Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6345 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/03/2020, (ud. 14/02/2020, dep. 05/03/2020), n.6345

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25872-2018 proposto da:

SIRO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII, 268, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO PIERLUIGI, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

JAPANPARTS SRL, in persona del legale rappresentante I, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio

dell’avvocato LUIGI MANZI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GIOVANNI MACCAGNANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2621/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/02/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte rilevato che:

la sentenza di primo grado del Tribunale di Tivoli, esclusa la litispendenza, aveva ravvisato la continenza rispetto al giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Verona fra le stesse parti, Siro s.r.l., attrice, e Japanparts s.r.l., convenuta, per identità di soggetti e causa petendi, assegnando termine per la riassunzione e compensando le spese;

con sentenza del 19/4/2018 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado del Tribunale di Tivoli, per il resto confermata, ha condannato l’attrice appellata Siro alla rifusione in favore della controparte delle spese processuali del doppio grado di giudizio;

avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione Siro s.r.l., svolgendo quattro motivi, tutti per violazione e/o falsa applicazione di legge al quale ha resistito Japanparts s.r.l., chiedendone il rigetto;

in data 7/1/2020 il Consigliere relatore ha proposto ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la trattazione in camera di consiglio non partecipata, previa delibazione dell’inammissibilità del secondo motivo di ricorso e della manifesta infondatezza del 1 e del 4 motivo e invece della manifesta fondatezza del 3 motivo;

le parti hanno illustrato con memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, le rispettive difese;

ritenuto che: il primo motivo con cui la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 342 c.p.c., da parte della Corte di appello perchè l’appellante Japanparts non avrebbe adeguatamente specificato i motivi del gravame è manifestamente infondato poichè la parte appellante aveva lamentato la violazione dell’art. 92 c.p.c., invocando l’applicazione della regola generale della soccombenza, alla quale il Giudice di primo grado aveva derogato, senza addurre specificatamente le gravi ed eccezionali ragioni giustificatrici richieste dalla legge nella formulazione pro tempore applicabile, adducendo una motivazione meramente tautologica ed apparente con il riferimento alla “natura della decisione”;

il secondo motivo, con cui la ricorrente lamenta violazione dell’art. 91 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio appare totalmente riversato nel merito; la critica della ricorrente è infatti basata su di una serie di considerazioni non pertinenti al fatto essenziale, ottimi irretrattabile, della continenza del giudizio instaurato presso il Tribunale di Tivoli rispetto a quello radicato presso il Tribunale di Verona e sulla prospettazione di una serie di elementi fattuali, legati ai due itinere processuali, che avrebbero giustificato la compensazione delle spese, dapprima concessa e quindi in appello negata, così richiedendo a questa Corte una inammissibile valutazione di merito circa la sussistenza delle gravi ed eccezionali ragioni considerate dall’art. 92 c.p.c. (Sez. 6 – 3, n. 11329 del 26/04/2019, Rv. 653610 – 01; Sez. U, n. 14989 del 15/07/2005, Rv. 582306 – 01);

inoltre la parte ricorrente non individua un ben preciso fatto storico, per giunta decisivo, controverso fra le parti di cui sia stato omesso l’esame;

con il terzo motivo la ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 75 disp. att. c.p.c., per aver la Corte di appello liquidato le spese del giudizio di primo grado in misura ampiamente superiore (Euro 36.145,00 per compensi) a quanto indicato dal difensore di Japanparts nella nota spese di primo grado (Euro 23.400,00 per compensi) e aggiunge che tale esubero non poteva essere ritenuto giustificato dal fatto che la richiesta della parte convenuta Japanparts era avvenuta con riferimento ai parametri dei compensi professionali di cui al D.M. n. 140 del 2012, sotto il cui vigore era stata svolta l’intera attività del giudizio di primo grado, mentre la sentenza del Tribunale era stata pronunciata una settimana dopo l’introduzione della nuova tariffa;

la censura articolata con la seconda parte del motivo è manifestamente infondata;

secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, in tema di spese processuali i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, debbono essere applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di compenso la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata (Sez. U, n. 17405 del 12/10/2012, Rv. 623533 – 01; Sez. L, n. 27233 del 26/10/2018, Rv. 651261 – 01; Sez. 6 – 3, n. 17577 del 04/07/2018, Rv. 649689 – 01);

solo quando il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto decreto ministeriale non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado; nondimeno, in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c.p.c., anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di compenso evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza (Sez. 6 – L, n. 31884 del 10/12/2018, Rv. 651920 – 01);

pertanto il riferimento ai parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014, da parte della Corte di appello, di per sè, è ineccepibile, sia perchè, come riconosce la stessa ricorrente, al momento della pronuncia di primo grado era già entrato in vigore il nuovo decreto ministeriale del 2014 e perchè comunque la Corte di appello ha correttamente applicato il decreto in vigore al momento della sua pronuncia di riforma della sentenza di primo grado che, avendo disposto la compensazione, non aveva provveduto alla liquidazione; tuttavia la prima parte del motivo con cui la ricorrente lamenta la condanna al pagamento di una somma superiore a quella richiesta dalla controparte è fondata;

