Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6333 del 16/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/03/2010, (ud. 23/12/2009, dep. 16/03/2010), n.6333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15118/2006 proposto da:

D.M.A., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SALARIA N. 227, presso lo studio dell’avvocato JASONNA STEFANIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROMANO GIOVANNI, giusta mandato

in calce al ricorso e da ultimo domiciliato d’ufficio presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUYPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 582/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 04/05/2005 r.g.n. 4/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/12/2009 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato IASONNA STEFANIA per delega ROMANO GIOVANNI;

udito l’Avvocato CRISTINA GERARDIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

D.M.A. chiede la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino, pubblicata il 4 maggio 2005, che ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale aveva respinto il suo ricorso nei confronti del Ministero della Giustizia.

Il D.M. partecipò ad un concorso per 23 posti di dirigente dell’amministrazione giudiziaria indetto il 13 giugno 1997, classificandosi al 124^ posto.

L’amministrazione assegnò i 23 posti ai vincitori di concorso e successivamente assunse altri 59 soggetti collocati nella graduatoria concorsuale.

Tale assunzione avvenne in applicazione della L. 19 gennaio 2001, n. 4, art. 24, comma 2 bis, recante: “Disposizioni urgenti per l’efficacia e l’efficienza dell’Amministrazione della giustizia”.

Il D.M. sosteneva di aver diritto all’assunzione, perchè il Ministero avrebbe dovuto applicare detta legge procedendo alla assunzione oltre che dei vincitori anche di 125 candidati risultati idonei.

Tanto il giudice di primo grado che la Corte d’Appello di Torino hanno respinto la sua domanda in tal senso.

Il D.M. ricorre per cassazione denunziando la violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma 1 bis su richiamato.

Il Ministero ha depositato controricorso, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Il ricorrente ha depositato una memoria.

La tesi del ricorrente è la seguente.

La norma in questione persegue la finalità di fare fronte alla scoperture di organico del Ministero ed a tal fine deroga all’ordinario procedimento di accesso alle qualifiche dirigenziali, disciplinato dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 28 (T.U. pubblico impiego). Essa comporta che il Ministero ha l’obbligo di coprire i posti vacanti attingendo dalle graduatorie dei concorsi già svolti, che debbono rimanere aperte per due anni. Tale obbligo vale non solo per la situazione dei posti vacanti al momento di entrata in vigore della legge, ma anche per le vacanze determinatesi nei due anni di validità delle graduatorie.

La tesi condivisa dalla Corte d’Appello è invece che dopo l’individuazione dei posti vacanti e la loro copertura in aggiunta ai 23 vincitori di concorso l’amministrazione non abbia più alcun dovere di procedere continuativamente a nuove individuazioni, non essendo ciò detto in alcun modo, ma qualora decida, nell’arco di 24 mesi di vigenza della graduatorie, di procedere alla copertura di ulteriori vacanze, non possa prescindere dall’applicazione dell’art. 24.

Il Ministero nel suo controricorso sostiene che le vacanze da prendere in considerazione sono quelle esistenti al momento della entrata in vigore della legge e il riferimento alle graduatorie ha il fine di individuare quelle ancora valide al momento di entrata in vigore della legge.

Nella memoria depositata ai sensi dell’art. 379 c.p.c., comma 4, il D.M. introduce un nuovo elemento a sostegno della sua pretesa, costituito dalla disposizione introdotta dal D.L. n. 248 del 2007, art. 14 bis, convertito nella L. 28 febbraio 2008, n. 31, che a suo parere comporterebbe l’accoglimento del suo ricorso.

Il ricorso non è fondato.

La norma base è costituita dal D.L. 24 novembre 2000, n. 341, art. 24, comma 1 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 19 gennaio 2001, n. 4. Il testo è il seguente: “L’amministrazione giudiziaria provvede alla copertura della metà dei posti vacanti nella carriera dirigenziale attingendo alle graduatorie di merito dei concorsi precedentemente banditi dalla medesima amministrazione, fermo restando il termine di validità previsto dagli articoli” (termine di validità originariamente previsto in diciotto mesi, poi elevato a ventiquattro mesi).

Il problema è di stabilire se tale norma imponga all’amministrazione di procedere alla copertura della metà dei posti vacanti o, disponga, più semplicemente che, qualora l’amministrazione decida di provvedervi, debba attingere alle graduatorie dei concorsi banditi nei due anni precedenti.

L’orientamento della Corte di Cassazione è nel senso della seconda soluzione interpretativa. Gli argomenti a sostegno di tale soluzione sono stati compiutamente esposti in Cass., Sez. Lav., 14 dicembre 2009, n. 26166, cui si rinvia.

In questa decisione si tiene conto anche di quanto disposto dal D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 14 bis, convertito nella L. 28 febbraio 2008, n. 31.

Tale norma dispone che i dirigenti risultati idonei nel concorso in questione siano inquadrati in via definitiva nel ruolo dirigenziale del Ministero della giustizia, qualora sussistano una serie di condizioni: 1) siano stati assunti in via provvisoria in esecuzione di ordinanze del giudice del lavoro; 2) alla data di entrata in vigore della legge di conversione abbiano sottoscritto i relativi contratti; 3) abbiano rinunciato ad ogni contenzioso giudiziario.

Nel caso in esame non ricorre nessuna di queste tre condizioni e pertanto sì è fuori dal perimetro del provvedimento legislativo.

Nè si può ipotizzare una questione di legittimità costituzionale legata alla diversità di trattamento poichè le condizioni richieste costituiscono ragione di differenziazione di trattamento (anche sul punto, comunque, v. ampie, Cass., 26166/2009, cit.).

Pertanto il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione al Ministero delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 3.000,00 per onorari di avvocato, oltre spese borsuali in Euro 10,00.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2010

 

 

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