Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6360 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. II, 08/03/2021, (ud. 22/09/2020, dep. 08/03/2021), n.6360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24090-2019 proposto da:

I.M., rappresentato e difeso dall’Avvocato ASSUNTA FICO, ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in CROTONE, VIA

LIBERTA’ 27/B;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 635/2019 della CORTE d’APPELLO di CATANZARO

del 27/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso innanzi al Tribunale di Catanzaro del 16.9.2016, I.M., cittadino (OMISSIS) (originario della zona del distretto di (OMISSIS), nella provincia del (OMISSIS)) impugnava la decisione della Commissione Territoriale di Crotone, resa in data 19.7.2016 e notificata in data 18.8.2016, con cui era stata rigettata la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, ovvero della protezione umanitaria.

Con ordinanza del 12.6.2017 il Tribunale di Catanzaro rigettava il ricorso. Il ricorrente aveva dichiarato di aver lasciato il (OMISSIS) il 20.2.2015 perchè perseguitato in ragione del suo orientamento sessuale e dei rapporti omosessuali intrattenuti con altro giovane (OMISSIS), che avevano determinato l’emissione di una fatwa da parte dell’imam del villaggio nei suoi confronti e l’odio degli stessi familiari.

Il Tribunale condivideva il giudizio di inattendibilità del racconto, espresso dalla Commissione escludendo che sussistessero i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Inoltre, rilevava che il ricorrente non aveva allegato il rischio di venire coinvolto in situazioni di violenza indiscriminata in un contesto di conflitto armato e negava, del resto, che in (OMISSIS) vi fosse una situazione di conflitto armato che generasse violenza indiscriminata, sicchè riteneva insussistenti i presupposti della protezione sussidiaria. Infine, escludeva situazioni di emergenza sanitaria, ambientale o alimentare o altri motivi di carattere umanitario che giustificassero la protezione umanitaria, affermando che la documentazione prodotta relativamente alle condizioni di salute, essendo proveniente da una struttura privata, non forniva garanzie di attendibilità.

Avverso detta ordinanza proponeva appello M., che censurava la decisione di rigetto chiedendone la riforma.

Con sentenza n. 635/2019, depositata in data 27.3.2019, la Corte d’Appello di Catanzaro rigettava l’appello, ritenendo anch’essa che mancassero i presupposti per riconoscere veridicità alle dichiarazioni del M. che, con specifico riferimento alla situazione concreta denunciata, non erano suffragate da alcun elemento di prova. In particolare, tali dichiarazioni risultavano carenti, sotto moltissimi aspetti, dei requisiti di veridicità: non erano sufficientemente circostanziate quanto ai luoghi, alle persone e alle dinamiche degli eventi (ad esempio, il suo primo compagno era individuato solo con il nome e senza altra indicazione utile; le temute persecuzioni erano riferite a gente anonima; non veniva indicato il nome dell’imam che avrebbe emesso la fatwa); non erano stati forniti elementi di riscontro, da cui verificare la veridicità dei fatti narrati (ad es. non era stata prodotta documentazione circa la sua origine, l’esistenza e la frequentazione del compagno); non era fornita alcuna giustificazione della mancanza di tali elementi; le dichiarazioni presentavano aspetti di grave inverosimiglianza, incoerenza e incongruenza (ad es. egli si sarebbe accorto della sua omosessualità solo in seguito a un rapporto sessuale avuto in cambio di un prestito in denaro; di aver intrattenuto rapporti omosessuali senza prendere precauzioni per non essere scoperto).

Secondo la Corte territoriale anche la domanda di protezione sussidiaria non poteva essere accolta, in particolare quella prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) in quanto nella provincia di (OMISSIS), zona di provenienza dell’appellante, il numero e gli effetti degli attacchi terroristici possono considerarsi non particolarmente virulenti, considerata la notevole estensione territoriale e la folta popolazione. In tale territorio sarebbe, quindi, da escludere una situazione di violenza indiscriminata.

Non fondata risultava anche la domanda diretta al riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria. Infatti, nel caso concreto, fatta eccezione per la vicenda narrata e giudicata inattendibile, nessun’altra allegazione era stata effettuata nell’atto di appello di una specifica situazione di vulnerabilità.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione I.M. sulla base di cinque motivi. L’intimato Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 – Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Omessa audizione del ricorrente”, là dove la Corte d’Appello, nonostante gli asseriti dubbi in merito alla credibilità delle dichiarazioni dell’odierno ricorrente, ometteva di procedere all’audizione personale dello stesso, disattendendo l’espressa richiesta istruttoria avanzata dall’appellante.

