Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6349 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. II, 25/02/2022, (ud. 16/12/2021, dep. 25/02/2022), n.6349

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11840-2016 proposto da:

O.L., rappresentata e difesa dall’avv.to CARLO POLCE;

– ricorrente –

contro

M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 91/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 20/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Avezzano – chiamato a decidere sulle domande proposte da M.G. nei confronti di O.L., volte ad ottenere, previo accertamento del diritto azionato in via cautelare, la condanna della convenuta alla restituzione dei beni elencati nel ricorso ex art. 700 c.p.c. e il risarcimento dei danni eventualmente subiti, nonché l’accertamento del recesso unilaterale della medesima, in qualità di committente, dal contratto d’appalto stipulato tra le parti; in subordine, la risoluzione per grave inadempimento della stessa con sua condanna al pagamento dei lavori eseguiti sia con il primo che con il secondo stato di avanzamento per complessivi Euro 33.896,46 e salvo il risarcimento dei danni – accertava che il M. era proprietario dei materiali di cui aveva richiesto la restituzione e condannava O.L. alla corresponsione del complessivo importo di Euro 19.764 oltre interessi. Rigettava, invece, le domande proposte in via riconvenzionale dalla convenuta volte ad ottenere: l’accertamento dell’avvenuta risoluzione di diritto, ai sensi degli artt. 1454 e 1662 c.c., del contratto di appalto o per inadempimento di M.G., ai sensi dell’art. 1453 c.c. o per mutuo consenso, con condanna dell’appaltatore alla restituzione delle somme pagate in esecuzione del contratto risolto, pari ad Euro 40.972 nonché l’accertamento della responsabilità precontrattuale del medesimo M. e la sua condanna al risarcimento dei danni e disagi per vizi e difetti accertati dal consulente tecnico d’ufficio, compresa la diminuzione del valore complessivo dell’edificio e il danno da ritardo in conseguenza della risoluzione contrattuale per inadempimento.

2. Il Tribunale, ricostruito il rapporto giuridico intercorso tra le parti in termini di appalto, escludeva la violazione sia dell’art. 1656 c.c., ritenendo irrilevante l’avvenuta concessione a terzi dell’obbligo di realizzare in tutto in parte i lavori oggetto del contratto principale, sia quella dell’art. 1337 c.c. in tema di responsabilità precontrattuale, ritenendo perfettamente valido, efficace ed eseguito almeno parzialmente l’accordo siglato tra le parti. Il Tribunale, evidenziato che il rapporto si era interrotto consensualmente, stante la mancata esecuzione delle reciproche prestazioni, riteneva inesistente qualsivoglia termine essenziale di adempimento e regolava i rapporti economici tra le parti in base a quanto accertato dal consulente tecnico d’ufficio in sede di accertamento tecnico preventivo, determinando il corrispettivo residuo dovuto a M.G. a fronte dei lavori eseguiti, escludendo la riduzione richiesta dalla committente per le spese dei materiali e per l’eliminazione dei vizi non riconosciuti dal consulente. Il Tribunale, infine, confermava i provvedimenti cautelari relativi alla restituzione delle attrezzature da cantiere dell’attore in possesso della convenuta.

