Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6353 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. I, 08/03/2021, (ud. 05/02/2021, dep. 08/03/2021), n.6353

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17063/2020 proposto da:

K.K., rappresentato e difeso dall’avv. Antonino Ciafardini,

per procura allegata in calce al presente ricorso elettivamente

domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Pescara via Venezia

7 in manca il domiciliatario;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), Procura Della Repubblica Presso

Tribunale L’aquila;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di L’AQUILA, depositata il

13/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/02/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

Il Tribunale dell’Aquila con decreto del 13.5.2020, respingeva il ricorso in opposizione proposto da K.K., cittadino (OMISSIS) provenienza dalla zona dell'(OMISSIS), avverso la decisione di diniego della Commissione Territoriale, riferita sia alla domanda di riconoscimento della protezione internazionale, sia a quella di protezione sussidiaria e umanitaria.

Il primo Giudice evidenziava che le ragioni per le quali il ricorrente aveva lasciato la (OMISSIS) non giustificavano alcuna delle forme di protezione invocate.

Osservava al riguardo che il racconto era assai generico e presentava profili non plausibili che non sussistevano, in particolare, fattori di persecuzione, che non era stato paventato il rischio di subire, in caso di rientro, una delle forme di danno grave alla persona per il riconoscimento della protezione sussidiaria e che la situazione del Paese di origine, in base all’esame delle fonti più aggiornate e accreditate, era tale da escludere situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata.

Quanto alla domanda di permesso per ragioni umanitarie, doveva escludersi la condizione di vulnerabilità da tutelare, in mancanza di specifici fattori indicatori di necessità di protezione, dal punto di vista sia soggettivo che oggettivo.

Avverso tale decisione K.K. da propone ricorso per cassazione affidando l’impugnazione a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo si deduce la nullità del decreto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per motivazione apparente carente contraddittoria per non essere percepibile l’iter della decisione che ha portato a ritenere il racconto del ricorrente generico e vago.

Si deduce sempre nell’ambito di detto motivo la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per non aver valutato la credibilità del ricorrente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C) per non avere il primo Giudice riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata così come meglio definita dalla Corte di Giustizia proc 46507.

Si censura la decisione nella parte in cui ha escluso la sussistenza delle condizioni che giustificano la concessione della protezione sussidiaria con riferimento allo (OMISSIS) che costituisce la regione di provenienza del richiedente, così implicitamente facendo applicazione del principio sancito dall’art. 8 della direttiva 2004/83/CE, principio tuttavia non applicabile poichè non recepito nell’ordinamento interno.

Con il terzo motivo si lamenta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 per non avere il Tribunale riconosciuto la misura della protezione umanitaria fondando la sua decisione su una motivazione apparente e contraddittoria in parte qua ex art. 132 c.p.c., n. 2.

Il primo motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (n. 3340 del 05/02/2019; 2020 n. 26571).

Su tale scorta si rappresenta quanto segue.

Per un verso, il dictum del Tribunale de L’Aquila, pur con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni rese da K.K. non è inficiato da alcuna forma di anomalia motivazionale rilevante nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

Per altro verso, il Tribunale de L’Aquila non ha omesso la disamina del fatto decisivo, ossia la valutazione delle dichiarazioni del richiedente asilo.

Per altro verso ancora, la valutazione che delle medesime dichiarazioni il tribunale abruzzese ha operato, appieno si conforma ai parametri legislativi.

A tal ultimo riguardo il tribunale ha specificato proprio, sulla base del racconto offerto dallo stesso richiedente che i particolari della fuga motivata da ragioni politiche vale a dire dall’ascesa al potere del partito rivale a quello di cui il richiedente asilo faceva parte si presentava nella descrizione della situazione politica del paese in quanto non era chiaro se i riferiti atti intimidatori erano stati posti in essere solo nei confronti del richiedente o degli altri abitanti del villaggio.

Il primo giudice inoltre evidenziava che gli stretti familiari del ricorrente (moglie e figli) continuavano a vivere in (OMISSIS) nella citta di (OMISSIS) e non risultava che avessero ricevuto minacce da parte dei membri del partito rivale.

Ha infine osservato che tali fatti si collocavano in un orizzonte temporale ormai passato (circa 4 anni dall’espatrio) sicchè la situazione politica aveva nel frattempo subito variazioni anche alla luce del fatto che non erano emersi elementi di fatto dai quali evincere che il leader politico appartenente al partito rivale sia ancora in carica.

