Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6343 del 21/03/2011

Cassazione civile sez. I, 21/03/2011, (ud. 17/02/2011, dep. 21/03/2011), n.6343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA CARLO MIRABELLI 14, presso l’avvocato MANLIO

INGARRICA, rappresentata e difesa dagli avvocati LA VALLE FRANCESCO,

FAVAZZO ANTONINO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

F.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CARLO DEL GRECO 59 (OSTIA LIDO), presso

l’avvocato LA MOTTA DORA, rappresentato e difeso dall’avvocato

TOMMASINI RAFFAELE, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 423/2009 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 12/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/02/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FELICETTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato FAVAZZO A. che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato R. TOMMASINI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per il rigetto, assorbito il

controricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il sig. F.V. con ricorso 11 novembre 2006 al Presidente del tribunale di Messina, premesso che detto tribunale in data 17 gennaio 2003 aveva omologato la separazione personale fra esso istante e la moglie sig.ra M.A., chiedeva che fosse pronunciata la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio con sentenza non definitiva, disponendosi in prosieguo quanto alle ulteriori domande. La sig.ra M. si costituiva opponendosi alla pronuncia, chiedendo l’affidamento dei figli minori e un assegno di mantenimento. Deduceva l’invalidità della separazione consensuale per vizi del consenso. Il tribunale, con sentenza non definitiva del 1 dicembre 2007, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio provvedendo con separata ordinanza per il prosieguo della causa in ordine alle ulteriori domande. La sig.ra M. proponeva appello avverso tale sentenza, deducendo vizi procedurali, il mancato esame della questione relativa all’invalidità della separazione e alla declaratoria d’inammissibilità della domanda di mutamento del titolo della separazione con pronuncia di addebito. Il sig. F. chiedeva il rigetto del gravame. La Corte d’appello di Messina, con sentenza depositata il 12 giugno 2009, notificata il 29 giugno 2009, rigettava l’appello. La sig.ra M. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 9 ottobre 2009 al sig. F., formulando quattro motivi. Il sig. F. resiste con controricorso notificato il 10 novembre 2009 e memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va pregiudizialmente rigettata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso prospettata dal controricorrente per mancata esposizione dei fatti di causa e attinenza dei motivi ad accertamenti di merito, risultando i fatti di causa sufficientemente esposti nel complesso del ricorso ed attenendo i motivi alla deduzione di violazioni di legge.

2. Con il primo motivo si denuncia la violazione degli artt. 183 e 189 c.p.c., deducendosi la nullità della sentenza non definitiva del tribunale per la mancata concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, ancorchè richiesti e senza che le parti fossero state poste in grado di precisare le conclusioni. Sarebbe infatti errata l’affermazione del tribunale secondo la quale detti termini possono non essere concessi nel procedimento divorzile. Si deduce in proposito che l’applicabilità anche ai procedimenti di divorzio dell’art. 183 c.p.c., comma 6, è espressamente stabilita dall’art. 709 bis c.p.c., e che la concessione dei termini ivi previsti non costituisce una mera facoltà del giudice, ma un diritto delle parti ove, come nel caso di specie, li richiedano. Parimenti errata sarebbe l’affermazione secondo la quale la mancata precisazione delle conclusioni non determina alcuna nullità, non avendo le parti potuto nel caso di specie non solo precisare o modificare le loro domande ai sensi dell’art. 183, ma neppure mutare le conclusioni prese negli atti introduttivi.

Si formula il seguente quesito: “Dica la Corte se il vizio derivante dal mancato rispetto delle sequenze procedimentali secondo cui è normativamente scandita la trattazione della causa in primo grado, per non avere il giudice, benchè richiesto, concesso alle parti i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, e avere rimesso la causa in decisione quando era ancora aperta la fase rivolta alla definitiva determinazione del thema decidendum e del conseguente thema probandum costituisca causa di nullità anche della sentenza non definitiva di cessazione degli effetti civili del matrimonio e se sia viziata la sentenza del giudice dell’impugnazione che, pur sollecitato in tal senso con apposito motivo, rigetti il relativo gravame senza la remissione della causa al primo giudice e senza sanare, ove possibile, concedendo i su detti termini o, comunque, altrimenti assicurando il corretto esercizio del diritto di difesa delle parti”.

Il motivo, da esaminarsi nei limiti e termini in cui risulta formulato il quesito, è inammissibile.