3. O.L. proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

4. La Corte d’Appello dell’Aquila, in parziale accoglimento del gravame, condannava O.L. a corrispondere a M.G. la complessiva somma di Euro 8770,43, iva esclusa. In particolare, la Corte d’Appello rigettava il motivo relativo alla sussistenza dei vizi e difetti dell’opera esclusi dalla consulenza tecnica d’ufficio svolta in sede di accertamento tecnico preventivo. Il consulente aveva evidenziato come il cemento utilizzato per la realizzazione dei lavori appaltati fosse della tipologia indicata in contratto. Gli esami avevano dato valori di resistenza del calcestruzzo omogenei e vicini ai 300 kilogrammi per centimetro quadro come stabiliti in contratto. Il fatto che il consulente avesse evidenziato che il getto di calcestruzzo risultasse poco compatto in molti punti e non perfettamente allineato non era un vizio strutturale, in quanto impediva solo di lasciare a “faccia vista” gli elementi strutturali degli edifici, dovendosi invece eseguire intonaci e tinteggiatura. Tuttavia, tale soluzione tecnica non era stata concordata dalle parti del contratto, né poteva essere provata con una testimonianza, non essendo ammissibile, ai sensi dell’art. 2722 c.c., la prova testimoniale su patti aggiunti o contrari al contenuto del documento. Il consulente tecnico aveva evidenziato anche che le travi erano state realizzate secondo progetto, rilevando solo come in corrispondenza della trama in aderenza non risultassero previste opere per il collegamento alla struttura preesistente. Il medesimo consulente aveva però accertato la presenza di barre d’armatura di ripresa quale predisposizione per la realizzazione di idonee opere di completamento successivo e di taglio, tali da eliminare l’inconveniente, quindi, non poteva quindi dirsi sussistente un vizio o difetto dell’opera, tenendo conto della natura dei lavori appaltati e della realizzazione della sola struttura in cemento armato. Il perito, infine, aveva accertato riguardo le travi di copertura in legno lamellare al tavolato come le stesse non avessero subito danni tali da pregiudicarne l’integrità e la loro corretta funzionalità, stante il limitato lasso di tempo durante il quale tali strutture erano rimaste prive della sovrastante protezione. Contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, pertanto, in mancanza della denuncia dei vizi nell’esecuzione dei lavori non vi erano danni da risarcire.

Con i motivi secondo e terzo l’appellante aveva censurato la sentenza nella parte in cui aveva escluso la configurabilità di un termine essenziale ed aveva rigettato l’eccezione di inadempimento.

La Corte d’Appello evidenziava che il contratto di appalto era stato risolto volontariamente dalle parti. Secondo il primo giudice, infatti, il M. aveva sospeso l’esecuzione dei lavori dopo l’intimazione ad adempiere dell’ottobre 2004 e dopo il mancato pagamento dello stato di avanzamento della O. e, nel mese di dicembre, quest’ultima gli aveva impedito l’accesso al cantiere, comunicando al Comune competente la prosecuzione dei lavori in economia. La Corte d’Appello, esclusa la rilevanza di qualsivoglia termine essenziale di adempimento, pur a seguito di diffida, ed esclusa altresì l’idoneità dell’avvenuto subappalto di parte dei lavori ad integrare ipotesi di grave inadempimento dell’appaltatore, riconosceva la spettanza a questi dell’importo di Euro 19.764, determinato sulla base delle risultanze del consulente tecnico d’ufficio in sede di accertamento tecnico preventivo. Non vi era alcun inadempimento dalla parte dell’appaltatore rispetto alle proprie obbligazioni, con particolare riguardo al mancato completamento dell’opera, al ritardo nell’ultimazione dei lavori e alla violazione del divieto di subappalto. L’abbandono volontario dell’appaltatore non era provato, il consulente aveva evidenziato come l’appaltatore avesse svolto i lavori appaltati, spingendosi sino alla realizzazione dell’armatura di copertura senza procedere all’onere del getto in cemento armato del disarmo e aveva quantificato il valore degli stessi, ricordando quello delle opere non eseguite. Al valore così determinato, il primo giudice aveva sottratto l’ammontare degli acconti versati, accertando un credito a favore dell’appaltatore il cui ammontare era in parte immune rispetto alla censura dell’appellante. Non vi era dunque alcun ritardo imputabile all’appaltatore per il ritardo nell’esecuzione dei lavori, nessun termine per l’esecuzione degli stessi e nessun divieto di subappalto.

