Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6354 del 05/03/2019

Cassazione civile sez. un., 05/03/2019, (ud. 15/01/2019, dep. 05/03/2019), n.6354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sezione –

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29200/2018 proposto da:

F.A., P.D.L., elettivamente domiciliate in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate

e difese dall’avvocato ERMENEGILDO RUSSO;

– ricorrente e ricorrente successivo –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, MINISTRO

DELLA GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 103/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 12/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/01/2019 dal Consigliere ENRICA D’ANTONIO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Ermenegildo Russo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Risulta contestato alle Dott.sse P.D. e F.A., Pubblici ministeri presso il Tribunale di Foggia,le violazioni disciplinari di cui all’art. 1, comma 1, e art. 2, comma 1, lett. a) e g). I suddetti pubblici ministeri avevano proceduto con giudizio immediato nei confronti di più imputati tra cui Fl.St. per dieci titoli di reato; che,tuttavia, con rifermento al Fl., non ricorrendo i presupposti per il giudizio immediato cautelare in relazione ad uno dei capi di imputazione, era stata disposta la separazione con riferimento a detto capo di imputazione con formazione di un diverso fascicolo nel quale erano stati seguiti tutti i passaggi del rito ordinario e che in tal modo erano stati instaurati due giudizi paralleli dei quali, l’uno celebrato con rito immediato innanzi al Tribunale di Foggia, e l’altro con rito abbreviato innanzi al GUP del medesimo Tribunale.

La sentenza disciplinare espone che gli atti relativi a tale secondo giudizio erano stati confezionati in maniera tale da rendere equivoca l’indicazione esatta del reato per cui si procedeva; che, infatti, i pubblici ministeri avevano utilizzato la tecnica consistente nel riportare nella richiesta di rinvio a giudizio, che avrebbe dovuto riguardare solo uno dei reati contestati, anche tutti gli altri capi di imputazione in ordine ai quali si era già proceduto con richiesta di giudizio immediato; che secondo i pubblici ministeri procedenti nessun equivoco era possibile dal momento che i titoli di reato per i quali non si procedeva erano stati “ombreggiati”,cioè “scuriti”, con esclusione dell’unico capo di imputazione per il quale si procedeva; che all’udienza preliminare nè il GUP,nè il PM di udienza, tuttavia, si erano accorti che si procedeva per un solo reato e che, dunque, fu emessa pronuncia di condanna per tutti i reati, compresi quelli ombreggiati già oggetto del primo giudizio.

La sentenza disciplinare esclude la sussistenza dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. a), posto che nessun danno ingiusto aveva subito l’imputato Fl. che non era stato ristretto in carcere ingiustamente, nè era stata eseguita una pena detentiva in misura che discendesse dal doppio giudizio e che, inoltre, il Fl. era rimasto contumace sicchè non ebbe a subire alcun danno.

La Sezione disciplinare ha, invece, ritenuto sussistere gli elementi essenziali dell’incolpazione della grave violazione di legge di cui all’art. 2, lett. g). Ha affermato, infatti, che era ravvisabile un grave errore posto che la scelta di utilizzare una modalità di redazione priva di significato giuridico aveva determinato la violazione dell’art. 649 c.p.p., con conseguente sottoposizione del Fl. a due giudizi differenti per i medesimi reati. Ha osservato che la violazione di legge fosse inescusabile, essendo esigibile dai due magistrati il comportamento doveroso della chiara indicazione delle richieste accusatorie. Ha ritenuto, infine, applicabile la scusante prevista dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, ritenendo che le condotte sanzionate fossero di scarsa rilevanza, sia sul piano oggettivo – inerente l’esiguità del danno o del pericolo -, sia su quello soggettivo relativo al grado di colpevolezza: sotto il primo profilo ha sottolineato l’assenza di danno al Fl.,e su quello soggettivo la mancata lesione dell’immagine del magistrato o dell’ordine giudiziario.

2.Avverso la sentenza hanno proposto singoli ricorsi i due magistrati con i quali hanno formulato due motivi di censura. Il Ministero della Giustizia e la Procura Generale sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Le ricorrenti denunciano violazione dell’art. 2, comma 1, lett. g), in relazione all’art. 649 c.p.p., nonchè vizio di motivazione.

