Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6345 del 21/03/2011

Cassazione civile sez. I, 21/03/2011, (ud. 17/02/2011, dep. 21/03/2011), n.6345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.M.A. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA P. STANISLAO MANCINI 2, presso l’avvocato

CESCHINI ROBERTA, che lo rappresenta e difende, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.D. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA CASSIODORO 19, presso l’avvocato JANARI LUIGI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LEANZA PAOLO NUNZIO,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DEL

PIEMONTE E VAL D’AOSTA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE PER I MINORENNI di TORINO,

depositato il 22/04/2010 n. 544/10 Reg. V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/02/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato P.N. LEANZA che ha chiesto

il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle D’Aosta, con decreto del 20-22.04.2010, respingeva, su conforme parere del P.M., l’istanza che T.M.A., nato e residente in (OMISSIS), e di cittadinanza (OMISSIS), aveva proposto il 17 settembre 2009, ai sensi della L. 15 gennaio 1994, n. 64, art. 7 e della Convenzione de l’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata e resa esecutiva dalla citata L. n. 64 del 1994, onde ottenere il ritorno immediato in (OMISSIS) della minore T.A.L., nata in (OMISSIS), figlia sua e di sua moglie C. D., cittadina italiana. Il T. assumeva che, senza la sua autorizzazione ed in violazione del suo diritto di affidamento, la bambina era illecitamente trattenuta in (OMISSIS) dalla madre (sin dall’aprile/maggio del 2009).

Il Tribunale per i minorenni riteneva che il ricorso del T. dovesse essere respinto in quanto era mancata la prova della ricorrenza del presupposto fondamentale del richiesto provvedimento di rimpatrio e cioè che la minore avesse la propria residenza abituale in (OMISSIS); e ciò considerando che la minore:

era nata in (OMISSIS), che ivi, come la madre, formalmente risiedeva, e che era iscritta al SSN a tempo indeterminato – che per i primi 3 mesi e mezzo dalla sua nascita era rimasta in (OMISSIS) si era spostata in (OMISSIS), era poco dopo tornata in (OMISSIS), vi aveva soggiornato per ulteriori 15 giorni, nel corso dei quali le erano state somministrate le prime vaccinazioni, completate tutte poi in (OMISSIS), e successivamente, dal (OMISSIS), aveva soggiornato di nuovo in (OMISSIS) sino a fine (OMISSIS), epoca in cui la famiglia era ritornata in (OMISSIS) che, dunque, per il profilo eminentemente temporale non poteva parlarsi di residenza prevalente in (OMISSIS), data la sostanziale equivalenza dei periodi trascorsi dalla bambina nei diversi paesi di residenza dei genitori, che erano stati mantenuti sempre distinti e nei quali avevano anche sede le rispettive attività professionali che non risultava provata l’esistenza di un progetto concordato tra il T. e la C., volto al definitivo trasferimento in (OMISSIS) di quest’ultima e della figlia, posto anzi che la C., insegnante con contratto a tempo indeterminato, aveva trasformato il suo rapporto di lavoro da tempo pieno in part time, il che: dimostrava la sua intenzione di mantenere il posto di lavoro in (OMISSIS);

– che non poteva nemmeno ritenersi che l’appartamento di soli mq 42.

intestato al T., fosse stato scelto come abitazione familiare atta a dimorarvi stabilmente, considerando la palese insufficienza delle relative dimensioni rispetto ai bisogni di una famiglia con una figlia, anche considerando il livello economico-sociale e culturale delle parti;

che il 22.07.2009, nell’incontro avuto in (OMISSIS) con i legali della moglie nell’ambito d’iniziative volte allo scioglimento del rapporto coniugale in crisi, il T. non aveva lamentato alcuna sottrazione della figlia, per poi, invece, avviare, il 17 settembre successivo, il presente procedimento, a distanza di due mesi da detto incontro e di cinque mesi dalla lamentata sottrazione della figlia che anche la progettualità del T. nei confronti della figlia appariva piuttosto confusa, posto che in udienza aveva proposto varie soluzioni alternative nel caso di rientro in (OMISSIS) della bambina, implicanti in un caso il coinvolgimento dei nonni paterni (che la minore non aveva praticamente mai incontrato nè sentito), nonchè chiarito di non volere avere in sede di divorzio l’affidamento della figlia, in quanto adeguatamente accudita dalla madre, circostanze che implicavano anche dubbi in ordine ai rischi psico-fisici che si sarebbero potuti creare una volta distaccata la minore da quello che era ormai divenuto il suo ambiente di riferimento. Contro questo decreto il T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, notificato al PG presso il giudice a quo ed alla C., che ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso il T. denunzia:

1. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 della Convenzione dell’Aja del 25.10.1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori”.