Peraltro, le parti, nel caso di specie, non avevano chiesto l’esecuzione del contratto ma la sua risoluzione, sicché era irrilevante accertare l’inadempimento dell’una o dell’altra parte rispetto alle obbligazioni nascenti dall’appalto. Lo stesso appaltatore aveva chiesto il risarcimento dei danni per le opere realizzate e non pagate e la committente aveva chiesto il risarcimento del danno per i vizi e difetti dell’opera. Non vi sarebbe, dunque, alcun vizio di ultrapetizione del primo giudice, in quanto non essendo provato un impedimento imputabile all’appaltatore correttamente il Tribunale aveva pronunciato la risoluzione del contratto come domandata da entrambe le parti e, per l’effetto, aveva condannato la committente al pagamento in favore dell’appaltatore dei lavori sino a quel momento realizzati al netto di acconti versati.

Quanto ai restanti motivi di appello doveva escludersi l’avvenuta contabilizzazione di opere non realizzate. Il direttore dei lavori aveva dichiarato che l’appaltatore aveva realizzato nel corso dell’appalto le fondazioni, le paretine, il primo solaio dell’armatura del tetto per il getto di cemento armato. Tale dichiarazione, confermata anche dai testi, trovava riscontro nella documentazione in atti dove si faceva riferimento, in particolare, al sopralluogo sul cantiere da parte della polizia municipale del Comune di (OMISSIS), in data 9 dicembre 2004 e alle dichiarazioni di testi presenti relative alla revoca dell’appalto e all’esecuzione dei lavori della struttura in cemento in economia e della chiamata di una terza ditta per effettuare il getto del calcestruzzo.

L’unico motivo che doveva ritenersi fondato era quello relativo alla violazione del principio secondo il quale il contratto ha forza di legge tra le parti. Il consulente tecnico aveva attribuito ai lavori eseguiti dal M. un prezzo al metro quadro ritenuto dal consulente congruo in relazione all’epoca di realizzazione delle opere ovvero Euro 68 al metro quadro per superficie di solaio ed Euro 70 al metro quadro per la copertura. Nel contratto esibito dall’appellante il prezzo al metro quadro risultava al contrario fissato in Euro 65. Dunque, applicando tale prezzo alla valutazione dei relativi lavori relativi al piano fondazioni si otteneva il valore complessivo pari ad Euro 36.501,50, mentre per le opere di copertura si otteneva il valore di Euro 14.820 per il fabbricato A ed Euro 4273,75 per il fabbricato B, che diminuito del 35% risultava essere pari ad Euro 9633 per il fabbricato A e ad Euro 2777,93 per il fabbricato B.

L’importo complessivo spettante all’appaltatore doveva, dunque, essere rideterminato in Euro 48.912,93. Da tali somme andavano detratti gli acconti nella misura di Euro 32.428 con il risultato complessivo di un credito pari ad Euro 16.484. Tale ultimo importo andava diminuito dell’ulteriore somma di Euro 2500 di cui ad un assegno bancario del (OMISSIS) emesso dalla O. in favore del M. e da questi girato a tale Iannotti, non valutato dal giudice di primo grado. Il credito spettante andava quindi rideterminato nella misura di Euro 13.984,43. Per le spese dei materiali il contratto prevedeva espressamente l’obbligo della committente di riconoscere il corrispettivo pattuito, nel quale era compresa la spesa di materiale e manodopera, compresi i ponteggi. La difesa della parte appellante aveva provato alcune spese, quali il ferro per le armature e la rete elettrosaldata. Gli ulteriori costi documentati non potevano essere riconosciuti perché si riferivano a un periodo successivo alla risoluzione del rapporto. Il Credito spettante all’appaltatore doveva pertanto essere rideterminato nel complessivo importo di Euro 8770,43 escluso.

La Corte d’Appello rigettava, infine, il motivo relativo alla restituzione del materiale di proprietà della ditta appaltatrice.

5. O.L. ha proposto ricorso per cassazione avverso il suddetto sentenza sulla base di 13 motivi.

6. M.G. è rimasto intimato.

7. La ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza camerale del 28 maggio 2021, ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

8. La Corte, all’esito della suddetta udienza camerale, ha rinviato la trattazione della causa alla odierna pubblica udienza.