In questo quadro gli assunti del ricorrente, secondo cui non si comprenderebbero le ragioni per le quali è stato ritenuto non credibile il racconto del richiedente, sono del tutto ingiustificati.

In realtà, tenuto conto della portata del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad essere aspecifiche sono le critiche espresse alla valutazione del tribunale, nella misura in cui reiterano assertivamente fatti ed indicano generali criteri valutativi, sottolineando contraddizioni inesistenti.

Deve, pertanto, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014;

Con riguardo al secondo motivo il provvedimento oggi impugnato si sottrae alla censura che viene mossa.

Il ricorrente richiama a sproposito il principio secondo cui il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato politico (o della misura più gradata della protezione sussidiaria) non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del paese d’origine ove non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato (o non corra rischi effettivi di subire danni gravi), atteso che tale esclusione, prevista nell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE ed il cui inserimento nell’atto normativo interno di attuazione della direttiva stessa costituisce una mera facoltà degli Stati membri, non è stata trasposta nel D.Lgs. n. 251 del 2007 (Cass. 9 aprile 2014, n. 8399, in motivazione).

Nel caso in esame, difatti, Il Tribunale non ha per nulla ritenuto che il ricorrente potesse spostarsi da una zona connotata dalla presenza di una situazione di violenza indiscriminata in un’altra zona del paese: ha invece affermato che l’area da cui proveniva lo stesso, non versava in situazione tale da giustificare il riconoscimento della protezione richiesta in via principale.

Sicchè il ricorrente ha frainteso la ratio decidendi.

Occorre per il resto rilevare che il Tribunale ha escluso, sulla base della consultazione di fonti informative qualificate delle quali ha dato puntualmente conto che nella regione di provenienza sia presente una situazione di violenza generalizzata. Il giudice di merito ha altresì rilevato che manca l’allegazione di fatti che rendano il ricorrente personalmente esposto al rischio di un danno grave in caso di rimpatrio. A fronte di tali rilievi, il ricorrente si limita a contrapporre alle conclusioni del Tribunale una propria ricostruzione, fondata su diverse informazioni (che non si cura di indicare), sostanzialmente con l’obiettivo di conseguire una rivisitazione delle valutazioni di merito, inibita, invece, a questa Corte. Peraltro, va aggiunto che, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate, ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate (Cass. n. 4037 del 2020).

Il terzo motivo è parimenti inammissibile.

La motivazione non è apparente, diversamente da come dedotto.

Va evidenziata la preclusione, nel giudizio di cassazione, dell’accertamento dei fatti, ovvero della loro valutazione a fini istruttori, ostativi ad una valutazione della motivazione insufficiente o contraddittoria, salvo che essa non risulti apparente nè perplessa o obiettivamente incomprensibile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439): ciò che non si verifica nel caso di specie, in cui il percorso argomentativo della pronuncia del giudice del gravame è chiaramente e sufficientemente esposto in maniera idonea a supportare il decisum sul piano della compiuta ed esaustiva valutazione della sussistenza dei presupposti per la protezione invocata.

Il tribunale ha infatti escluso che potesse essere in concreto riconosciuta, ritenendo non allegate specificamente ed indimostrate specifiche situazioni soggettive di vulnerabilità riferibili al richiedente rilevando che i motivi della fuga dalla (OMISSIS) fosse legati ad un generico timore che non poteva definirsi concreto e che per di più non erano stati neppure dimostrati elementi idonei a provare l’avvio di un percorso serio di integrazione o di studio o la creazione di rapporti interpersonali significativi.

Il ricorrente, nel censurare l’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, non è in grado di evidenziare circostanze di fatto sottoposte al dibattito processuale e trascurate dalla sentenza impugnata, ma si limita a sollecitare una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentita dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale, nel testo modificato dal D.L. n. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, circoscrive le anomalie motivazionali denunciabili con il ricorso per cassazione alla pretermissione di un fatto storico, principale o secondario, che abbia costituito oggetto del dibattito processuale e risulti idoneo ad orientare in senso diverso la decisione, nonchè a quelle che si convertono in violazione di legge, per mancanza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, escludendo pertanto da un lato la possibilità di estendere il vizio in esame al di fuori delle ipotesi, nella specie neppure prospettate, in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo del provvedimento (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. Un., n. 8053 e 8054 del 2014).

Alla stregua considerazione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese della presente fase in assenza della costituzione della parte intimata

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

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