Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6350 del 16/03/2010

Cassazione civile sez. II, 16/03/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 16/03/2010), n.6350

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – Consigliere –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 320/2005 proposto da:

T.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA PO 24, presso lo studio dell’avvocato GENTILI Aurelio,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MONTEVERDE

MARIO;

– ricorrente –

contro

IMP EDIL MEDINA CERUTTI & C SNC;

– intimato –

sul ricorso 1401/2005 proposto da:

IMP EDIL MEDINA CERUTTI & C SNC C.F. (OMISSIS) in persona

del

legale rappresentante SACCHI GIANCARLO, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato CAMICI

GIAMMARIA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIROMINI GABRIELE;

– controricorrente ric. incidentale –

contro

T.A. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA PO 24, presso lo studio dell’avvocato GENTILI AURELIO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MONTEVERDE

MARIO;

– controricorrente a ric. incind. –

avverso la sentenza n. 966/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 18/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/12/2009 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.A. proponeva opposizione avverso il decreto con cui il Pretore di Novara Sez. di Borgomanero gli aveva ingiunto di pagare alla Impresa Edile Medina Cerutti & C. s.n.c. L. 35 milioni oltre accessori quale saldo per il corrispettivo di lavori edili dalla medesima eseguiti in base a contratto di appalto concluso con l’opponente.

Assumeva l’opponente che taluni lavori non erano stati completati ed altri presentavano difformità e difetti; chiedeva accertarsi il credito al risarcimento dei danni derivanti dalle menzionate inadempienze, compensandosi tale credito fino a concorrenza dell’avversaria pretesa, con riconvenzionale condanna della controparte a risarcire la differenza.

Si costituiva in giudizio l’opposta sostenendo: intempestività della denuncia dei vizi e avvenuta accettazione delle opere da parte del committente; che le opere non realizzate, in relazione alle quali controparte lamentava incompleta esecuzione del contratto, non erano comprese nell’appalto; chiedeva, altresì, la condanna dell’opponente al pagamento del corrispettivo delle opere extra appalto eseguite.

Con sentenza 21 luglio 2003 il Tribunale (subentrato all’ufficio pretorile), escludeva la dedotta incompletezza dell’opera realizzata alla stregua dell’oggetto del contratto sul rilievo che lo stesso doveva essere determinato in base alla analitica enumerazione dei lavori ivi indicati e non al progetto edilizio allegato al quale il contratto faceva un generico rinvio; il giudice di primo grado riteneva giustificate le pretese dell’appaltatore per i lavori extra appalto eseguiti (scarico fognario); d’altro canto, con riferimento sia alle opere comprese nell’appalto sia a quelle ulteriori realizzate, era riconosciuta la sussistenza di vizi tempestivamente denunciati.

La sentenza, operata la compensazione tra il valore delle opere (anche extra appalto) realizzate e non pagate ed il contrapposto credito risarcitorio per vizi, quantificava il residuo credito della Impresa Edile Medina Cerutti & C. s.n.c. in Euro 19.720,72, oltre IVA, al cui pagamento condannava l’opponente, revocando il decreto ingiuntivo emesso per maggiore importo.

Con sentenza dep. il 16 giugno 2004 la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della decisione impugnata con appello principale dal T. ed incidentale dalla società opposta, determinava il danno per vizi e delle opere realizzate nell’importo di L. 11.547.600 correggendo il mero errore materiale in cui era incorso il giudice di primo grado che, pur facendo riferimento alle risultanze della relazione dell’ausiliare, aveva determinato l’importo in L. 10.446.500, per cui operata la compensazione con il credito riconosciuto alla appaltatrice, condannava l’opponente al pagamento della somma di Euro 19.152,10, confermando nel resto l’impugnata sentenza; le spese del doppio grado di giudizio erano poste a carico del predetto, in considerazione del complessivo esito della lite sul rilievo che il T. era stato riconosciuto debitore di somme addirittura maggiori rispetto a quelle liquidate con il decreto.