9. Con avviso notificato alle parti il ricorso è stato trattato in camera di consiglio in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020, senza la partecipazione delle parti che non hanno fatto richiesta di discussione orale.

10. L’ufficio della Procura Generale ha presentato conclusioni scritte D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo l’inammissibilità o il rigetto dei primi 10 motivi di ricorso e l’accoglimento dei restanti tre.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4 e all’art. 111 Cost., comma 6.

Si lamenta la nullità della sentenza per omessa motivazione sulla decisione del fatto controverso concernente la sussistenza dei danni conseguenti alla diminuzione del valore del fabbricato per vizi e difetti del cemento armato. Violazione del divieto di addebitare alla parte di non aver assolto l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda (o dell’eccezione) e, nel contempo, negarle l’ammissione della prova offerta, senza nemmeno indicare le ragioni del diniego.

In sostanza mancanza di motivazione sul diniego della CTU.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Art. 360 c.p.c., n. 1, n. 4 in relazione all’art. 61 c.p.c. e ss. e art. 194 c.p.c. e ss..

Si lamenta l’error in procedendo, per non avere il Giudice di secondo grado disposto la c.t.u. per l’accertamento di natura tecnica, sulle conseguenze dannose dei difetti di lavorazione del cemento armato (compattazione, copriferro, disallineamento dei pilastri e travi descritti nell’ATP dell’ing. D.F..)

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c. e all’art. 111 Cost., comma 6.

La censura, in parte ripetitiva delle precedenti, lamenta la nullità della sentenza per omessa motivazione sulla questione, oggetto di specifica censura di appello, che i vizi e difetti del cemento armato (compattazione, copriferro, disallineamento dei pilastri e travi riscontrati nell’ATP (risposte n. 2 e 4) sono di natura strutturale e non meramente estetici.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 115,116,61 e 191 c.p.c. Error in procedendo. Travisamento dell’atto processuale.

La censura ha ad oggetto la contraddittorietà tra il dato esistente in atti e quello preso in considerazione dal Giudice circa il danno derivante dalla mancata realizzazione dell’opera a regola d’arte. La decisione, dichiaratamente fondata sugli accertamenti della ATP, conterrebbe in verità accertamenti difformi da quelli svolti dal consulente tecnico nella predetta ATP.

Il ricorrente si duole della mancata applicazione da parte del Giudice delle norme scientifiche universalmente riconosciute per la lettura della relazione di ATP, oltre che della violazione del dovere di valutare la necessità di nominare un ulteriore CTU, per la soluzione del fatto controverso dipendente da accertamento tecnico.

4.1 I primi quattro motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

In sostanza si censura l’aver omesso di procedere ad una nuova consulenza tecnica di ufficio, l’aver errato nella valutazione delle risultanze della consulenza svolta nel corso dell’accertamento tecnico preventivo e l’erronea valutazione dei vizi e difetti di costruzione dell’opera.

Deve in proposito rilevarsi che la sentenza impugnata ha ampiamente motivato sulle ragioni per le quali non poteva ritenersi sussistente alcun inadempimento da parte dell’appaltatore rispetto a quanto stabilito in contratto. Il calcestruzzo, infatti, era della tipologia indicata in contratto e l’esame delle misure degli elementi strutturali avevano dato valori di resistenza omogenei e vicini e 300 kg/cmq fissati in contratto. La scarsa compattezza del getto comportava solo che si dovesse procedere ad eseguire l’intonaco e la tinteggiatura ma dal contratto non emergeva l’esclusione di tale soluzione tecnica e, dunque, non poteva costituire inadempimento.

Ciò premesso, come evidenziato anche dal Procuratore Generale, la necessità di svolgimento della consulenza tecnica d’ufficio è oggetto del potere discrezionale del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se non nei limiti in cui la mancata ammissione si risolve in un omesso esame di un fatto decisivo, riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La questione circa la maggiore o minore compattezza del cemento armato risulta ampiamente esaminata, così come risultano esaminati tutti gli altri vizi strutturali o difetti di costruzione dedotti e non riscontrati.