La sentenza impugnata ha negato la nullità della sentenza di primo grado sotto il profilo della violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, per non essere stati concessi, nonostante fossero stati richiesti, i termini per il deposito delle memorie ivi previste, in quanto la concessione di tali termini non sarebbe prevista nel giudizio di divorzio per il caso in cui sia richiesta l’emanazione di sentenza parziale sullo scioglimento del vincolo, con rimessione a sentenza definitiva delle rimanenti domande. Peraltro la Corte d’appello, così disponendo, ha fatto applicazione del previgente testo dell’art. 4 della legge sul divorzio – secondo l’interpretazione data in proposito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 28 aprile 2006, n. 9882; 19 settembre 2001, n. 11751) – senza considerare che il nuovo testo dell’art. 4, comma 11 (introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, conv. nella L. n. 80 del 2005, applicabile alla fattispecie “ratione temporis”) espressamente richiama e rende applicabile anche ai procedimenti di divorzio l’art. 183 c.p.c., comma 6, con una formula ed una collocazione che non consentono alcuna eccezione. Il nuovo testo dell’art. 4, infatti, contiene una dettagliata ed espressa normativa procedimentale, prevedendo al comma 10 che con l’ordinanza presidenziale di fissazione dell’udienza di comparizione dinanzi al giudice istruttore il presidente assegna termine al ricorrente per il deposito in cancelleria di memoria integrativa , che deve avere il contenuto di cui all’art. 163 c.p.c., comma 3, nn. 2), 3), 4), 5) e 6) e termine al convenuto per la costituzione in giudizio ai sensi dell’art. 166 e art. 167 c.p.c., comma 1 e 2, nonchè per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio. In particolare l’ordinanza deve contenere l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre il detto termine implica le decadenze di cui all’art. 167 c.p.c. e che oltre il termine stesso non potranno più essere proposte le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio. Prevede poi al successivo comma 11: “All’udienza davanti al giudice istruttore si applicano le disposizioni di cui agli artt. 180 e 183 c.p.c., commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7. Si applica altresì l’art. 184 del citato codice”. Tale norma, per il suo chiaro ed esplicito tenore, innovativo rispetto alla precedente disciplina e collocata, nella sequenza procedimentale, prima della previsione, al comma successivo, che “nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell’assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio”, implica l’applicabilità delle disposizioni dell’art. 183 c.p.c., commi 1, 2, 4, 5, 6 e 7, anche nell’ipotesi in cui venga emessa sentenza non definitiva limitata alla pronuncia di scioglimento o cessazione d’efficacia degli effetti civili del matrimonio.

Tuttavia la parte che impugni la sentenza non definitiva di divorzio per la mancata concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, per ottenerne la declaratoria di nullità, deve dimostrare che da tale mancata concessione sia conseguita in concreto una lesione del suo diritto di difesa, allegando il pregiudizio che gliene sia derivato, essendo altrimenti il gravame in proposito inammissibile per difetto d’interesse (ex multis Cass. 19 maggio 2006, n. 11844; 8 settembre 2003, n. 13091). Nel caso di specie la Corte d’appello aveva specificamente affermato – senza che sul punto sia stata formulata in questa sede specifica ed argomentata censura che non era stata dimostrata alcuna violazione del diritto di difesa dell’appellante, la quale aveva dedotto al riguardo unicamente di non avere potuto meglio formulare la propria domanda di annullamento della separazione consensuale e di non avere potuto precisare che il vizio di consenso alla separazione integrava eccezione relativamente all’esistenza delle condizioni per il divorzio. Ma, quanto alla dedotta impossibilità di formulare la domanda di annullamento, trattandosi di domanda riconvenzionale, essa andava proposta con la comparsa di risposta e non era proponibile con le memorie previste dall’art. 183 c.p.c., comma 6, con conseguente mancanza, sotto tale profilo, di lesione del diritto di difesa. Mentre quanto all’impossibilità di precisare che il vizio di consenso alla separazione integrava eccezione relativamente all’esistenza delle condizioni per il divorzio, la Corte d’appello aveva affermato che tale vizio per un verso non poteva essere fatto valere in via di eccezione ma unicamente in via di azione; per altro verso era stato già dedotto nella memoria di costituzione e in udienza dinanzi al giudice istruttore, con conseguente mancanza di lesione del diritto di difesa anche in relazione a tale profilo. Essendo mancate specifiche censure al riguardo il motivo deve essere dichiarato inammissibile, restando accertata la mancata lesione del diritto di difesa, con conseguente carenza d’interesse al motivo anche in questa sede.

3. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello erroneamente negato che essa ricorrente avesse proposto una domanda di annullamento della separazione per vizi del consenso, ritenendo che detti vizi fossero stati allegati unicamente quale eccezione, al fine di ottenere il rigetto della domanda di divorzio. In effetti, invece, non essendo stati concessi i termini di cui all’art. 183 c.p.c. nè essendo stato possibile precisare le conclusioni, essa ricorrente aveva formulato tale domanda nell’unica sede possibile, e cioè nella comparsa conclusionale in primo grado, deducendo di avere “diritto alla verifica della sussistenza e validità dei presupposti per la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio e, in particolare, ha diritto alla verifica della validità di una separazione consensuale omologata ma il cui consenso, fonte e causa della separazione stessa, è affetto da vizi”.

Si formula al riguardo il seguente quesito: “Dica la Corte se nell’indagine diretta all’individuazione e qualificazione della domanda il giudice di merito debba tener presente essenzialmente il contenuto sostanziale della pretesa, desumibile, oltre che dal tenore delle deduzioni svolte nell’atto introduttivo e nei successivi scritti difensivi, anche nello scopo cui la parte mira con la propria richiesta”.

Anche tale motivo è inammissibile sotto il profilo del difetto d’interesse, per l’assorbente ragione che se anche la su detta deduzione, intesa dal giudice del merito come eccezione, potesse essere interpretata come domanda di annullamento dell’atto di separazione consensuale omologato, tale domanda, avendo natura di domanda riconvenzionale, in quanto non proposta con la comparsa di risposta sarebbe tardiva e quindi preclusa ai sensi dell’art. 167 c.p.c..

4. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 1442 cod. civ. per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto, in contraddizione con il disposto dell’ultimo comma di tale articolo – che prevede che l’eccezione di annullamento possa essere proposta dalla parte convenuta per l’esecuzione del contratto anche quando l’azione sia prescritta – irrilevante l’eccezione d’invalidità della separazione, non potendo detta invalidità essere dedotta come eccezione ma unicamente in via di azione in quanto l’annullamento della separazione consensuale richiede una pronuncia costitutiva.

Si formula al riguardo il seguente quesito: “Dica la Corte se sia proponibile ed efficace l’eccezione di annullabilità del negozio e, quindi, anche della separazione personale per vizio del consenso”.

Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., essendo il quesito del tutto generico e astratto, privo di collegamento con la fattispecie concreta (Cass. sez. un. 8 maggio 2008, n. 11210;

Cass. 30 settembre 2008, n. 24339; 17 luglio 2008, n. 19769) e di ogni riferimento alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che riferisce specificamente all’annullabilità per vizio del consenso della separazione consensuale omologata l’impossibilità che essa sia fatta valere in via di eccezione nel giudizio di divorzio, mentre l’art. 1442 cod. civ., menzionato nel motivo quale norma violata, riguarda il diverso tema dell’opponibilità dell’eccezione di annullabilità del contratto senza limiti temporali da parte di chi sia convenuto per la sua esecuzione.

5. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell’art. 151 cod. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente rigettato il gravame relativo alla domanda di mutamento del titolo della separazione e di pronuncia di addebito, poichè invece la Corte, una volta annullata la separazione per vizio del consenso, avrebbe dovuto pronunciare la separazione con addebito, sussistendone le condizioni.

Si formula in proposito il seguente quesito: “Dica la Corte se, pronunciato l’annullamento di una separazione consensuale per vizio del consenso e accertati i veri ed effettivi motivi che hanno determinato l’intollerabilità della prosecuzione della vita coniugale il giudice, accogliendo la relativa istanza, possa mutare il titolo della separazione e, ove ricorrano i presupposti di legge, pronunciarsi sull’addebito”.

Il motivo è inammissibile poichè, per come formulato, pone un quesito del tutto ipotetico, il cui presupposto – costituito dal previo annullamento della separazione consensuale – è reso non realizzabile a seguito del mancato accoglimento dei precedenti motivi.

6. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella misura di euro tremiladuecento, di cui Euro duecento per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità delle parti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 17 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011

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