Nel respingere il motivo di gravame con cui il committente aveva dedotto l’incompletezza delle opere realizzate rispetto a quanto previsto nei progetto allegato al contratto che ne costituiva parte integrante, i giudici di appello ritenevano che oggetto dell’appalto erano le opere che con analitica indicazione erano specificate nel contratto medesimo, posto che il generico riferimento al progetto serviva al individuare le modalità esecutive dell’opera appaltata che doveva avvenire in base ai disegni del progetto richiamato: il chiaro significato delle clausole contrattuali che doveva ricavarsi in base all’interpretazione letterale non consentiva il ricorso alla valutazione del comportamento delle parti per desumere l’intenzione dei contraenti; fra le varie opere extracontratto riconosciute, per quel che ancora interessa nella presente fase, veniva ritenuta dovuta la voce “sbancamento del cortile”, dovendo escludersi che, come sostenuto dall’appellante, la stessa potesse rientrare nella voce “scavo di sbancamento in terreno di qualsiasi natura e consistenza eseguito con mezzo meccanico”. La sentenza osservava che al riguardo il CTU non aveva operato alcuna duplicazione, avendo considerato e valutato, quale opera eseguita extra appalto, il solo valore dello sbancamento “oltre la cubatura usualmente necessaria per il normale scavo “, non potendo ritenersi che tale eccedenza fosse già contemplata nel menzionato punto del capitolato, ove l’inciso “di qualsiasi natura e consistenza” non poteva che riferirsi al terreno da sbancare e non all’entità dello scavo.

I giudici quindi escludevano che fosse stata fornita dal committente la prova del versamento dell’acconto di L. 20.000.000 anzichè di L. 10.000.000, somma quest’ultima quietanzata, posto che non era al riguardo probante dell’effettiva riscossione l’emissione della fattura in data (OMISSIS); d’altra parte, le somme ivi indicate avevano trovato riscontro nei pagamenti avvenuti con gli assegni del (OMISSIS) e del (OMISSIS), così come si desumeva dalle quietanze in calce al contratto.

Veniva, infine respinto l’appello incidentale con cui la opposta aveva censurato la sentenza di primo grado che aveva condannato il committente al pagamento della somma di L. 17.921.908 a titolo di lavori extracontratto e non il maggiore importo liquidato dal consulente d’ufficio: secondo i giudici di appello, la società aveva limitato a quell’importo le somme pretese, a stregua di quanto chiesto nella comparsa di costituzione e delle argomentazioni in proposito formulate, non assumendo valore, per desumere una diversa volontà, la clausola meramente di stile usata senza alcun supporto argomentativo “o di quell’altro maggiore o minore importo” presente solo in sede di conclusioni e senza alcun supporto argomentativo.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il T. sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso l’intimata, proponendo ricorso incidentale affidato a due motivi illustrati da memoria.

Il T. ha proposto controricorso al ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disposta, ex art. 335 cod. proc. civ., la riunione del ricorso principale e quello incidentale, essendo proposti contro la stessa sentenza.

Con il primo motivo il ricorrente, lamentando violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 1362 cod. civ., e dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5), censura la decisione gravata laddove aveva omesso di considerare che, secondo quanto previsto in contratto, le tavole ad esso allegate non solo erano richiamate ma costituivano parte integrante del presente capitolato: erroneamente i giudici di appello avevano fatto riferimento a un generico rinvio al progetto, contenuto nel contratto, ritenendo che il richiamo delle tavole progettuali era compiuto con riferimento alle modalità esecutive dell’opera.

La Corte era incorsa in una errata lettura dell’art. 1362 cod. civ., posto che, in base al chiaro testo del contratto, l’oggetto non poteva essere limitato ai lavori ivi elencati; d’altra parte, ove il tenore letterale non fosse stato chiaro, si sarebbe dovuto indagare il comportamento delle parti ed in tal senso utile, se non decisiva, sarebbe stata la deposizione della teste T.T.; in ogni caso sarebbe stato necessario fare riferimento all’art. 1369 c.c., e segg..