1.1. – Il motivo è infondato.

1.2. – Anche a prescindere dalla inammissibilità della formulazione delle censure con riferimento alla violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel contenuto precettivo anteriore alla novella del 2012, non applicabile ratione temporis, va rilevato che non si ravvisa la asserita illegittimità della omessa nuova audizione del ricorrente. Correttamente, infatti, la Corte di merito giustificava il proprio operato, espressamente ritenendo non necessaria detta nuova audizione in quanto superflua, atteso che l’appellante, davanti alla Commissione Territoriale, aveva avuto modo di esporre con chiarezza i motivi che lo avevano indotto a lasciare il (OMISSIS).

La rinnovazione dell’ascolto del richiedente (Cass., n. 21584 del 2020n. 17717 del 2018) costituisce una scelta discrezionale, che compete al giudice di merito operare in base alle concrete circostanze di causa e alla necessità di vagliarle anche alla luce di quanto dichiarato di fronte alla Commissione; e ciò, a meno che: a) non vengano dedotti fatti nuovi a sostegno della domanda; b) il giudice ritenga necessaria la acqusizione di chiarimenti in ordine alle incongruenze o alle contraddizioni rilevate nelle dichiarazioni del richiedente; c) quest’ultimo (come nella specie) non ne faccia istanza, precisando gli aspetti in ordine ai quali intende fornire i predetti chiarimenti, e sempre che la domanda non venga ritenuta manifestamente infondata o inammissibile.

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 4: violazione art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa valutazione dei documenti prodotti”, La Corte d’Appello evidenziava che in data 18.6.2018 l’appellante produceva documentazione volta a comprovare la sua attuale attività di lavoro in Italia e il suo inserimento sociale.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Con apprezzamento sottratto al vaglio di legittimità, il Giudice di secondo grado stabiliva che, quanto all’inserimento sociale dell’appellante in Italia, si trattava di circostanza mai posta a fondamento nè del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado nè dell’appello sul capo di sentenza di rigetto della protezione umanitaria, per cui ogni valutazione sul punto appariva superflua. Pertanto, i documenti prodotti non erano stati utilizzati dal Collegio ai fini della valutazione del vissuto del ricorrente.

Ciò detto, è consolidato il pregiudiziale principio di autosufficienza del motivo di ricorso in cassazione, in base al quale i requisiti di contenuto e forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possano essere ricavati da altri atti, come anche la sentenza impugnata, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla stessa indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto appunto del principio di autosufficienza (ex plurimis, Cass. n. 29093 del 2018; conf. Cass. n. 20694 del 2018). Il ricorrente ha, perciò, l’onere (che nella specie non risulta esser stato assolto) di indicarne nel ricorso il contenuto rilevante, fornendo alla Corte elementi sicuri per consentirne il reperimento negli atti processuali (cfr. altresì Cass. n. 5478 del 2018; Cass. n. 22576 del 2015; n. 16254 del 2012); potendo solo così reputarsi assolto il duplice onere, rispettivamente previsto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (a pena di mammissibilità) e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (a pena di improcedibilità del ricorso) (Cass. n. 17168 del 2012).

Il ricorrente, dunque, avrebbe dovuto indicare – mediante anche la trascrizione di detti atti nel ricorso – la risultanza asseritamente decisiva e/o non valutata, o insufficientemente considerata, atteso che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (Cass. n. 2093 del 2016; cfr., tra le molte, Cass. n. 14784 del 2015; n. 12029 del 2014; n. 8569 del 2013; n. 4220 del 2012).

3.1. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la “Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5,6,7 e 8. Violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27”, avendo egli dichiarato e provato di essere omosessuale; e che tale circostanza, oltre a esporlo a pericolo per la sua esistenza, lo abbia allontanato dalla sua famiglia, dmostrando di essere destinatario di una condanna da parte delle autorità del suo paese a causa dell’omosessualità; attesa l’impossibilità di vivere liberamente la propria omosessualità in (OMISSIS).

3.2. – Con il quarto motivo, il ricorrente deduce la “Violazione ex art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8-27”, giacchè la Corte d’Appello non aveva tenuto conto della precaria situazione di sicurezza del paese d’origine del richiedente e dell’impossibilità dello stesso di ricevere adeguata tutela, tenuto conto dell’alto livello di corruzione tra polizia e funzionari pubblici.

3. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica e formulazione, i motivi terzo e quarto vanno esaminati e decisi congiuntamente.

3.1. – Anch’essi sono inammissibili.

3.2. – In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass. n. 8368 del 2020).

Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (nn. 26874/18 e 19443/11).

Nella specie, il contenuto dei due motivi (a prescindere dal richiamo alle molteplici disposizioni di legge asseritamente violate) spazia dalla violazione di norme costituzionali e legislative, nazionali e d’origine Eurounitaria ed internazionali, alla doglianza d’omesso esame di fatti decisivi e discussi, passando per il vizio di nullità della sentenza impugnata per motivazione mancante o almeno apparente. Il tutto per poi concludere, in maniera del tutto generica ed apodittica, che il Tribunale non avrebbe considerato la drammaticità della situazione personale del richiedente e di quella generale del Paese d’origine, nonchè le difficoltà tipiche di un nuovo radicamento territoriale, in un quadro di grave crisi e insicurezza che investe l’intero paese, in un crescendo sempre più violento (Cass. n. 8368 del 2020).

3.3. – Le censure si risolvono, dunque, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito, non condivisi e per ciò solo censurati, al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare (Cass. n. 9275 del 2018).

4. – Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione art. 360 c.p.c., n. 3: violazione D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 – Violazione D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale del richiedente”.

4.1. – Il motivo non è fondato.

4.2. – Questa Corte ha premesso che la protezione umanitaria costituisce una misura atipica e residuale, nel senso che essa copre situazioni, da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (status di rifugiato o protezione sussidiaria), tuttavia non possa disporsi l’espulsione e debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (Cass. n. 23604 del 2017; Cass. n. 252 del 2019).

A tale fine, peraltro, non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel Paese di accoglienza, sotto il profilo dell’integrazione sociale, personale o lavorativa, dovendo il riconoscimento di tale diritto allo straniero fondarsi su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, allo scopo di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. n. 12537 del 2020; cfr. Cass. n. 4455 del 2018).

Poste tali premesse, nella specie non sussiste il denunciato omesso esame di domanda, posto che la Corte di merito ha esplicitamente scrutinato, e respinto, con motivazione congrua, la domanda dell’odierno ricorrente volta al riconoscimento della protezione umanitaria.

La sentenza impugnata ha qualificato, in primo luogo, come inattendibile il racconto del richiedente protezione internazionale segnalando le lacune e le contraddizioni del racconto reso dallo stesso. Peraltro, in materia di protezione internazionale il positivo superamento del vaglio di credibilità soggettiva del richiedente protezione condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, è preliminare all’esercizio da parte del giudice del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che il richiedente non è in grado di provare, in deroga al principio dispositivo (cfr. Cass. n. 15794 del 2019; Cass. n. 11267 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018). E la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, che è censurabile in cassazione nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; doglianza che non solo non è stata dedotta, ma che, ovviamente, non potrebbe consistere nella prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di questione attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019).

4.3. – Quanto all’accezione oggettiva della condizione di vulnerabilità del richiedente protezione umanitaria, il ricorso non si confronta con la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte distrettuale ha escluso per la zona di provenienza del richiedente, il (OMISSIS), la sussistenza di una situazione di violenza indiscriminata e diffusa idonea ad esporre la popolazione civile ad un grave pericolo per la vita o l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi.

La sentenza impugnata ha inoltre correttamente negato la sussistenza di specifici elementi tali da far ritenere l’appellante un soggetto in situazione di vulnerabilità, non essendo state dimostrate specifiche situazioni di vulnerabilità, parimenti neppure dedotte (quali, tra l’altro, le condizioni di salute del ricorrente ritenute non adeguatamente comprovate). Il giudice di merito ha quindi correttamente concluso, avuto riguardo alle ragioni di natura essenzialmente economiche che avevano spinto l’appellante a lasciare il proprio Paese, per l’infondatezza della sua richiesta di protezione umanitaria.

D’altro canto, è stato giustamente posto in rilievo che “il parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero in Italia può essere valorizzato come presupposto della protezione umanitaria non come fattore esclusivo, bensì come circostanza che può concorrere a determinare una situazione di vulnerabilità personale che merita di essere tutelata attraverso il riconoscimento di un titolo di soggiorno che protegga il soggetto dal rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale, quale quello eventualmente presente nel Paese d’origine idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili” (Cass. n. 4455 del 2018).

Ne consegue che ciò che si demanda al giudice è “una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza e cui egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. I seri motivi di carattere umanitario possono positivamente riscontrarsi nel caso in cui, all’esito di tale giudizio comparativo, risulti un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (art. 2 Cost.)”.

5. – Il ricorso va rigettato. Nulla per le spese nei riguardi del Ministero dell’Interno, che non ha svolto attività difensiva. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA