Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6353 del 21/03/2011

Cassazione civile sez. III, 21/03/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 21/03/2011), n.6353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA L. MANTEGAZZA 24, presso lo studio dell’avvocato MARCO

GARDIN, rappresentato e difeso dall’avvocato RAMPINO GABRIELE giusta

procura speciale del dott. Notaio GIOVANNA MARTELLONI in ARNESANO

16/3/2009, rep. n. 9922;

– ricorrente –

contro

D.G.A. (OMISSIS);

– intimato-

avverso la sentenza n. 778/2005 della CORTE D’APPELLO di LECCE, 1^

SEZIONE CIVILE, emessa il 9/11/2005, depositata il 09/12/2005, R.G.N.

78/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. GIOVANNI GIACALONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

La controversia ha ad oggetto l’opposizione al decreto ingiuntivo per L. 11.272.000, emesso a richiesta di M.G. nei confronti di D.G.A., per il pagamento del residuo importo del corrispettivo pattuito per il trasferimento della quota di una cooperativa edilizia; mentre l’opponente asseriva non essere tenuto al pagamento di ulteriori somme, avendo versato alla cooperativa anche L. 11.370.223, relativa a pregresse rate di mutuo gravanti sull’immobile. Dichiarato provvisoriamente esecutivo il decreto, il D.G. ne versava l’importo.

Il Tribunale accoglieva l’opposizione e revocava il decreto affermando che la M. doveva pagare le rate del mutuo maturate prima della cessione della quota pari a L. 10.506.658 (corrisposte invece, alla cooperativa dal D.G.), sicchè l’opponente era tenuto a corrispondere all’opposta solo la differenza (L. 763.342) tra il residuo corrispettivo pattuito e quanto pagato per mutuo alla cooperativa in luogo della M..

La Corte di Appello di Lecce, con la sentenza indicata in epigrafe, respingeva l’appello della M., rilevando che il principio del trasferimento a carico del socio subentrato dell’obbligazione di pagare le rate del mutuo riguarda solo quelle maturate successivamente al recesso del socio, non quelle precedenti, che, comunque, non possono gravare sul nuovo socio, specie ove questi, come nell’ipotesi, abbia acquisito una posizione del tutto svincolata da quella dell’uscente; con la conseguenza che, avendo il D.G. pagato un debito altrui, aveva diritto di pretendere (art. 2036 c.c., ultimo comma) dall’effettivo debitore il rimborso della somma pagata e, quindi, di compensare tale credito con il debito derivante dalla cessione della quota sociale.

Propone ricorso per cassazione La M. con tre motivi, illustrati con memoria. L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Col primo motivo, denunziando violazione dell’art. 112 in relazione all’art. 2036 c.c., artt. 35 e 189 c.p.c., nonchè art. 1242 c.c. ed omessa e insufficiente motivazione su punto decisivo, lamenta che la Corte di Appello sarebbe incorsa in ultrapetizione, ritenendo inapplicabile l’art. 2350 c.c., in ragione della sussistenza di un’azione di ripetizione d’indebito (mentre il D.G. avrebbe sempre eccepito ragioni contrattuali per negare l’insussistenza di suoi obblighi) e di una ragione/eccezione di compensazione impropriamente rilevata d’ufficio.

Col secondo motivo, la ricorrente lamenta omessa e del tutto erronea motivazione sul punto decisivo, consistente nell’avere i giudici di appello arbitrariamente posto come premessa la circostanza che l’opponente avrebbe pagato un debito della M., nonchè nell’avere erroneamente presupposto l’accertamento di passività riferibili a periodo precedente alla cessione, anzichè ad un più corretto accertamento di anticipazioni del vecchio socio; mentre avrebbero dovuto considerare irrilevante l’imputazione al socio uscente, anzichè all’entrante della differenza tra importi accertati in diversa epoca, non potendo più il primo considerarsi debitore della cooperativa a seguito dell’incondizionata autorizzazione alla cessione della quota.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta erronea interpretazione e disciplina del negozio giuridico tra le parti; violazione degli artt. 2511, 2529 e 2530 c.c., nonchè omessa ed insufficiente motivazione sull’oggetto e sulle conseguenze del contratto di cessione di quota, con il subentro del socio entrante anche nelle obbligazioni eventualmente maturate e tuttora inadempiute al momento della cessione.

I motivi – che possono trattarsi congiuntamente, essendo tutti rivolti a contestare la qualificazione giuridica data dai giudici di appello alla fattispecie – sono privi di pregio.

Quanto al primo motivo, in particolare, non sussiste l’invocata violazione dell’art. 112 c.p.c., dovendosi riaffermare che il vizio di “ultra” ed “extra” petizione ricorre solo quando il giudice, interferendo indebitamente nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi di identificazione dell’azione o dell’eccezione, pervenendo ad una pronunzia non richiesta o eccedente i limiti della richiesta o eccezione; mentre deve escludersi la violazione dell’art. 112 c.p.c., tutte le volte in cui la pronunzia vi corrisponda nel suo risultato finale, sebbene fondata su argomentazioni giuridiche diverse da quelle prospettate dalle stesse parti. Invero il giudice è libero di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, attenendo ciò all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (Cass. n. 14552/2005; n. 26999/2005). In particolare, rientra nella potestas decidendi del giudice la facoltà di procedere alla qualificazione giuridica delle eccezioni proposte, fermo restando che tale potere trova un limite in relazione agli effetti giuridici che la parte vuole conseguire deducendo un certo fatto, nel senso che la prospettazione di parte vincola il giudice a trarre dai fatti esposti l’effetto giuridico domandato (Cass. n. 15383/10; 21484/2007): nella specie, quello di paralizzare la pretesa creditoria dell’odierna ricorrente. Inoltre, tale compito appartiene non soltanto al giudice di primo grado, ma anche a quello d’appello, che resta a sua volta libero di attribuire al rapporto controverso una qualificazione giuridica difforme da quella data in prime cure con riferimento all’individuazione della causa petendi (Cass. n. 12471/2001) e ha altresì il potere di dare una qualificazione giuridica dell’eccezione diversa da quella prospettata dalla parte e nella sentenza di primo grado, quando il punto formi oggetto della controversia devoluta al suo esame, con ciò non incorrendo nel vizio di extrapetizione (Cass. n. 3965/1984).

Ciò posto e considerato che, nel caso di specie, era in contestazione la mancata estinzione dell’obbligazione di pagamento del residuo del corrispettivo per cessione di quota della cooperativa, dedotta in giudizio dalla M. e che, dal canto suo, il D.G. assumeva di nulla dovere per avere versato alla cooperativa, non solo l’importo della quota da restituire alla socia uscente M., ma anche l’importo di pregresse rate di mutuo gravante sull’immobile, il Giudice di appello, confermando la decisione di primo grado, non ha fatto conseguire al D.G. un risultato diverso e ulteriore rispetto a quello perseguito e già ottenuto con la statuizione del primo giudice. Invero la circostanza che i fatti – così come descritti dall’opposto – siano stati inquadrati nell’ambito degli artt. 1242 e 2036 c.c. attiene alla qualificazione giuridica dell’eccezione; tale attività esula dall’art. 112 c.p.c., risultando svolta, nel caso in esame, in termini immuni da vizi logico-giuridici.

Inoltre, le censure di cui al secondo ed al terzo motivo, così come articolate, pur lamentando formalmente un difetto di motivazione e/o una violazione di legge, si risolvono, in realtà, nella (non più ammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti ormai definitivamente accertati in sede di merito, poichè con esse, lungi dal prospettarsi un vizio rilevante della sentenza gravata sotto il profilo di cui all’art. 360, n. 5 ovvero l’erronea applicazione delle norme in rubrica, ci si limita ad invocare una diversa lettura delle risultanze processuali, come accertare e ricostruite dal giudice del merito. Sennonchè tale valutazione involge invero apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva a detto giudice, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre pur astrattamente possibili, non incontra altro limite che quello di indicare (come puntualmente ed esaurientemente avvenuto nel caso di specie) le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare ogni e qualsiasi deduzione difensiva. Ciò posto, rileva il Collegio che la decisione impugnata si sottrae al sindacato di legittimità e ha fatto corretta applicazione del criterio di distribuzione della prova e del principio di legalità delle decisioni giudiziarie, atteso che il giudice di appello ha, da un lato, ricostruito le partite a credito ed a debito e, dall’altro, rilevato che era infondato e non giuridicamente corretto l’assunto dell’odierna ricorrente in ordine all’efficacia estintiva della cessione di quota anche rispetto ad obbligazione, relativa al pagamento di rate di mutuo, e non adempiuta all’epoca della cessione.

Si tratta di valutazioni che, anche per quanto innanzi osservato, sono sorrette da congrua motivazione, sotto il profilo logico e giuridico, con conseguente incensurabilità in questa sede.

Ne deriva il rigetto del ricorso. Non v’è motivo di provvedere in ordine alle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011

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