Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6337 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. I, 08/03/2021, (ud. 08/01/2021, dep. 08/03/2021), n.6337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17317/2019 proposto da:

A.K., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Andrea Petracci, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 02/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/01/2021 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Ancona del 2 maggio 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che ad A.K. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la nullità della sentenza per motivazione erronea ed apparente sulla credibilità del richiedente la protezione internazionale, travisamento dei fatti e delle prove, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e comma 5, lett. a), b) e c), art. 19, comma 2 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 2, nonchè omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione.

La censura investe il decreto impugnato nella parte in cui ha ritenuto inattendibili le dichiarazioni del richiedente, in quanto non circostanziate, incoerenti e contraddittorie, oltre che non congruenti, con le informazioni acquisite in merito al paese di origine.

Il motivo è infondato.

Quanto ritenuto dal giudice del merito a proposito della genericità della narrazione del richiedente è da solo idoneo a sorreggere il giudizio circa la non veridicità della vicenda esposta. Il Tribunale ha infatti rilevato che l’odierno istante non era stato in grado di circostanziare il proprio racconto avendo riguardo ai nomi delle persone coinvolte, al tempo e al luogo degli accadimenti descritti e che, inoltre, lo stesso ricorrente, a fronte di richieste di precisazioni formulate anche in udienza, non aveva saputo fornire ragguagli specifici circa la propria storia. Ciò detto, occorre considerare che in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati: la valutazione di non credibilità del racconto costituisce certamente un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503).

D’altro canto, con riguardo al timore espresso dal ricorrente, riferito alla minaccia proveniente dagli adepti di una setta dedita ai sacrifici umani, il Tribunale ha pure spiegato essere indimostrato che il ricorrente non fosse stato in condizioni di richiedere la protezione del suo paese oppure che, avendola richiesta, gli fosse stata negata; ha precisato, al riguardo – corredando il rilievo della menzione, nel testo del provvedimento, di una specifica fonte informativa – che il rischio di affiliazione di un membro delle forze di polizia alla confraternita non pregiudica l’intervento, giacchè quest’ultimo è pur sempre oggetto di una decisione collegiale. In tal senso, dunque, il Tribunale ha motivatamente escluso che la vicenda, ove pure fosse da ritenere veridica D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, potesse giustificare il riconoscimento dello status di rifugiato o la concessione della protezione sussidiaria: come è noto, infatti, nel caso in cui i responsabili della persecuzione del danno grave non siano lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo stato una parte consistente del suo territorio, l’azione di soggetti non statuali assume rilievo solo se i responsabili sopra indicati “non possono o non vogliono fornire protezione” (D.Lgs. n. 251 cit., art. 5, lett. c)).

2. – Col secondo motivo viene lamentata la nullità della sentenza per motivazione errata, apparente e contraddittoria sulla situazione del paese di provenienza del ricorrente, nonchè la violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 6, comma 3.

Il ricorrente si duole del giudizio espresso dal Tribunale con riguardo alla ritenuta insussistenza della diffusione, nella regione di provenienza del ricorrente, di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, prospettando che i più recenti e aggiornati report evidenzierebbero una situazione sicuramente più critica rispetto a quella rappresentata dalle fonti informative consultate dal giudice del merito.

Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una censura vertente sull’accertamento riservato al giudice del merito.

L’accertamento circa la situazione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, per “motivazione apparente”, per “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e per “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (secondo quanto precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). Nel caso in esame, poi, le argomentazioni spese dal Tribunale, basate su di una approfondita ricognizione della situazione generale della regione di provenienza del ricorrente, integrano una motivazione che non può dirsi in alcun modo viziata nei termini sopra indicati.

Nè può farsi questione di un mancato aggiornamento delle fonti attinte dal giudice del merito: infatti, ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito, non può procedersi alla mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, dovendo la censura contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, in modo da consentire alla S.C. l’effettiva verifica circa la violazione del dovere di collaborazione istruttoria (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26728).

3. – Col terzo motivo è opposta motivazione erronea e contraddittoria, nonchè violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5,6 e 14.

Il ricorrente censura il decreto impugnato avendo riguardo al fatto che il report annuale di Amnesty International 2017-2018 darebbe conto di situazioni trascurate dal Tribunale, come la pratica, in Nigeria, di arresti e detenzioni arbitrarie e la presenza, nel paese, di un conflitto armato imputabile all’azione del gruppo terroristico (OMISSIS).

Il motivo è inammissibile in quanto risulta essere in parte non conferente e in parte volto a confutare il giudizio di fatto espresso dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile.

Sotto il primo profilo, è da osservare che le prospettate azioni illegali che sarebbero state poste in essere dalle autorità nigeriane nulla hanno a che vedere con la vicenda del ricorrente, la quale non è stata reputata veritiera (per il dato, assorbente, della genericità del narrato) e tale da non integrare persecuzione o rischio dell’esposizione a un danno grave (per la rilevata insussistenza delle condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5).

Per quanto attiene alla presenza o meno, in Nigeria, di una situazione di violenza indiscriminata ex art. 14, lett. c), è da rilevare che il tema sfugge, come si è detto, al sindacato di legittimità; peraltro, la censura mostra di non cogliere appieno, sul punto, il decisum dell’impugnato decreto, il quale si è giustamente soffermato sulla situazione delle regioni meridionali del paese, da cui proviene l’istante: situazione che non è specificamente contestata attraverso la rappresentazione dell’esistenza, in tale area, di una vera e propria situazione di conflitto armato.

4. – Il quarto mezzo denuncia la violazione di legge e il vizio o l’assenza di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza dei requisiti per l’autorizzazione al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

Il motivo è inammissibile.

Il Tribunale ha rilevato che al ricorrente non era riferibile una condizione di soggettiva vulnerabilità e ha altresì escluso che lo stesso avesse intrapreso un percorso di integrazione sociale e lavorativo in Italia.

Si tratta di accertamenti di fatto, sorretti da idonea motivazione, e non censurabili in questa sede. D’altro canto, l’istante non precisa quale sia stata la specifica vulnerabilità prospettata in giudizio al fine del riconoscimento della indicata forma di protezione; e va ricordato, in proposito, che la proposizione del ricorso al tribunale nella materia della protezione internazionale dello straniero non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016).

5. – Il ricorso è dunque rigettato.

6. – Non vi sono spese su cui provvedere.

PQM

La Corte;

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

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