento a carico non già del datore di lavoro – appaltatore, ma del Fondo di Tesoreria gestito dall’INPS;

che ritiene il Collegio sia da respingere il ricorso principale della spa RFI;

che, quanto al primo motivo, deve rilevarsi – con efficacia assorbente rispetto alle questioni relative alla ritualità delle deduzioni formulate per la prima volta in appello in ordine alla applicabilità del D.Lgs. n. 163 del 2006 – l’insussistenza di un divieto di applicazione della D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 (divieto pure affermato da Cass. 15432/2014 in riferimento alle pubbliche amministrazioni) nei confronti dei soggetti privati, quale Trenitalia s.p.a., cui pure si applica il codice dei contratti pubblici, nella sua qualità di “ente aggiudicatore”, valendo per essi il regime di responsabilità solidale stabilito dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, anche qualora committenti in appalti pubblici, alla cui disciplina pure siano soggetti;

che è stata, invero, esclusa ogni incompatibilità o rapporto di esclusione tra le due discipline – cfr. Cass. 10731/2016, con rinvio alle argomentazioni ivi esposte con riferimento ai diversi ambiti di incidenza della disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, che regola la materia dell’occupazione e del mercato del lavoro, apprestando una più forte protezione e tutela ai lavoratori, titolari di un’azione diretta – in via solidale con il proprio datore di lavoro – nei confronti del committente per ottenere i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti in dipendenza dell’appalto, e di quella di cui al D.Lgs. n. 163 del 2006, che opera, invece, sul diverso piano della disciplina degli appalti pubblici, prevedendo ugualmente una tutela dei lavoratori, ma per effetto di una disciplina sintomatica di una più preoccupata attenzione legislativa alla corretta esecuzione dell’appalto pubblico, siccome non riguardante soltanto diritti dei lavoratori, ma anche l’appaltatore inadempiente nel suo rapporto con il committente pubblico, come osservato anche da Cass. 7 luglio 2014, n. 15432;

che, con riferimento al secondo motivo, col quale si afferma come erronea la ritenuta esclusione del diritto della ricorrente alla surrogazione nei diritti dei lavoratori nei confronti del Fondo di garanzia istituito presso l’Inps, la infondatezza di quanto con lo stesso sostenuto è stata affermata in precedenti di questa Corte, che hanno evidenziato come la posizione giuridica soggettiva della committente Trenitalia s.p.a. non sia riconducibile a quella dell’avente diritto beneficiario della garanzia del Fondo istituito ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2, per il quale: “l’istituito presso l’Istituto, Nazionale della Previdenza Sociale il Fondo di Garanzia per il trattamento di fine rapporto con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, di cui all’articolo 2120 del codice civile, spettante ai lavoratori o loro aventi diritto” (cfr. Cass. 20.5.2016 un. 10543 e 10544);

che è stato in proposito rilevato che il committente, solidalmente responsabile con il proprio appaltatore, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2 (che recita: “In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, entro il limite di un anno dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti”), non trae la propria posizione in via derivata da un dante causa (nel caso di specie: il lavoratore) come invece il cessionario del suo credito, ma presta una garanzia in favore del datore di lavoro ed a vantaggio del lavoratore, adempiendo alla quale assolve ad un’obbligazione propria, istituita ex lege, che lo legittima, come nei rapporti tra condebitori solidali, ad un’azione di regresso ai sensi dell’art. 1299 c.c., nei confronti dell’appaltatore, obbligato principale;

che, pertanto, nei suoi confronti, quando si renda inadempiente, il medesimo committente può agire anche in surrogazione dei diritti del lavoratore, ai sensi dell’art. 1203 c.c., n. 3, in base al diverso titolo del rapporto di appalto assistito dal particolare obbligo di garanzia legale, posto che: “Ai fini dell’operatività della surrogazione legale di cui all’art. 1203 c.c., n. 3, non è necessario nè che il surrogante sia tenuto al pagamento del debito in base allo stesso titolo del debitore surrogato, nè che egli sia direttamente obbligato nei confronti dell’accipiens, richiedendo la norma soltanto che il surrogante abbia un interesse giuridicamente qualificato alla estinzione dell’obbligazione” (cfr. Cass. 16 dicembre 2013, n. 28061);

che per tale ragione è stato escluso che Trenitalia s.p.a. possa essere qualificata ad alcun titolo avente diritto del lavoratore, il quale riceve la propria garanzia attraverso il meccanismo predisposto dalla speciale normativa in materia di appalto, così essendo soddisfatto del proprio credito, ed è stato chiarito che, per effetto di ciò, vengono meno, per la parte così soddisfatta, i presupposti di applicabilità della garanzia del Fondo di Garanzia gestito dall’Inps, avendo l’adempimento del committente, obbligato solidale dell’appaltatore datore di lavoro, rimediato alla sua insolvenza, in virtù della garanzia istituita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, a carico del committente, sicchè, quest’ultimo non può sicuramente accedere, sulla base di un titolo autonomo, per la ragione detta, e pertanto non di derivazione diretta da quello del lavoratore (quale appunto suo “avente diritto”), a detto Fondo (cfr., nei termini richiamati, Cass. 10543 e 10544/2016 cit.);