Le censure, pertanto, si risolvono in un’inammissibile richiesta di rivalutazione degli elementi istruttori, comprese le risultanze dell’accertamento tecnico preventivo. Tale attività com’e’ noto è demandata al giudice del merito ed il suo sindacato nel giudizio di legittimità è limitato all’omesso esame di un fatto decisivo che nella specie non ricorre.

Non vi è stata alcuna violazione dell’art. 2697 c.c. in quanto la decisione non si è fondata sulla mancata prova dell’inadempimento ma, al contrario, su di una consulenza tecnica e sulle risultanze documentali e testimoniali.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, e all’art. 111 Cost., n. 6.

Il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omessa motivazione sulla decisione del fatto controverso, avente ad oggetto l’inattendibilità dell’ATP, là dove sono state indicate le opere realizzate dall’appaltatore, nonostante le indagini peritali fossero state espletate quando lo stato dei luoghi si era modificato.

5.1 Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.

La censura deduce un vizio di assoluta mancanza di motivazione sullo stato di avanzamento dei lavori che nella specie non è dato riscontrare, avendo la Corte d’Appello ampiamente motivato su tutti i punti oggetto della controversia ed avendo accertato quali fossero i lavori effettivamente realizzati dall’appaltatore. In particolare, a pagina 9 della sentenza si legge che il direttore dei lavori, nel corso della deposizione testimoniale, aveva dichiarato che erano state realizzate dall’appaltatore, nel corso della durata dell’appalto le fondazioni, le paretine, il primo solaio, l’armatura del tetto per il getto del cemento armato, e tale dichiarazione trovava riscontro in altre testimonianze e nella documentazione in atti. Diversamente, per il getto della copertura, la committente si era avvalsa di altra impresa i cui lavori andavano esclusi dalla contabilizzazione in favore dell’appaltatore. Secondo la Corte d’Appello non potevano valere a smentire tale accertamento le dichiarazioni dei testi indicati dalla controparte trattandosi di dichiarazioni inattendibili.

Risulta evidente, per quanto riportato, come non vi sia stata alcuna carenza assoluta di motivazione, e che la stessa, al contrario, sia dettagliata ed approfondita e non suscettibile di sindacato in sede di legittimità se non per omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, come si è detto in riferimento ai precedenti quattro motivi.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 437,112 e 101 c.p.c.: violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum – violazione del diritto di difesa: anziché attenersi al thema decidendum, introdotto con la censura d’appello (con cui l’appellante si è doluta del mancato utilizzo del materiale probatorio prodotto dalla stessa e dell’inattendibilità dell’ATP), il Giudice avrebbe deciso la controversia sullo stato di avanzamento dei lavori con una prova “a sorpresa”, riesumando una testimonianza fornita dalla controparte, che il primo Giudice aveva considerato inattendibile. Travisamento della prova.

In particolare, si lamenta l’utilizzo della testimonianza dell’ing. L. da un lato ritenuta inaffidabile dal primo giudice e, dall’altro, non correlata ai motivi di appello fatti valere dalla O.. Inoltre, si lamenta che l’ing. L. sia stato considerato direttore dei lavori anche con riferimento al fabbricato B.

7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli art. 116 e 246 c.p.c. error in procedendo.

Secondo il ricorrente sarebbe stato disatteso il principio secondo cui la valutazione dell’attendibilità del teste deve avvenire in relazione al contenuto della dichiarazione e non aprioristicamente, in tal modo confondendo l’attendibilità con la capacità a testimoniare.

Si lamenta che l’attendibilità della testimonianza del L. sia avvenuta aprioristicamente e non sulla base del contenuto delle dichiarazioni.

