Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6343 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. I, 08/03/2021, (ud. 05/02/2021, dep. 08/03/2021), n.6343

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4735/2019 proposto da:

D.C., rappresentato e difeso dall’avv. Andrea Diroma;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata il

24/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/02/2021 da Dott. CAPRIOLI MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

Con Decreto nr. 3299 depositato in data 24.12.2018, ha rigettato la domanda di D.C.,cittadino del (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria. E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo stato il suo racconto ritenuto credibile (il ricorrente aveva fornito un racconto generico senza indicare precisi riferimenti identitari dei soggetti coinvolti e di riferimenti temporali).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l’insussistenza del pericolo per il ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

D.C. ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo si censura la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si afferma che la Commissione territoriale non avrebbe provveduto a depositare tutta la documentazione sulla situazione socio politica economica del Paese di provenienza svolta innanzi alla stessa.

Si rileva che il Tribunale,pur richiesto con il ricorso introduttivo non avrebbe dato corso all’istanza di esibizione di tale documentazione ritenuta di massima importanza, con conseguente compromissione del suo diritto di difesa.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si ribadisce che il Tribunale di Trieste,pur richiesto di acquisire le informazioni sul Paese d’origine del ricorrente non vi ha dato corso malgrado l’obbligatorietà prevista dal richiamato del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis comma 9.

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Si censura la valutazione espressa dal Tribunale in merito alle dichiarazione del ricorrente affermando che sarebbe stata espressa dal primo Giudice un giudizio personale soggettivo ed arbitrario non fondato su elementi oggettivi e senza in alcun modo adoperarsi per la verifica dei fatti narrati.

Con il quarto motivo (erroneamente indicato in ricorso con il numero 5) si deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, censurando la decisione nella parte in cui ha ritenuto non rilevante il percorso scolastico e lavorativo seguito dal richiedente nonchè nella parte in cui ha omesso di chiedere informazioni relative al sistema sanitario senegalese ed al contesto sociale,politico ed ambientale presente in quel Paese. I primi due motivi,che vanno esaminati congiuntamente per l’intima connessione,involgendo la medesima tematica,sono inammissibili.

In proposito, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione sia prospettate – come nel caso di specie questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

Non vi è dubbio che il ricorrente non abbia adempiuto a tale onere di allegazione, non avendo neppure dedotto di aver sottoposto tale censura all’esame del giudice di merito.

Il terzo motivo è parimenti inammissibile.

La valutazione in ordine alla credibilità della vicenda personale allegata dal cittadino straniero a sostegno della domanda di riconoscimento della protezione internazionale costituisce un apprezzamento di fatto, rimesso al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, ovvero ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nel caso in cui la motivazione manchi del tutto sotto l’aspetto materiale e grafico, oppure formalmente esista come parte del documento, ma risulti meramente apparente, perplessa, o costituita da argomentazioni talmente inconciliabili da non permettere di riconoscerla come giustificazione del decisum, e tale vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza (Cass., 7 agosto 2019, n. 21142; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340). ciò che non si verifica nel caso di specie, in cui il percorso argomentativo della pronuncia del giudice del gravame è chiaramente e sufficientemente esposto in maniera idonea a supportare il decisum sottolineando la genericità delle vicende narrate prive di riferimenti temporali e di precisa indicazione dei soggetti coinvolti.

Il ricorrente, nel caso in esame, non ha prospettato tali vizi e ha ribadito la credibilità delle proprie dichiarazioni, che è stata esclusa dal Tribunale che ha specificamente evidenziato le ragioni per le quali ha ritenuto non attendibile il racconto, alla pag. 4 della sentenza impugnata.

Da ultimo per quel che riguarda la protezione umanitaria il motivo è anch’esso inammissibile.

La proposta critica assertivamente riporta una astratta elencazione delle prerogative discendenti dal riconoscimento della protezione umanitaria senza però soffermarsi a dare indicazione degli elementi concreti che, relativi alla vicenda personale, siano espressivi sia di una individuale condizione di vulnerabilità che di una raggiunta integrazione nel Paese ospitante, estremi congiuntamente valutabili nella stima comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine nel raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, richiesta ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Con riguardo poi ai poteri istruttori officiosi invocati dal ricorrente, è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei perchè da essi possa desumersi che il suo rimpatrio possa determinare la suindicata privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza” (Cass. 17169/2019, 8908/2019, 27336/2018, 4455/2018), mentre dalla sentenza impugnata non risulta che il ricorrente abbia assolto questo specifico onere, limitandosi ad addurre in concreto – al di là delle generali affermazioni di principio e degli specifici timori individuali, rimasti però travolti dalla valutazione di inattendibilità formulata sia nella fase amministrativa che in sede giudiziale – una generica compressione dei diritti fondamentali ed inviolabili della persona esistenti nel proprio paese d’origine.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna determinazione in punto spese della presente fase in assenza della costituzione della parte intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

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