Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6340 del 21/03/2011

Cassazione civile sez. I, 21/03/2011, (ud. 31/01/2011, dep. 21/03/2011), n.6340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LAZIO 20/C, presso lo STUDIO LEGALE COGGIATTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati PAPA VANESSA, RICCI TOMMASO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositato il

22/12/2006, n. 545/06 R.G.V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in Cancelleria il 22/12/2006, la corte d’appello di Milano ha respinto la domanda di P.V., intesa ad ottenere l’indennizzo per il danno non patrimoniale sofferto dal ricorrente per la durata del giudizio dallo stesso promosso con citazione notificata al convenuto il 20/6/1997 e definito con sentenza di rigetto n. 573 del 2005, sul rilievo che le difese delle parti, di concerto, avevano ripetutamente chiesto rinvii per il tentativo di conciliazione, giudiziale o stragiudiziale, rendendo peraltro vano l’incombente con la mancata comparizione delle stesse parti, nè vi era stata opposizione del P. alle richieste di rinvio avanzate dall’altra parte; secondo la corte territoriale, tale comportamento ben sorreggeva il convincimento che alla parte interessasse ben poco ottenere una sollecita definizione, sì che, in tale andamento processuale, venivano a perdere rilievo i rinvii dettati da vuoto di organico, come tali in tesi non addebitabili alla parte.

Ricorre per cassazione il P., sulla base di un unico motivo.

Il Ministero della Giustizia non si è difeso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con l’unico motivo del ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione, segnatamente la violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. dell’art. 6 par. 1 e dell’art. 13 della CEDU, per essere la corte territoriale pervenuta al rigetto della domanda, mentre, anche ispirandosi all’art. 1227 c.c., comma 1, avrebbe dovuto se mai scorporare i periodi di ritardo addebitabili alla parte e, conseguentemente, diminuire il quantum del risarcimento in relazione al grado di colpa nel concorrere alla causazione del danno; per non avere considerato che il Giudice avrebbe dovuto esercitare i suoi poteri istituzionali per dare maggiore impulso al processo; che in ogni caso, anche a volere scomputare il periodo di tre anni di durata ragionevole del giudizio, nonchè il periodo di due anni e trentasette giorni effettivamente imputabile alle parti, residua incontestabilmente il periodo di tre anni e dodici giorni da imputare ai ritardi dell’Amministrazione, e come tale, integralmente risarcibile.

2.1.- Il motivo è fondato, per le ragioni di seguito esposte.

La corte territoriale ha attribuito l’intero periodo di durata irragionevole del giudizio, eccedente la durata ragionevole di tre anni, alle parti, avuto riguardo alle richieste di rinvio, congiunte o di una parte con la non opposizione dell’altra, senza riconoscere alcun ruolo all’uso dei poteri di direzione del giudizio, spettanti come tali al Giudice, nè ha valutato la durata degli stessi, se e in che misura addebitabile all’Ufficio Giudiziario, pervenendo infine a negare ogni valenza ai rinvii dovuti a difficoltà intrinseche dell’Ufficio, valutati nel contesto dei rinvii attribuiti esclusivamente alle parti.

La corte territoriale ha in tal modo violato la L. n. 89 del 2001, art. 2, atteso che, come ritenuto da ultimo dalla sentenza di questa corte n. 1715 del 2008, a fronte di una cospicua serie di differimenti chiesti dalla parte, o non opposti, e disposti dal giudice istruttore, si deve distinguere, come impone la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato per la loro evidente irragionevolezza e pertanto, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria di parte, idonea ad impedire l’esercizio dei poteri di direzione del processo, propri del giudice istruttore, è necessario individuare la durata irragionevole comunque ascrivibile allo State, ferma restando la possibilità che la frequenza ed ingiustificatezza delle istanze di differimento incidano sulla valutazione del patema indotto dalla durata e conseguentemente sulla misura dell’indennizzo da riconoscere.

Alla stregua di tale principio va valutato il caso di specie e, esclusa la ricorrenza dell’ipotesi della strategia dilatoria della parte che la corte territoriale non ha posto a fondamento della decisione pur avendone fatto accenno, rilevato che il ricorrente non ha sostanzialmente contestato l’attribuibilità alle parti del complessivo periodo di due anni e trentasette giorni, deve concludersi per l’erroneità della ritenuta attribuzione alla parte anche dei ritardi dovuti esclusivamente a difficoltà proprie dell’Ufficio.

Da ciò consegue che nel caso può procedersi alla decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Va fatta applicazione dei principi più volte affermati da questa corte, come espressi, tra le altre, nelle pronunce 17922/2010(nella forma dell’ordinanza), 819/2010 e 21840/2009, che in merito si è così espressa: “i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea, che ha fissato un parametro tendenziale di Euro 1.000,00/1.500,00 per anno, non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, apprezzata in comparazione con la situazione economico- patrimoniale della parte, che questa ha l’onere di allegare e dedurre; il “numero dei tribunale che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento”…) purchè motivate e non irragionevoli “(tra le molte … Cass. n. 6039 del 2009; n. 6898 del 2008); in virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), stante l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce della quantificazioni operate dal giudice nazionale nel caso di lesioni di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno”.

3.- Conclusivamente, il decreto impugnato, in accoglimento del ricorso nei limiti sopra esposti, deve essere cassato e, decidendosi nel merito ex art. 384 c.p.c., tenuto conto degli elementi sopra esposti, va condannato il Ministero a versare a P.V. la somma di Euro 2300,00, oltre interessi dalla domanda; atteso l’esito della lite, si reputa di seguire il criterio della soccombenza piena per il grado di merito, ponendo a carico dell’Amministrazione le spese di lite, negli importi liquidati in dispositivo, e di temperare il detto criterio per il giudizio di legittimità, compensando le spese per la metà,e ponendo la restante frazione, come liquidata in dispositivo, a carico dell’Amministrazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 2300,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio di merito, che determina nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 311,00 per diritti, ed Euro 450,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge;

compensa in misura della metà le spese del giudizio di legittimità, gravando l’Amministrazione del residuo, che determina per la frazione in Euro 300,00, oltre Euro 40,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2011

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