7.1 Il sesto e il settimo motivo di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono inammissibili.

La Corte d’Appello, a differenza del giudice di primo grado, ha ritenuto più attendibile la testimonianza del direttore dei lavori L. rispetto a quelle offerte dai testi indicati dalla ricorrente, tale giudizio non è sindacabile in sede di legittimità, mentre la rivalutazione del materiale probatorio è attività certamente consentita nel giudizio di appello. Con l’appello, infatti, si devolve l’intero materiale probatorio del giudizio di primo grado che il giudice può liberamente valutare, pertanto, nessuna violazione del principio tantum devolutum tantum appellatum si è realizzata.

Infine, non vi è stato alcun travisamento delle dichiarazioni del direttore dei lavori L. non potendosi attribuire alcuna rilevanza al fatto che il danno lamentato dalla ricorrente fosse riferibile solo al fabbricato B progettato (o diretto) da altra persona. Tale circostanza non rende la testimonianza priva del valore attribuitole dal giudice. Anche in questo caso la censura si risolve in una richiesta di diversa valutazione delle testimonianze acquisite nel corso dell’istruttoria, volendo trasformare il giudizio di legittimità in un non consentito terzo grado di giudizio di merito. Sicché è inammissibile la censura sul rilievo attribuito alla testimonianza del L..

8. L’ottavo motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, e all’art. 111 Cost., comma 6: nullità della sentenza per omessa motivazione.

Si censura la decisione di non utilizzare il materiale probatorio fornito dalla ricorrente, in particolare le testimonianze fornite dal titolare della ditta subentrante e dai dipendenti della stessa. Il giudice dell’appello avrebbe sostanzialmente omesso la motivazione sull’inattendibilità delle suddette testimonianze. In sostanza si censura l’arbitrio del giudice di merito nella scelta del materiale probatorio nonostante la specifica censura di appello, ricadente sul medesimo vizio della sentenza di primo grado.

8.1 L’ottavo motivo di ricorso è inammissibile.

La censura presenta le medesime ragioni di inammissibilità già esposte con riferimento ai precedenti motivi, non essendovi alcuna radicale assoluta carenza di motivazione e non essendo indicato alcun omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione.

La complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione delle emergenze processuali al fine di conseguirne una lettura favorevole al ricorrente, ma diversa da quella fornita dal giudice di merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Il motivo tende a ridiscutere risultanze di fatto, come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.

9. Il nono motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 c.p.c., n. 1, n. 4, in relazione agli artt. 437,115 e 112 c.p.c.

La censura ha ad oggetto la violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum inteso nel senso che al Giudice d’appello è inibito trarre dai documenti esistenti indicazioni necessarie ai fini della decisione ove queste non siano state specificate nella domanda o comunque sollecitate dalla parte interessata (fattispecie in cui lo stato di avanzamento si è fondato su un documento che era stato finalizzata a provare tutt’altra circostanza). In particolare si lamenta di aver attribuito specifica valenza probatoria al documento concernente il sopralluogo nel cantiere da parte della polizia municipale del Comune di (OMISSIS) del 9 dicembre 2004. Tale documento era stato prodotto per dimostrare l’estromissione dell’appaltatore dal cantiere e non lo stato di avanzamento dei lavori.

9.1 I nono motivo di ricorso è inammissibile.

Anche in questo caso deve riscontrarsi l’inammissibilità della censura proposta per le stesse ragioni esposte in riferimento ai motivi 6 e 7. Con l’appello si devolve l’intero materiale probatorio che il giudice può liberamente valutare e, pertanto, nessuna violazione del principio tantum devolutum tantum appellatum si è realizzata.

Peraltro, è indiscutibile la valenza probatoria del verbale della polizia municipale del Comune di (OMISSIS), trattandosi di un atto pubblico facente fede fino a querela di falso di quanto attestato dai verbalizzanti, mentre nessuna rilevanza può assumere la finalità della prova in relazione alla quale il documento è stato depositato.

