Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6336 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 25/02/2022, (ud. 01/12/2021, dep. 25/02/2022), n.6336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 13582-2016 proposto da:

C.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati D’ANIELLO AMINTA, BELSITO NICOLA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati TRIOLO

VINCENZO, CORETTI ANTONIETTA, STUMPO VINCENZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1303/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 16/11/2015 R.G.N. 161/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/12/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 16.11.2015, la Corte d’appello di Salerno ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di C.A. volta ad ottenere quanto dovutogli dall’INPS a titolo di indennità di disoccupazione agricola in esecuzione della sentenza del Pretore di Salerno n. 310 del 1997, passata in giudicato;

che avverso tale pronuncia C.A. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura; che l’INPS ha resistito con controricorso, successivamente illustrato con memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia falsa applicazione del divieto di bis in idem per avere la Corte di merito ritenuto che l’azione promossa con il presente procedimento coincidesse con quella proposta nel giudizio definito con la citata sentenza del Pretore di Salerno, laddove trattavasi di domanda volta alla mera quantificazione del dovuto;

che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 2943 e 2944 c.c. e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per avere la Corte territoriale ritenuto che dall’ultimo pagamento parziale effettuato dall’INPS fosse trascorso più di un decennio, con conseguente estinzione della pretesa per intervenuta prescrizione;

che la sentenza impugnata, dopo aver rilevato che la decisione passata in giudicato recava tutti gli elementi per la determinazione del credito (al punto che l’odierna parte ricorrente aveva su di essa potuto sviluppare i propri conteggi, “peraltro non univoci nel corso del giudizio, sino all’ultimo prodotto il 14.10.2015 in cui (…) riduce(va) il credito a suo dire spettante alla somma di Euro 1.006,31”: così la sentenza impugnata, pag. 4) e che, comunque, la pretesa risultava “insormontabilmente contrastata dalle eccezioni di controparte”, a cominciare da quella di “prescrizione decennale” (ibid.), ha ulteriormente rilevato che l’odierna parte ricorrente “solo del tutto tardivamente contesta specificamente quanto eccepito, con supporto documentale, dall’INPS in ordine all’avvenuto adempimento” (ibid., pag. 16);

che tale ultima affermazione, di per sé sola sufficiente a sorreggere il decisum di rigetto del gravame, non ha formato oggetto di specifica impugnazione in questa sede di legittimità;

che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui quando una decisione di merito si fondi su distinte ed autonome rationes decidendi, ognuna delle quali da sola sufficiente a sorreggerla, il ricorrente in sede di legittimità ha l’onere, a pena d’inammissibilità del ricorso, di impugnarle (fondatamente) tutte, non potendo altrimenti pervenirsi alla cassazione della sentenza per essere intervenuto il giudicato sulla ratio decidendi non censurata (così da ult. Cass. n. 13880 del 2020);

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 1 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

 

 

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