Il motivo è infondato.

La sentenza, nell’evidenziare come il tenore delle clausole negoziali non fosse oscuro, ha proceduto all’interpretazione letterale del contratto considerando complessivamente le pattuizioni convenute:

nell’escludere che le previsioni di cui all’allegato progetto potessero costituire fonte per l’individuazione delle opere appaltatela sentenza ha innanzitutto sottolineato come, da un lato, il contratto conteneva una analitica elencazione dei lavori appaltati e, dopo avere rilevato che veniva fatto un generico richiamo al progetto, non ha omesso di considerare il passo del contratto in cui pure si faceva riferimento al progetto come parte integrante del capitolato ma, proprio in base alla complessiva lettura del testo, ha interpretato tale richiamo ritenendolo come inteso a disciplinare la modalità esecutive dell’opera.

La sentenza non ha violato i canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 cod. civ., e segg., avendo proceduto a ricercare la volontà dichiarata dalle parti alla stregua del chiaro tenore letterale delle clausole contrattuali: in realtà, il motivo si risolve nella censura dell’ interpretazione del contratto, che ha ad oggetto un accertamento di fatto riservato al giudice di merito, formulando il ricorrente un’ interpretazione difforme da quella accolta in sentenza.

Con il secondo motivo il ricorrente, lamentando violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 e art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in relazione all’art. 2709 cod. civ., censura la decisione impugnata che aveva disatteso la tesi sostenuta da esso ricorrente, il quale aveva dedotto di avere versato la somma di L. 50.000,000 anzichè l’importo di L. 40.000.000 indicato da controparte, facendo riferimento alle fatture in atti nonchè a un assegno di L. 10.000.000 incassato nell'(OMISSIS) dalla moglie uno dei soci dell’opposta; la Corte, nell’escludere il pagamento in acconto della somma di lire 20.000.00 anzichè di L. 10.000.000, portata dalla fattura (OMISSIS) era caduta in una duplice contraddizione, posto che non avrebbe senso l’emissione di un fattura in acconto senza incassare alcunchè, pur dovendosi versare l’IVA: è logico che le fatture siano emesse contestualmente al pagamento, sicchè la fattura presuppone un pagamento, mentre non poteva considerarsi logico e consequenziale ritenere che fosse stato incassato nell'(OMISSIS) l’assegno di L. 10.000.000 versato alla moglie di un socio relativamente a una fattura emessa in precedenza.

Le fatture fanno prova contro l’imprenditore e, dunque, non poteva non tenersi conto dell’esistenza dell’acconto menzionato nelle fatture emesse dalla controparte.

Preliminare all’esame del secondo motivo è quello relativo al primo motivo del ricorso incidentale proposto dalla resistente, con cui si censura la sentenza impugnata laddove, nel ritenere infondata l’eccezione di pagamento della ulteriore somma di lire dieci milioni sollevata dall’opponente, non l’aveva dichiarata inammissibile, dovendo tale eccezione considerarsi tardiva, perchè proposta per la prima volta in grado di appello.

Il motivo è infondato.

L’eccezione di pagamento non rientra fra quelle non rilevabili d’ufficio e pertanto può essere sollevata in sede di appello, posto che il giudice deve accertare l’avvenuta estinzione del debito, ove sia provata, anche in assenza di richiesta da parte del debitore.