in tema di nota spese e1 art. 75 disp. att. c.p.c., questa Corte ha ripetutamente affermato, che in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all’inderogabilità dei relativi minimi, giusta D.L. n. 794 del 1942, art. 24 (Sez. L, n. 8824 del 05/04/2017, Rv. 643908 – 01; Sez. 3, n. 20604 del 14/10/2015, Rv. 637583 – 01; Sez. 6 – 2, n. 7293 del 30/03/2011, Rv. 616898 – 01; Sez. L, n. 4404 del 24/02/2009, Rv. 607744 – 01);

tuttavia la nota spese ex art. 75 disp. att. c.p.c., funge anche da limite al potere del giudice di liquidazione dei compensi alla parte vittoriosa, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, secondo il quale, quando la parte presenta la nota delle spese, secondo quanto è previsto dall’art. 75 disp. att. c.p.c., specificando la somma domandata, il giudice non può attribuire alla parte, a titolo di rimborso delle spese, una somma di entità superiore (Sez. 3, n. 17057 del 26/06/2019, Rv. 654402 -01; Sez. 6 – 3, n. 11522 del 14/05/2013, Rv. 626367 – 01; Sez. 3, n. 5327 del 04/04/2003, Rv. 561900 – 01);

a tal proposito è stato infatti affermato che ” una cosa è che, pure in mancanza di una espressa istanza in tal senso, il giudice abbia il potere di riconoscere alla parte vittoriosa il diritto ad essere rimborsata delle spese sostenute nel processo.

Altra cosa è che egli abbia il potere di liquidare spese ed onorari in misura superiore a quella di cui la parte chiede il rimborso nella nota delle spese..attraverso la nota delle spese, la parte fissa l’oggetto della condanna chiesta al giudice, sì che, tutte le volte che il giudice liquidi spese, diritti di procuratore ed onorari di avvocato in misura inferiore a quella richiesta, la pronuncia deve essere sorretta dalla spiegazione delle ragioni per cui il rimborso è considerato non dovuto o dovuto in misura inferiore rispetto a quello richiesto in corrispondenza delle singole voci della nota … Non si giustifica, allora, che alla nota delle spese sia negata analoga efficacia quanto alla determinazione dell’oggetto della pronuncia di liquidazione in rapporto ad un esercizio dal potere che si svolga nel senso di oltrepassare la misura di quanto è domandato. Che ciò non sia appare del resto conforme al principio che informa il processo principio per cui il “giudice non può pronunciare oltre i limiti della domanda (art. 112 c.p.c.).”;

la valenza vincolante di tale notula non può essere inficiata dal fatto che, dopo il suo deposito in data 27/3/2014, siano stati modificati i parametri con decorrenza 3/4/2014, perchè prevale il fatto obiettivo che la richiesta di parte relativa ai compensi professionali non è stata comunque modificata, neppure nel corso del giudizio di appello (come del resto riconosce a pagina 2 della memoria illustrativa la controricorrente), mentre non può ritenersi che la predetta notula potesse considerarsi tamquam non esset per il solo fatto della modificazione medio tempore dei parametri in difetto di attività della parte interessata;

la valenza della notula non è inficiata neppure dal fatto che vi fosse un procuratore domiciliatario, l’avv. Rossi, che non aveva presentato personalmente notula, visto che quella depositata nell’interesse della parte non poteva che riferirsi all’attività svolta da entrambi i suoi difensori;

il quarto motivo lamenta in primo luogo l’erronea applicazione dello scaglione di riferimento con riferimento al giudizio di secondo grado (scaglione fra Euro 26.001 e 52.000) e non quello inferiore (da Euro 5.001,00 a 26.000,00);

secondo le Sezioni Unite ove il giudizio prosegua in un grado di impugnazione soltanto per la determinazione del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il differenziale tra la somma attribuita dalla sentenza impugnata e quella ritenuta corretta secondo l’atto di impugnazione costituisce il disputatum della controversia nel grado e sulla base di tale criterio, integrato parimenti dal criterio del decisum (e cioè del contenuto effettivo della decisione assunta dal giudice), vanno determinate le ulteriori spese di lite riferite all’attività difensiva svolta nel (Sez. U, n. 19014 del 11/09/2007, Rv. 598766 01);

pertanto anche se la pretesa della Japanparts era superiore, il giudice doveva tener conto di quanto concretamente attribuito, sicchè il motivo resta in parte qua assorbito dall’accoglimento della censura precedente per pregiudizialità; lo stesso vale per le restanti censure riguardanti la misura della liquidazione che dovrà comunque essere riformulata dal giudice del rinvio;

ritenuto pertanto che:

debba essere accolto il terzo motivo di ricorso, respinto il primo e inammissibile il secondo, assorbito il quarto, con cassazione in parte qua della sentenza impugnata e rinvio anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il terzo motivo di ricorso, respinto il primo e dichiarato inammissibile il secondo, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta Sezione civile, il 14 febbraio 2020

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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