10. Il decimo motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 c.p.c., n. 1, comma 4, in relazione all’art. 115 c.p.c. – travisamento della prova determinato dall’omesso esame degli atti presenti nel fascicolo: in tema di avanzamento dei lavori, la testimonianza dell’ing. B. non sarebbe stata considerata generica ove il Giudice avesse esaminato un documento in atti; inoltre non esiste una logica contraddizione tra la testimonianza dell’ing. B. con quella del teste D..

In particolare, si lamenta che la testimonianza dell’ingegnere B. sia stata travisata perché non esaminata alla luce del documento numero 16 relativo al sopralluogo nel cantiere il 29 gennaio 2005. Da tale sopralluogo risulterebbe che lo stato dei luoghi del fabbricato B fosse diverso da quello attestato dal consulente tecnico d’ufficio ingegnere D.F.. Peraltro, non vi sarebbe alcuna contraddizione tra la testimonianza dell’ingegner B. e quella del teste D..

10.1 Il decimo motivo di ricorso è inammissibile.

Ancora una volta la ricorrente ripropone la rivalutazione di elementi di fatto già oggetto di ampia valutazione da parte del giudice d’appello. Deve richiamarsi in proposito il seguente principio di diritto: “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata”. (Sez. 1, Sent n. 16056 del 2016).

La Corte di merito ha effettuato una valutazione complessiva delle risultanze istruttorie, sufficientemente e logicamente argomentata, fondando il proprio convincimento in base al complessivo materiale probatorio, sicché anche in questo caso le censure proposte mirano ad una impropria revisione del giudizio di fatto precluso in sede di legittimità. Come si è detto la valutazione delle prove, il giudizio sull’attendibilità dei testi e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).

La censura dunque è inammissibile risolvendosi espressamente nella richiesta di rivalutazione degli elementi istruttori, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre.

11. L’undicesimo motivo di ricorso è così rubricato: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 4, e all’art. 111 Cost., comma 6. Motivazione perplessa che non permette di rivelare la ratio decidendi.

La censura ha ad oggetto l’omessa motivazione sul fatto controverso, oggetto di specifica censura della ricorrente, concernente la fattispecie di inadempimento all’obbligazione di pagamento in corrispondenza degli stati di avanzamento posta a carico della O., nonostante dal testo della sentenza risulti l’insussistenza di tale obbligazione. In sostanza non sarebbe spiegato perché sia stato riconosciuto a credito dell’appaltatore l’importo di Euro 8770,43.

Inoltre, vi sarebbe un omesso esame del fatto, risultante dalla sentenza stessa, dell’insussistenza dell’inadempimento della committente all’obbligazione di pagamento, che avrebbe determinato l’accoglimento della domanda di risoluzione contrattuale per colpa dell’appaltatore.

Infine, si lamenta la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. per falsa applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale.

In sostanza si censura la mancanza di motivazione in ordine al calcolo dei lavori eseguiti e ancora non pagati dalla O., e all’aver ricompreso nell’ambito di tali lavori anche quelli eseguiti dopo la risoluzione consensuale del contratto e, quindi, non dovuti perché esigibili contrattualmente solo dopo la realizzazione di ogni livello di piano.

12. Il dodicesimo motivo di ricorso è così rubricato: Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1183 c.c. e art. 1453 c.c.

La sentenza impugnata avrebbe disatteso il principio che il ritardo della prestazione dell’appaltatore, anche se non è fissato un termine, è suscettibile di concretare un inadempimento dello stesso ove è superato il termine congruo.

La Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare che il ritardo dell’appaltatore aveva superato il limite ragionevole entro il quale l’opera doveva essere consegnata e avrebbe omesso di ritenere sussistente l’inadempimento del M. che legittimava la risoluzione del contratto per colpa dell’appaltatore. Al contrario, alcun ritardo nel pagamento dei lavori poteva essere addebitato alla O., con le conseguenze in tema di soccombenza nelle spese di lite.