Censura il rigetto della sua istanza di rimpatrio della figlia, sostenendo conclusivamente che il Tribunale per i minorenni è incorso nell’errore di esaminare e prendere in considerazione presupposti che nulla hanno a che vedere con S”individuazione della residenza abituale, soffermandosi su dati formali (le risultanze anagrafiche, la cittadinanza, i dato numerico) nonchè su considerazioni del tutto soggettive (la metratura della casa coniugale).

In particolare deduce:

che le risultanze anagrafiche e formali, così come la cittadinanza, nulla hanno a che vedere con l’individuazione della residenza abituale che i periodi di permanenza della figlia in (OMISSIS) erano stati, sino alla denunciata sottrazione, oltre che di durata non equivalente ma superiore a quelli trascorsi in (OMISSIS), i soli connotati da quotidiani e durevoli aspetti affettivi ed organizzativi, quale l’acquisto della casa e dei relativi arredi, tali da evidenziare l’intenzione di ivi creare un nucleo familiare stabile;

– che le iniziative assunte dalla C. in relazione alla sua attività professionale svolta in (OMISSIS), quale pubblico dipendente, non avevano alcun rilievo ai fini della individuazione della residenza abituale, ma dimostravano solo che la stessa aveva inteso usufruire di tutti i permessi e congedi di maternità possibili, onde mantenere gli introiti economici nel tempo della ricerca di diversi impieghi lavorativi stabili in (OMISSIS), secondo il progetto concordato con il marito che non potevano inferirsi argomenti dalla soggettiva scelta di un appartamento di ridotte dimensioni, peraltro dotato di due camere da letto;

2. “Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della Convenzione dell’Aja del 25.10.1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori”.

Si duole del riferimento contenuto nell’impugnato decreto a ritardo nella presentazione dell’istanza di rimpatrio della figlia, sostenendo trattarsi di notazione di biasimo irrilevante, superficiale ed ingiustificata, date le chiarite ragioni.

essenzialmente consistite nella volontà di salvare l’unione coniugale, per le quali l’iniziativa, comunque legalmente tempestiva, non era stata più sollecita.

3. ” Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio – Insufficiente e contraddittoria valutazione delle prove e violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 116 c.p.c.”.

Censura l’impugnato decreto anche per il profilo argomentativo e segnatamente per l’omessa motivazione circa l’irrilevanza della gran mole di documenti da lui prodotti e specificamente per la mancata valutazione:

– del contenuto del suo ricorso del 27.07.2009 (doc 6), all’Autorità giudiziaria francese, onde ottenere il divorzio dalla moglie, in cui aveva argomentato sulla residenza abituale della famiglia e lamentato anche la sottrazione illecita della figlia;

– dell’attestazione (doc 16 a) stilata dalla pediatra italiana della figlia, da cui emergeva che tra l’ottobre 2008 e la fine dell’aprile del 2009 la figlia non era mai stata visitata in (OMISSIS) e del documento n. 11, da cui risultava che nel periodo la bambina era stata visitata in (OMISSIS);

– dello stato di servizio della C. (doc 16 b), inerente alle sue astensioni dal lavoro protrattesi dal periodo della gravidanza sino ad aprile 2009, nel quale ella si trovava in (OMISSIS);

– della lettera del prof D. (doc. 12) inerente al colloquio avvenuto con i coniugi il 13.10.2009 della corrispondenza ricevuta dalla C. presso l’abitazione in (OMISSIS) nel periodo ottobre 2009-aprile 2010;

– delle numerosissime dichiarazioni giurate rilasciate dagli amici e conoscenti francesi, dei documenti confermati dalle parti nel corso dell’interrogatorio circa la comune scelta della casa coniugale di (OMISSIS);

– della visita dei genitori della C. e dell’acquisto da parte di quest’ultima, per Euro 3.000,00,dei mobili per la cucina di (OMISSIS) della partecipazione di nozze recante come indirizzo comune quello di (OMISSIS) (dimora precedente a quella di (OMISSIS)) della memoria con dettagli sull’organizzazione che il ricorrente avrebbe approntato in caso di rimpatrio della figlia.

