Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6351 del 10/03/2017
Cassazione civile, sez. VI, 10/03/2017, (ud. 05/12/2016, dep.10/03/2017), n. 6351
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –
Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –
Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1560-2014 proposto da:
BANCA POPOLARE di BARI soc. coop. p. a. (OMISSIS), quale mandataria
della Cassa di Risparmio di Orvieto s.p.a., in persona del
procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA
59, presso lo studio dell’avvocato MARCO CARDINALI, rappresentata e
difesa dall’avvocato SERGIO FINETTI giusta delega a margine del
ricorso;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO di P.S., in persona del curatore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ATERNO 9, presso lo studio dell’avvocato
ISABELLA CAPASSO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCELLO
CAPRIO giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto N. 381/2013 del TRIBUNALE di TERNI depositato il
16/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/12/2016 dal consigliere relatore, Dott.ssa CRISTIANO MAGDA.
Fatto
FATTO E DIRITTO
E’ stata depositata la seguente relazione:
1) Banca Popolare di Bari soc. coop..p.a., nella sua qualità di mandataria della Cassa di Risparmio di Orvieto s.p.a., impugna con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, il decreto del Tribunale di Terni del 13.1.2014, che ha respinto l’opposizione L.Fall., ex art. 98, da essa proposta per ottenere l’ammissione allo stato passivo del Fallimento di P.S. del credito di oltre 198.000 Euro, preteso a saldo del conto corrente intrattenuto dall’imprenditore poi fallito presso la banca mandante. Il curatore del Fallimento ha depositato controricorso.
2) Con il primo motivo la ricorrente, denunciando vizio di motivazione del decreto impugnato, lamenta che il giudice del merito abbia ritenuto inopponibile al curatore l’estratto autentico delle scritture contabili, da essa prodotto ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50, nonostante il P. non avesse mai contestato gli estratti del conto nel corso del rapporto.
Il motivo appare manifestamente infondato.
Al di là del rilievo che il vizio di motivazione denunciatile ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), deve consistere nell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di contraddittorio fra le parti, la censura trova smentita nella giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui l’art. 2710 c.c., che conferisce efficacia probatoria tra imprenditori, per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa, ai libri regolarmente tenuti – non trova applicazione nei confronti del curatore il quale agisca non in via di successione di un rapporto precedentemente facente capo al fallito, ma nella sua qualità di terzo, gestore del patrimonio del medesimo (fra molte, Cass. S.U. 20 febbraio 2013, n. 4213; Cass. 7 luglio 2015, n. 14054).
3) Col secondo motivo, denunciando violazione degli artt. 1832, 1857, 2220 e 2697 c.c., la ricorrente sostiene che il tribunale avrebbe errato nel ritenere non provato il credito in mancanza degli estratti del contro relativi ai primi cinque anni del rapporto.
Anche questo motivo appare manifestamente infondato, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte a tenore del quale, nei rapporti bancari regolati in conto corrente, l’insussistenza di un obbligo della banca di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo anteriore (Cass. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842).
4) Il ricorso dovrebbe, in conclusione, essere respinto, con decisione che potrebbe essere assunta in camera di consiglio ai sensi degli arti. 375 e 380 – bis c.p.c..
Il collegio ha esaminato gli atti, ha letto la relazione e ne ha condiviso le conclusioni, peraltro non contrastate dalla ricorrente, che non ha depositato memoria.
Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2017