Passando all’esame del secondo motivo del ricorso principale, va osservato che la sentenza ha correttamente escluso che costituisse prova dell’effettivo versamento in acconto della somma di lire ventimilioni, anzichè di L. 10.000.000, la fattura in data (OMISSIS). In proposito va considerato che la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla sua funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto (come l’elenco delle merci, il loro prezzo, le modalità di pagamento ed altro), si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione indirizzata all’altra parte di fatti concernenti un rapporto già costituito e fornendo la prova indiziaria dell’avvenuta esecuzione della prestazione in virtù della quale è sorto il diritto al corrispettivo: peraltro, la fattura non quietanzata dal creditore non costituisce prova dell’avvenuto pagamento (a saldo o in acconto) della prestazione ivi indicata, per cui appare fuori luogo anche il riferimento all’art. 2709 cod. civ.. Nella specie, la sentenza ha correttamente escluso che la fattura dimostrasse l’avvenuto versamento, avendo poi ricostruito, nell’ambito dell’indagine riservata al giudice di merito, i pagamenti riferibili a quella fattura, avendo accertato che le somme ivi fatturate trovavano riscontro nei pagamenti avvenuti con gli assegni del (OMISSIS) e del (OMISSIS), così come si desumeva dalle quietanze in calce al contratto.

Pertanto, il motivo va respinto.

Con il terzo motivo il ricorrente, lamentando violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 e art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in relazione all’art. 1362 cod. civ., censura la sentenza impugnata laddove aveva escluso che la voce sbancamento del cortile considerata dal consulente fra le opere extra contratto non rientrasse in quella n. 1) del capitolato di appalto “sbancamento in terreno di qualsiasi natura e consistenza eseguito con mezzo meccanico”: i giudici di appello non avevano considerato che ogni costo per l’entità dello scavo era comunque compreso, mentre non era dato comprendere che cosa avessero inteso affermare che l’inciso “di qualsiasi natura e consistenza” fosse da riferire al terreno da sbancare e non all’entità dello scavo.

Il motivo è infondato.

La sentenza, nel condividere i rilievi del consulente tecnico d’ufficio, ha ritenuto che la voce sbancamento del cortile non costituisse duplicazione di quella relativa allo di “sbancamento in terreno di qualsiasi natura e consistenza eseguito con mezzo meccanico”, nella misura dello sbancamento eseguito oltre la cubatura usualmente necessaria per il normale scavo delle fondazioni, così evidentemente interpretando la voce “sbancamento di qualsiasi natura e consistenza” come relativa a quello necessario per il (e limitato al normale scavo delle fondazioni ed escludendo, perciò, che fosse ricompreso lo sbancamento per quella parte rispetto ad esso eccedente: nell’interpretare la relativa clausola, i giudici hanno chiarito che l’espressione usata “sbancamento di qualsiasi natura e consistenza” andava riferita al terreno e non all’entità dello scavo, con ciò evidentemente intendendo dire che con la predetta voce le parti non avevano ritenuto di comprendere pure lo scavo di qualsiasi entità (o profondità), per cui la rilevata eccedenza non poteva essere ricompresa nella predetta voce. La motivazione è, dunque, immune dai vizi denunciati, risolvendosi la doglianza in una censura dell’interpretazione della clausola contrattuale.

Con il quarto motivo il ricorrente, lamentando violazione dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 e art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in relazione all’art. 91 cod. proc. civ., censura la sentenza che, nel porre le spese a carico di esso ricorrente, l’aveva considerato soccombente quando invece era stata accolta l’eccezione di compensazione e l’appello aveva visto riconosciuta una maggiorazione, seppure in minima parte; per contro la resistente aveva si visto riconosciuta una somma superiore rispetto a quella oggetto del decreto opposto ma aveva anche subito e perso la causa di primo grado per quanto riguardava l’eccezione di compensazione; la sua riconvenzionale non era stata accolta e l’appello incidentale era stato respinto.

Il motivo è infondato.