che, infine, quanto alla censura prospettata nel terzo motivo di ricorso della società RFI, la Corte ha fondato la propria decisione – che ha escluso per il pagamento delle quote di TFR maturate dall’1.1.2007 l’obbligo del “Fondo per l’erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto”, istituito presso il Fondo Tesoreria dello Stato e gestito dall’INPS – sul rilievo che il datore di lavoro non è da considerare mero adiectus solutionis causa e che non vi sia stata alcuna prova in causa dell’avvenuto versamento al Fondo delle “quote” di tfr da parte della P.M. Ambiente s.p.a.;

che della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 756, prevede che “La liquidazione del trattamento) di fine rapporto e delle relative anticipazioni al lavoratore viene effettuata, sulla base di un’unica domanda, presentata dal lavoratore al proprio datore di lavoro, secondo le modalità stabilite con il decreto di cui al comma 757, dal Fondo di cui al comma 755, limitatamente alla quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro”, al che sarebbe dovuto conseguire un onere di specificazione della quota dei versamenti effettuati al Fondo da parte della società dichiarata successivamente in stato di insolvenza, onere ritenuto non assolto;

che, invero, deve rilevarsi che l’onere probatorio riferito all’effettivo versamento dei contributi spettanti al datore di lavoro, a norma della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 756, seconda parte, in funzione di finanziamento del Fondo di Tesoreria istituito dall’art. 1, comma 755 1. cit., secondo) il principio della cd. “ripartizione” (di cui illustrate le modalità di funzionamento in particolare a pg. 8 della sentenza) faccia carico allo stesso datore, costituendo lo stesso fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei confronti della loro datrice appaltatrice (e di conseguenza della committente obbligata solidale ex lege) il cui onere probatorio ricade sulla parte che lo opponga in eccezione (cfr. Cass. 19 maggio 2016 n. 10354, con richiamo a Cass. 27 giugno 2014, n. 14610; Cass. 8 giugno 2007, n. 13390);

che il contenuto delle memorie è inidoneo ad incidere sulla soluzione della controversia, dovendo osservarsi che la differente regolamentazione tra aggiudicatoti privati e aggiudicatoti pubblici stabilita in via interpretativa non è sospettabile di illegittimità costituzionale con riguardo agli assunti relativi alle disparità di trattamento fra Enti Pubblici e privati imprenditori ed alla limitazione di iniziativa economica di tali ultimi enti, per l’aggravio connesso alla ulteriore previsione di responsabilità ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29;

che, invero, quanto al primo profilo, sono state già bene evidenziate le peculiarità proprie delle due situazioni a confronto, che giustificano senz’altro la diversità delle discipline, dettate al fine di contemperare, in ciascun ambito, i diversi interessi che vengono in rilievo (v. da ultimo Cass. 10.10.2016 n. 20327), osservandosi che nell’appalto privato il committente non incontra alcun limite nella scelta del contraente, laddove nelle procedure di evidenza pubblica la tutela dei lavoratori è assicurata sin dal momento della scelta del contraente, poichè nella valutazione delle offerte “gli enti aggiudicatoti sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto) al costo del lavoro ed al costo relativo alla sicurezza…” (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 86) e ad effettuare controlli preventivi volti ad accertare non solo la solidità del concorrente, ma anche il rispetto da parte dello stesso della normativa in materia di sicurezza, degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro, degli adempimenti previdenziali ed assistenziali (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 38);

che, in particolare, come già evidenziato da questa Corte nella sentenza n. 15432/2014, alla cui motivazione si fa rinvio per la trattazione analitica di detti aspetti, la stazione appaltante è tenuta a verificare l’esattezza dell’adempimento degli obblighi assunti dall’appaltatore nei confronti dei prestatori ed a predeterminare la spesa dell’affidamento di un’opera in appalto, non potendo sottoscrivere contratti che li espongano ad esborsi non previamente preventivati e deliberati;

che la diversità delle situazioni a confronto e degli interessi che in ciascuna vengono in rilievo giustifica la posizione più “onerosa” prevista per tali imprenditori rispetto a quella di altri operatori economici o privati o PP.AA., in relazione alla peculiarità della loro qualificazione giuridica, che li rende soggetti ad entrambe le discipline per la duplice connotazione, e rende manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, prospettata dalla difesa della ricorrente principale in relazione all’art. 3 Cost.;

che anche in relazione all’ulteriore profilo di incostituzionalità deve osservarsi come non sia precluso al legislatore modulare le tutele dei lavoratori in rapporto alla diversa natura dei committenti, ciò che, nel caso di soggetti aggiudicami privatistici, rende compatibile, a livello di sistema, la possibilità di invocare, da parte dei lavoratori, anche un intervento in regime di solidarietà degli stessi a fronte di inadempienze dell’appaltatore;

che, pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, debba pervenirsi al rigetto del ricorso principale, che assorbe l’esame del ricorso incidentale condizionato dell’INPS, fondato sull’assunto della improponibilità della domanda nei confronti di esso istituto per difetto di domanda amministrativa e della carenza di interesse ad agire da parte di RFI;

che le spese del giudizio di legittimità vanno regolate, in favore di ciascuno dei controricorrenti, come da dispositivo;

che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei riguardi del ricorrente principale.

PQM

rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale.

Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in favore di ciascuno dei controricorrenti, in Euro 100,00 per esborsi, Euro 2500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017

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