Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 635 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. I, 15/01/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 15/01/2020), n.635

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32805/2018 r.g. proposto da:

G.K., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Roberto

Denti, elettivamente domiciliato presso la cancelleria della corte

di Cassazione.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore il Ministro.

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Milano, depositato in data

26.9.2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

3/12/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Milano – decidendo sulla domanda di protezione internazionale ed umanitaria avanzata da G.K., cittadino del (OMISSIS), dopo il diniego della richiesta protezione da parte della commissione territoriale – ha rigettato la domanda del ricorrente, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il tribunale ha in primo luogo ritenuto non necessaria l’audizione del richiedente, fissando, tuttavia, l’udienza di comparizione delle parti per l’assenza della videoregistrazione dell’audizione resa in sede amministrativa. Il tribunale ha poi ricordato che il ricorrente aveva narrato di: I) essere nato in Senegal il 10 maggio 1987 e di essere di etnia (OMISSIS); II) essere di religione musulmana e di aver lasciato il Senegal l’11 marzo 2015, essendo, poi, arrivato in Italia il 6 luglio 2016, transitando per il Mali, il Burkina Faso, il Niger e la Libia; III) essere stato costretto ad abbandonare il suo paese di origine in seguito alle vessazioni subite in una scuola coranica (“masadra”) e per il timore di essere stato denunciato falsamente da una ragazza per il reato di violenza sessuale.

Il tribunale ritenuto che: a) il racconto del richiedente non fosse credibile in ragione delle numerose contraddizioni contenute nel narrato sia in relazione alla vicenda della scuola coranica sia in riferimento al descritto pericolo della denuncia per stupro; b) non poteva, dunque, essere accolta la domanda di protezione sussidiaria, in relazione alle forme di tutela previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a e b e ciò in ragione sia della valutazione complessiva di non credibilità del richiedente sia in riferimento alla mancata dimostrazione dell’esistenza di una denuncia penale in capo al richiedente per il reato di violenza sessuale; c) non era fondata neanche la richiesta di protezione sussidiaria, articolata in relazione all’art. 14, lett. c., del D.Lgs. da ultimo citato, poichè dalle informazioni aggiornate sul Senegal emergeva l’assenza di una situazione di violenza indiscriminata, e ciò anche in relazione alla regione della Casamance (ove era intervenuto un cessate il fuoco tra i vari contendenti), regione dalla quale, peraltro, non proveniva il richiedente; d) anche la richiesta di protezione umanitaria non poteva trovare accoglimento, in ragione dell’assenza di un reale radicamento del richiedente nel contesto sociale del paese di accoglienza.

2. Il decreto, pubblicato il 26.9.2018, è stato impugnato da G.K. con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di censura. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo ed unico motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 10, lett. a e comma 11, per omessa audizione del ricorrente innanzi al tribunale.

2. Il ricorso è infondato.

2.1 Sul punto, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, nel giudizio di impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’autorità giudiziaria, in caso di indisponibilità della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, salvo che il richiedente non abbia dichiarato di non volersi avvalere del supporto contenente la registrazione del colloquio (Sez. 6, Ordinanza n. 14148de1 23/05/2019).

Ne consegue che la mancanza di videoregistrazione determina l’obbligo della fissazione della udienza di comparazione delle parti e non già quello dell’audizione del richiedente.

2.1.1 Ciò posto, osserva la Corte come, in realtà, dalla lettura del provvedimento impugnato emerga, con evidenza, la circostanza secondo cui il Tribunale, in assenza della videoregistrazione del colloquio, aveva provveduto a fissare l’udienza di comparizione personale delle parti, senza tuttavia ritenere necessaria la nuova audizione del ricorrente.

Ne consegue l’infondatezza della doglianza così prospettata.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

Per quanto dovuto a titolo di doppio contributo, si ritiene di aderire all’orientamento già espresso da questa Corte con la sentenza n. 9660-2019.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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