Va innanzitutto chiarito che in tema di spese processuali, la soccombenza deve essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale, non essendo possibile ritenere la parte come soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Cass. 15483/2008). La sentenza ha correttamente posto le spese processuali a carico del T. in considerazione della prevalente soccombenza di quest’ultimo, tenuto conto che, all’esito complessivo del giudizio promosso con il ricorso per decreto ingiuntivo dalla società appaltatrice, quest’ultima è stata in definitiva riconosciuta creditrice dell’importo di euro di Euro 19.152,10, quale differenza fra la somma ad essa dovuta a titolo di saldo del corrispettivo anche per le opere extra-contratto (chieste nel giudizio di opposizione) e l’importo riconosciuto al committente a titolo di risarcimento del danno per vizi dell’opera; detto importo era in misura marginale rettificato rispetto a quello indicato in misura inferiore per mero errore materiale: in particolare, nel riconoscere le somme pretese a titolo di lavori aggiuntivi non previsti in contratto è stata respinta, la tesi avanzata dall’opponente, riproposta in sede di gravame (ed ancora con il ricorso per cassazione), secondo cui tali opere erano ricomprese nel capitolato d’appalto, così come si è rivelata infondato l’assunto circa l’inadempimento dell’appaltatrice a quelle che, a stregua della ricostruzione del ricorrente, dovevano essere le obbligazioni pattuite.

Pertanto, il ricorso principale va rigettato.

Va esaminato il secondo motivo del ricorso incidentale con cui la resistente, lamentando violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., ed omessa motivazione, denuncia che la sentenza non aveva riconosciuto il maggior importo dei lavori extracontratto accertato in corso di causa dal CTU, giacchè, pur avendo preso atto che l’opposta aveva chiesto sin dalla comparsa di costituzione il pagamento per le maggiori opere dell’importo di fattura o di quell’altro maggiore o minore che dovesse risultare in corso di causa, aveva ritenuto senza spiegazione alcuna e contraddittoriamente che detta richiesta configurasse una semplice formula di stile, e ciò in contrasto con quanto affermato dalla Suprema Corte circa la valenza della locuzione “maggiore o minore somma che risulti dovuta”.

Il motivo infondato.

La sentenza ha ritenuto che con la domanda proposta l’opposta aveva inteso delimitare la somma pretesa a quella indicata in fattura, avendo considerato – alla stregua delle enunciazioni e delle argomentazioni poste a fondamento della riconvenzionale, che la formula “somma di maggiore o minore di importo” usata nella comparsa di costituzione a cui si era riportata in sede di precisazione delle conclusioni era di mero stile e priva di concreto contenuto.

Orbene, la formula “somma maggiore o minore ritenuta dovuta” o altra equivalente, che accompagna le conclusioni con cui una parte chiede la condanna al pagamento di un certo importo non può considerarsi di per sè una clausola meramente di stile quando vi sia la ragionevole incertezza sull’ammontare del danno da liquidarsi in concreto, di guisa che l’uso di tale formula ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all’ammontare della somma che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni. Tale principio non può invece operare nel caso in cui, come nella specie, l’ammontare dell’importo preteso sia risultato – all’esito della istruttoria compiuta nel corso del giudizio (espletamento della consulenza tecnica d’ufficio) – maggiore di quello originariamente chiesto e la parte, nelle conclusioni definitive, si sia limitata a riportarsi a quelle rassegnate con la comparsa di risposta in cui si era chiesto l’importo indicato in fattura o “quell’altro maggiore o minore che dovesse risultare in causa”: la mancata indicazione del maggiore importo accertato dal consulente in corso di causa e il mero richiamo invece delle richieste originariamente formulate con la comparsa di costituzione evidenziano come la locuzione in questa contenuta era da considerarsi – come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata – meramente di stile, perchè era priva di alcun riferimento al caso concreto, cioè alle vicende del processo, e non poteva essere giustificata da una ragionevole incertezza in ordine all’ammontare delle somme dovute.

Anche il ricorso incidentale va rigettato.

In considerazione della soccombenza reciproca va disposta la compensazione delle spese della presente fase.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2010

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