13. Il tredicesimo motivo di ricorso è così rubricato: Art. 360 c.p.c., comma 1, in relazione agli art. 437 e 112 c.p.c. – violazione del principio tantum devolutum quantum appellatum, omessa pronuncia. Violazione degli artt. 1372,1453 e 1458 c.c.

La Corte d’Appello, anziché pronunciarsi sulla censura dell’appellante (escludente l’automatica applicazione dell’art. 1458 c.c. alla risoluzione consensuale del contratto, antecedente all’inizio del giudizio), ha diversamente considerato il fatto, divenuto cosa giudicata nei confronti dell’appaltatore, ed ha omesso di pronunciarsi sulla censura fondata sulla diversità tra domanda proposta dall’appaltatore e domanda accolta.

Il motivo attiene al fatto che, secondo la ricorrente, il giudice di primo grado aveva accertato un inadempimento reciproco di entrambe le parti, sicché la Corte d’appello avrebbe dovuto individuare quale degli inadempimenti fosse prevalente ai fini della pronuncia di risoluzione. La O. si era lamentata di questo aspetto e la Corte d’Appello non lo avrebbe esaminato. La Corte d’Appello avrebbe dovuto tener conto della domanda del M. e non avrebbe dovuto accoglierla, non avendo questi agito per l’indebito oggettivo. La Corte d’Appello avrebbe fatto erronea applicazione dell’art. 1458 c.c. disponendo il pagamento del secondo stato di avanzamento dei lavori.

14. I motivi dall’undicesimo al tredicesimo sono infondati.

La sentenza impugnata ha confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto insussistente l’inadempimento da parte dell’appaltatore quale ragione giustificatrice della risoluzione del contratto. Nessun rilievo è stato attribuito alla condotta della ricorrente di presunto inadempimento ed è stato disposto solo il pagamento dei lavori effettuati prima della risoluzione consensuale del rapporto.

Le doglianze, pertanto, sono prive di pregio in quanto l’appello della O. aveva ad oggetto i presunti vizi dell’opera e l’inadempimento della controparte anche per ritardo. La Corte d’Appello ha escluso ci fosse un inadempimento addebitabile al M. tale da giustificare la risoluzione del contratto che, invece, era avvenuta per mutuo consenso in corso di rapporto, tanto che la O. aveva affidato la prosecuzione dei lavori ad altra ditta e aveva impedito l’accesso al cantiere all’impresa e aveva comunicato al Comune il proseguimento dei lavori in economia. Sul punto non si era formato alcun giudicato, in quanto anche il giudice di primo grado aveva ritenuto risolto il contratto per mutuo consenso prima dell’inizio del giudizio. In ogni caso, deve ribadirsi che l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito, sindacabile solo nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Sulla base di questa ricostruzione deve ritenersi del tutto infondata la censura del mancato rispetto del termine nella consegna dei lavori, così come la violazione dell’art. 1458 c.c., sia perché, come evidenziato dalla Corte d’Appello, nel contratto non era previsto alcun termine essenziale, sia perché il vincolo contrattuale si era sciolto anticipatamente per reciproca volontà delle parti e non per il presunto ritardo nella prosecuzione dei lavori o per il ritardo nel pagamento degli stati di avanzamento.

Per gli stessi motivi anche la censura di ultrapetizione è del tutto infondata, in quanto la Corte d’Appello, in conformità con quanto statuito dal giudice di primo grado, ha rigettato la domanda della O. di risoluzione per inadempimento, ritenendo sussistente il suo obbligo di corrispondere il pagamento per i lavori effettuati. Peraltro, la Corte d’Appello, in parziale accoglimento dell’appello della medesima O., ha ridotto quanto da lei dovuto, tenendo conto di alcune spese anticipate per l’acquisto del ferro e della rete elettrosaldata, escludendo invece i costi sostenuti per il periodo successivo all’interruzione del rapporto.

15. Il ricorso è rigettato. Nulla sulle spese non essendoci altre parti costituite oltre alla ricorrente.

16. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

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