Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6331 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. I, 08/03/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 08/03/2021), n.6331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8404/2019 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Roma, via degli Ottavi,

9, presso lo studio dell’avvocato Massimiliano Scaringella, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Fabio Loscerbo;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

01/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2020 dal Cons. Dott. Giuseppe De Marzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato in data 1 febbraio 2019, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso proposto da A.A., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che il ricorrente, nel reiterare una domanda già rigettata, non aveva addotto elementi nuovi, chiarendo che le ragioni della richiesta erano le stesse già prospettate e non indicando una diversa situazione del Paese d’origine; b) che anche i documenti nuovi – a tacer della mancata spiegazione sul perchè non fossero stati prodotti in precedenza – erano o privi di riferibilità alla situazione del ricorrente o palesemente falsi; c) che il ricorrente aveva manifestato di non conoscere la lingua italiana, producendo documentazione lavorativa antecedente alla conclusione del primo giudizio, talchè anche l’integrazione dello stesso nel tessuto nazionale era priva di supporto.

3. Avverso tale decreto nell’interesse del richiedente è stato proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Il Ministero intimato ha depositato mero atto di costituzione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, contestando il giudizio di non attendibilità delle dichiarazioni del ricorrente.

La doglianza è inammissibile, perchè completamente priva di correlazione con la motivazione del decreto impugnato, che, per quanto sopra osservato, ha criticato la pertinenza o l’autenticità dei documenti, non rilevando – ed è questo ulteriore punto dirimente – la presenza di motivi nuovi idonei a giustificare la reiterazione della richiesta di protezione internazionale.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17, contestando la conclusioni del Tribunale, per on avere valutato tutti gli elementi del caso concreto, senza limitarsi a considerare la ritenuta credibilità o non del dichiarante.

La doglianza è inammissibile, per l’assorbente ragione che reitera assertivamente e in termini di assoluta genericità le proprie richieste, senza confrontarsi in alcun modo con il percorso argomentativo della sentenza impugnata.

3. Con il terzo motivo si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, in relazione alla mancata indicazione della norma di legge alla stregua della quale la mancanza di credibilità impedisce il riconoscimento dello status di rifugiato.

La doglianza è inammissibile, sia perchè evoca una tipologia di vizio non prevista dal codice di procedura civile, sia perchè la mancata indicazione di una norma di legge nel testo di un provvedimento giurisdizionale non comporta alcun vizio motivazionale, ma può porre, ricorrendone i presupposti, un distinto – e con il terzo motivo non sollevato – problema di violazione o falsa applicazione di norme giuridiche.

4. Con il quarto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 21 del 2007, artt. 8 e 14, rilevando che, alla stregua delle dichiarazioni rese e delle “ultime notizie” riguardanti il Paese di provenienza, sarebbe stato dimostrato che il ricorrente ha subito un trattamento inumano e degradante e correrebbe, in caso di rientro, una grave pericolo per la propria vita.

La doglianza è inammissibile, in quanto, in termini assertivi e generici, aspira nella sostanza ad una diversa valutazione delle risultanze istruttorie.

Questa Corte ha, infatti, chiarito, in linea generale, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

5. Con il quinto motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativamente alla domanda di protezione umanitaria.

6. Con il sesto motivo di lamenta violazione o falsa applicazione di legge, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativamente alla domanda di protezione umanitaria, tenuto conto dell’attività lavorativa svolta.

7. I due motivi, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili.

Premesso che anche in questo caso vengono dedotti una non specificata violazione di legge e un motivo di ricorso che non trova corrispondenza nel codice di rito, si osserva che le doglianze si caratterizzano per la loro assoluta assertività e genericità di formulazione.

Ciò posto, occorre considerare che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018).

Al di là delle ipotesi di tale privazione, il diritto di cui si tratta non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione (v. Cass. n. 17072 del 2018).

8. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso non segue la condanna alle spese, dal momento che l’intimato Ministero non ha sostanzialmente svolto attività difensiva.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

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