– Censurano la sentenza sia con riferimento alla contestata violazione di legge di cui all’art. 649 c.p.p., sia in ordine alla ignoranza o negligenza inescusabili.

– Deducono che l’errore in cui era incorso il PM di udienza ed il GUP (entrambi assolti) non costituiva conseguenza della tecnica redazionale adottata, ma era l’effetto della dispersione,nelle operazioni di fotocopiatura, dell’ombreggiatura utilizzata per la redazione del capo di imputazione.

– Eccepiscono, pertanto, la mancanza di nesso causale in quanto la condotta del magistrato si era arrestata nel momento in cui aveva redatto la richiesta di rinvio a giudizio con i relativi capi di imputazione, non essendo tutto quello che si era verificato dopo frutto del loro operato,ma effettuata dal personale di cancelleria; che la fase di formazione del fascicolo dell’abbreviato – attraverso la fotocopiatura degli atti del procedimento- era l’unica rilevante ai f. della causazione dell’evento e non la redazione dell’atto mediante ombreggiatura e che, pertanto, si erano verificati fatti sopravvenuti che escludevano il rapporto di causalità.

– Osservano che l’inequivocità della richiesta di rinvio a giudizio trovava conferma dalla puntuale annotazione sulla copertina esterna del fascicolo del PM e sulla copertina interna e dalla regolare annotazione sui registri informatici.

– Deducono che era prassi ampiamente invalsa ricorrere alla tecnica dell’ombreggiatura con la conseguenza che non potevano che riporre un ragionevole affidamento sulla sua buona riuscita,restando del tutto imprevedibile che durante la fase successiva l’ombreggiatura andasse persa.

4.1 ricorsi sono fondati.

Deve, in primo luogo, ribadirsi il principio, già affermato da questa Corte superando il precedente e più risalente indirizzo di cui alle pronunce SU n. 14889/2010 e n. 19776/2014 – secondo cui in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, l’assoluzione con la formula di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, da parte della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della magistratura, non è tale da escludere qualsiasi effetto svantaggioso per il magistrato assolto ed è, pertanto, idonea a radicare il suo interesse a impugnare la sentenza davanti alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, al fine di ottenere una pronuncia, totalmente liberatoria, di esclusione dell’addebito per insussistenza del fatto o perchè il fatto non è a lui attribuibile (cfr. Cass. SU. n. 29914/2017, n. 1416/2019).

Si è affermato, infatti che:

– nel procedimento disciplinare a carico dei magistrati, il regime delle impugnazioni risulta caratterizzato dall’applicazione delle norme penali quanto alla fase introduttiva, restando invece lo svolgimento regolato da quelle civili e che,restando la fase del ricorso soggetta alla disciplina processuale penale,l’esistenza dell’interesse ad agire deve essere accertato in base alla nozione che di tale interesse è adottata nel sistema processuale penale rispetto al quale si rivela inadeguato il concetto di soccombenza (Cass. SU pen. N. 6624/2011);

– la giurisprudenza penale ha, a riguardo, elaborato una nozione ampia di interesse all’impugnazione da intendere in chiave sostanzialmente utilitaristica, individuandolo in negativo, nella finalità, attuale e concreta, di rimuovere un pregiudizio, persino se derivante da una pronuncia favorevole, che incide però negativamente nella sfera giuridica e morale dell’impugnante, e, in positivo, nello scopo di conseguire un’utilità, cioè un risultato pratico complessivamente più vantaggioso – anche quanto agli effetti extrapenali rispetto a quello derivante dalla pronuncia di impugnazione (cfr Cass. SU pen. 6624/2011, SU n. 25457/2012);

– si è, in particolare, precisato (sulla base anche di pronunce della Corte Costituzionale, tra cui n. 200/1986, n. 85/ 2008) che “nell’ambito delle varie formule assolutorie previste dall’art. 350 c.p.p., le uniche totalmente liberatorie, in quanto escludono ogni pregiudizio, attuale o potenziale, sono quelle ” perchè il fatto non sussiste e perchè l’imputato non l’ha commesso..” (cfr Cass. SU pen. N. 40049/2008);

– in applicazione di detti principi si è, pertanto, concluso che l’assoluzione del magistrato in applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, non sia totalmente liberatoria considerato che presuppone quantomeno, indefettibilmente – in sostanziale analogia alla formula penalistica “perchè il fatto non costituisce reato” – l’accertamento che la fattispecie tipica dell’illecito, cioè la materialità del fatto storico tipizzato, si sia realizzata e sia riferibile all’incolpato (cfr, tra le altre, n. 15314/2010, n. 14665/2011, n. 7934/2013; n. 17327/2017).

