Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 633 del 12/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 12/01/2017, (ud. 07/12/2016, dep.12/01/2017),  n. 633

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29073-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

GRANATO IMMOBILIARE S.R.L., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELL’ELETTRONICA 20, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PIERO

SIVIGLIA, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE SAMMARTINO

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3518/25/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

RIGIONALE DI PALERMO, emessa il 22/09/2014 e depositata il

17/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO MOCCI.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione sintetica ed osserva quanto segue.

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, che aveva respinto l’appello dello stesso ufficio contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Palermo, la quale, in accoglimento del ricorso della Granato Immobiliare s.r.l., aveva annullato un avviso di rettifica e liquidazione circa il prezzo di acquisto di un fondo, in contrada (OMISSIS).

Nella decisione impugnata, la CTR ha affermato che, ai fini della determinazione in rettifica del valore venale dei beni acquisiti con l’atto in questione, l’Ufficio aveva utilizzato in comparazione sette atti pubblici di acquisto risalenti al triennio anteriore, ma i cui immobili erano ricadenti in altre contrade e già dotati in buona parte di autorizzazioni ad edificare. Al contrario, gli immobili considerati si trovavano in zone impervie, lontane dal centro abitato, difficilmente accessibili e prive di opere di urbanizzazione: non appariva dunque adeguatamente motivata l’assimilazione con i sette atti pubblici considerati.

Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è articolato in due motivi.

Col primo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3 e art. 52 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Sostiene che l’Ufficio, non essendo in possesso di dati di riscontro tratti da alienazioni riguardanti le medesime aree trasferite, avrebbe preso a riferimento, del tutto legittimamente, aree edificabili con le stesse caratteristiche dal punto di vista urbanistico e con le medesime potenzialità edificatorie.

Col secondo, la ricorrente invoca omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio oggetto di contestazione fra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Invero, gli elementi di fatto da cui poteva trarsi il maggior valore delle aree in questione erano stati ignorati dalla sentenza impugnata, che non aveva replicato alle osservazioni dell’Ufficio.

L’intimata si è costituita con controricorso.

La prima doglianza non è fondata.

In tema di imposta di registro ed INVIM, anche a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 212 del 2000, art. 7 che ha esteso alla materia tributaria i principi di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 3 l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio astratto in base al quale è stato rilevato, con le specificazioni in concreto necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Sez. 6 – 5, n. 11560 del 06/06/2016).

Resta fermo però che la legittimità formale dell’atto è cosa diversa dalla sua fondatezza nel merito, dipendente dall’assolvimento da parte dell’Amministrazione creditrice dell’onere probatorio che su di essa grava in ordine alle circostanze che, poste a fondamento dell’avviso di rettifica, siano contestate dal contribuente (Sez. 5, n. 12162 del 09/06/2005).

La CTR ha appunto valutato le prove allegate dall’Ufficio attraverso la produzione di atti analoghi, per concludere – con un ragionamento astrattamente congruo e completo – che quelle prove non erano in concreto sufficienti a costituire un idoneo termine di paragone. In tal senso, la censura della ricorrente si traduce nella richiesta di un nuovo scrutinio degli allegati a suo tempo prodotti, e quindi in una valutazione di merito, non consentita al giudice di legittimità.

Anche la seconda censura è immeritevole di accoglimento, posto che il sindacato sulla motivazione in sede di legittimità deve ritenersi limitato a quei vizi che siano espressione di violazione di legge e quindi alla assenza totale e grafica della motivazione, ovvero alla mera apparenza della stessa, ovvero ancora alla sua intrinseca, irriducibile ed insanabile contraddittorietà, con esclusione di rilevanza del difetto di sufficienza e di ogni altro vizio della motivazione. Nel caso di specie, come detto, la motivazione, sia pur sinteticamente, copre anche il profilo considerato dalla ricorrente.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 5.000,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2017

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