I motivi del ricorso, che essendo strettamente connessi consentono esame congiunto, non hanno pregio.

In aderenza al dettato normativo ed alla relativa elaborazione giurisprudenziale nonchè con motivazione adeguata e logica, il Tribunale per i minorenni del (OMISSIS) ha ineccepibilmente disatteso la domanda del T., giacchè:

la residenza abituale che la minore aveva prima della prospettata violazione del diritto paterno di affidamento è stata legittimamente assunta come requisito condizionante l’adozione della chiesta misura ripristinatoria, alla luce del criterio già contemplato nel preambolo e negli artt. 3, lett. a), 4, 8 e 14 della citata Convenzione de l’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (piuttosto che nella richiamata Legge Di Ratifica n. 64 del 1994, art. 7) e poi ribadito dagli artt. 2 n. 11, 8, 9,10 e 11 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (in tema cfr cass. 200622507) ai sensi della suddetta Convenzione de L’Aja del 1980 e del citato Regolamento, la nozione di residenza abituale, immediatamente precedente il trasferimento illecito, non coincide con quella di “domicilio” (art. 43 c.c., comma 1), nè con quella, di carattere formale, di residenza scelta d’accordo tra i coniugi (art. 144 c.c.), dovendo per essa intendersi il luogo (autonomo rispetto a quello di prevalente localizzazione della vita matrimoniale, cui le Sezioni Unite di questa Corte hanno, invece, avuto riguardo nella recente pronuncia n. 15328 del 2010, resa tra le stesse parti) in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dello svolgersi in detta località della sua quotidiana vita di relazione (cfr., tra le altre, cass. 200319544; 200413167;

200502093;200600397; 200622507) l’accertamento della residenza abituale è riservato all’apprezzamento, incensurabile in sede di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (cfr., tra le numerose altre, cass. 200616092), del giudice del merito, il quale, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza, può, ai fini della formazione del proprio convincimento, avvalersi di presunzioni semplici, che costituiscono una prova completa suscettibile di assumere rilevanza anche in via esclusiva, e, dunque, può individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico, valutandone la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità nella specie, detto accertamento risulta irreprensibilmente fondato su un’articolata serie di elementi presuntivi, tra i quali sono state legittimamente incluse le risultanze anagrafiche, che, sebbene prive di efficacia probatoria assoluta e dirimente, ben potevano essere assunte con mera valenza indiziaria, e sia il comportamento di ciascuna delle parti, quali genitori della minore, e segnatamente le modalità anche temporali e spaziali che, dopo la nascita della figlia, rimasta sempre accanto alla madre, avevano connotato la vita del nucleo familiare in termini di sostanziale diversa ed autonoma collocazione logistica delle medesime a parti, salvo periodi di soggiorno comune anche in (OMISSIS) presso la residenza del marito, ed ancora le iniziative personali, ivi comprese quelle lavorative, da ciascuna di loro assunte o mancate, elementi tutti che unitamente agli altri sono stati nel loro complesso attendibilmente intesi come atti a dimostrare la non coincidenza della residenza abituale della minore con quella dell’istante e, quindi, ad escludere irreprensibilmente che il diritto di custodia della figlia in capo anche al T. fosse stato conculcato dalla C. (cfr. cass 200616831) d’altra parte, il ricorrente inammissibilmente avversa tale conclusione o con generici rilievi di errori valutativi in ordine ai dati assunti, da cui non è dato desumere illogicità o carenze motivazionali decisive ma sostanzialmente l’auspicio di un diverso apprezzamento dei medesimi elementi presuntivi, non consentito in questa sede di legittimità, o ancora con richiamo ad atti del cui contenuto è stata omessa la trascrizione e che, quindi, si rivela carente sotto il profilo dell’auto sufficienza, prima che ancorato a risultanze che comunque non appaiono tali da potere rivestire contraria decisività probatoria.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto, con condanna del T., soccombente, al pagamento in favore della controparte, delle sole spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, e non anche al pagamento delle spese del giudizio di merito, dato che la C. non ha proposto ricorso incidentale rispetto all’omessa loro liquidazione nel pregresso grado.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il T. a rimborsare alla C. le spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge. Ai sensi del D.Lgs n. 196 del 2003, art. 52, comma 5, in caso di diffusione della presente sentenza si devono omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011

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