6.Ciò premesso va rilevato che non appaiono sussistere gli elementi necessari ad integrare l’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. g), della “grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile”.

Tale illecito è ravvisato dalla sezione disciplinare nell’aver sottoposto un imputato per due volte a giudizio per gli stessi fatti, con il rito immediato e con il rito ordinario, in violazione dell’art. 649 c.p., e ciò a causa della tecnica di redazione del capo di imputazione consistente nel riportare, nella richiesta di rinvio a giudizio che avrebbe dovuto riguardare solo uno dei reati contestati, anche tutti gli altri capi di imputazione in ordine ai quali si era già proceduto con richiesta di giudizio immediato.

7. Non risulta posto in discussione lo sviluppo dei fatti e che cioè i due pubblici ministeri avevano proceduto con giudizio immediato nei confronti di più imputati tra cui Fl.St. per dieci titoli di reato; che,tuttavia, con rifermento al Fl., non ricorrendo i presupposti per il giudizio immediato cautelare in relazione ad uno dei capi di imputazione, era stata disposta la separazione con riferimento a detto capo di imputazione con formazione di un diverso fascicolo e che in tal modo erano stati instaurati due giudizi paralleli dei quali l’uno celebrato con rito immediato innanzi al Tribunale di Foggia, e l’altro con rito abbreviato innanzi al GUP del medesimo Tribunale.

8. Nessuna violazione dell’art. 649 c.p.p., è ravvisabile nella condotta dei due magistrati che hanno provveduto ad effettuare lo stralcio ed a redigere la richiesta di rinvio a giudizio indicando il capo di imputazione per cui si procedeva,avendo cura di scurire i capi di imputazione non oggetto del giudizio riguardante il Fl..

Non vi è stata, dunque, alcuna duplicazione dell’esercizio dell’azione penale di cui le ricorrenti debbano rispondere disciplinarmente, stante la correttezza del provvedimento di rinvio a giudizio da esse sottoscritto.

L’annotazione sulla copertina del fascicolo del PM del provvedimento di stralcio e la corretta indicazione nei registri informatici, sia della Procura che del GIP, evidenziano che era ben individuato il reato per il quali si doveva procedere con il rito abbreviato.

9. Nè si ravvisa la grave negligenza nell’adozione da parte dei due magistrati della tecnica di redigere il capo di imputazione provvedendo a scurire i capi non oggetto del giudizio,lasciando in chiaro quelli per i quali era instaurato il giudizio. Si trattava, infatti, di tecnica ampiamente utilizzata nella Procura e, dunque, ben nota sia nell’ambito della Procura stessa, sia dell’ufficio del GIP. Nè era dalle stesse prevedibile, proprio in quanto tecnica generalmente utilizzata, che, nelle successive operazioni di fotocopiature effettuate dalla cancelleria e di formazione del fascicolo dell’abbreviato – da cui, di fatto, è ricollegabile l’emissione di una sentenza di condanna per tutti i capi di imputazione-, le parti scurite del capo di imputazione non sarebbero state più visibili dando luogo ad una seconda sentenza su tutti i capi di imputazione.

10. Le considerazioni che precedono inducono, dunque, ad escludere la sussistenza dell’addebito e la sentenza impugnata deve essere cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti la causa può essere decisa nel merito con l’integrale assoluzione delle ricorrenti.

Le spese del presente giudizio vanno compensate data la complessità e la particolarità delle questioni trattate.

PQM

Accoglie i ricorsi, cassa la sentenza della sezione disciplinare impugnata e, decidendo nel merito, assolve entrambe le incolpate dall’illecito disciplinare ad esse ascritto per essere rimasto escluso l’addebito. Spese compensate.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2019

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