Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6329 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/03/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28951-2018 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VILLA

MASSIMO 36, presso lo studio dell’Avvocato DELLA BELLA RENATO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’Avvocato ZANGHERI FRANCO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 874/7/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 22/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott.

DELL’ORFANO ANTONELLA.

Fatto

RILEVATO

Che:

B.E. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, indicata in epigrafe, che, in sede di rinvio da Cass. n. 7327/2017, aveva accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Forlì n. 164/2014, in accoglimento del ricorso proposto avverso avviso di accertamento IRPEF 2007-2008, emesso a seguito di questionario rivolto al contribuente, per reddito non dichiarato in relazione ad incrementi patrimoniali;

l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1.1. con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione di norme di diritto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, art. 2697 c.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, art. 115 c.p.c., comma 2., art. 53 Cost. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5) in quanto la CTR non avrebbe tenuto conto che il contribuente aveva fornito prova di aver utilizzato per gli investimenti patrimoniali (acquisto autovettura e disponibilità di una residenza principale) somme derivanti da redditi esenti o dalla disponibilità di somme non rilevanti ai fini reddituali, pur avendo dato atto che egli aveva dimostrato documentalmente le spese inerenti l’autovettura e senza considerare che della casa di abitazione egli aveva solo la nuda proprietà essendo gli oneri fiscali e le spese a carico del padre usufruttuario;

1.2. le censure vanno esaminate, in primo luogo, sulla scorta della consolidata giurisprudenza della Corte in base alla quale, considerato che in tema di accertamento sintetico, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, (nella formulazione applicabile ratione temporis), una volta che l’amministrazione abbia dimostrato, anche mediante un unico elemento certo, la divergenza tra il reddito risultante attraverso la determinazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest’ultimo è onerato della prova che l’imponibile così accertato è costituito, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti ovvero da finanziamenti di terzi (cfr. Cass. nn. 13602/2018, 1510/2017);

1.3. nel caso di specie, la CTR, dopo aver affermato, con riguardo alle spese per l’autovettura, che l’Ufficio aveva legittimamente proceduto all’accertamento “di fronte all’indice reddituale ed alla mancata prova di altri flussi finanziari”, ha poi evidenziato come il contribuente non avesse fornito la prova contraria, a suo carico, avente ad oggetto la provenienza non reddittuale dell’elemento accertato dal fisco come sintomatico di una maggiore capacità contributiva, relativo all’acquisto dell’autovettura con pagamento mediante mutuo, essendosi limitato a dimostrare “le spese legate all’autovettura”, ovvero inerenti il mantenimento della stessa;

1.4. con riguardo, invece, alla “disponibilità di una residenza principale”, è pacifico in causa che il contribuente abbia esclusivamente la nuda proprietà dell’immobile in questione, con costituzione di usufrutto a favore di un terzo, ma l’Ufficio, da quanto riportato dallo stesso contribuente nel ricorso, risulta aver preso in considerazione la disponibilità materiale dell’abitazione in questione non in termini di incremento patrimoniale, ma quale fonte delle spese di gestione da parte del contribuente che, sebbene formalmente solo nudo proprietario, ne traeva invece godimento diretto;

1.5. come recentemente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 20338/2019), anche mediante richiamo dell’art. 38 cit. e del D.M. Finanze 10 settembre 1992 relativo alla determinazione, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, degli indici e coefficenti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva, i beni e servizi indici della maggior capacità contributiva si considerano nella disponibilità della persona fisica che a qualsiasi titolo o anche di fatto utilizza o fa utilizzare i beni o riceve o fa ricevere i servizi ovvero sopporta in tutto o in parte i relativi costi;

1.6. il richiamo normativo al dato sostanziale (“anche di fatto”) ben legittimava, quindi, l’Ufficio a valutare l’utilizzo reale e dinamico dell’immobile, e la conseguente sopportazione dei relativi costi, da parte del contribuente, piuttosto che la formale e statica natura di nuda proprietà del diritto reale del quale egli era titolare sul bene, nè, peraltro, la pronuncia impugnata si pone in contrasto con il precedente di questa Corte (cfr. Cass. n. 930/2016) che, nel riaffermare la necessità di fare riferimento, per la determinazione in via sintetica del reddito, al solo acquisto della nuda proprietà di un immobile, prendeva in considerazione la relativa spesa per l’incremento patrimoniale in sè considerato, mentre nel caso di specie vengono in rilievo le spese di gestione del bene correlate all’effettivo godimento diretto che ne trae di fatto il ricorrente, benchè nudo proprietario;

1.7. con riguardo, poi, alle doglianze circa la mancata disapplicazione, da parte della CTR, del citato D.M. 10 settembre 1992 che quantifica il reddito in applicazione del “redditometro”, nel silenzio della sentenza impugnata, deve ritenersi trattarsi di questione che risulta proposta per la prima volta in sede di legittimità dal contribuente, con il presente ricorso, non avendo il ricorrente dato prova di averla mai proposta in precedenza;

1.8. va anche ribadito peraltro che il potere del giudice tributario di disapplicare i regolamenti e gli atti amministrativi illegittimi posti a fondamento della pretesa impositiva dell’erario può essere esercitato anche d’ufficio, a condizione, però, che detti atti siano rilevanti ai fini della decisione, e pertanto la disapplicazione non può essere effettuata allorchè prescinda completamente dai motivi di impugnazione dedotti in relazione all’atto impositivo (cfr. Cass. nn. 6724/2012, 15285/2008);

1.9. nel caso di specie, il ricorrente non ha in alcun modo dimostrato che l’annullamento dell’atto impugnato fu chiesto perchè emanato in applicazione di un regolamento invalido, avendo lo stesso ricorrente dedotto di aver impugnato l’atto impositivo per non avere l’Ufficio tenuto conto che egli disponeva dell’abitazione come nudo proprietario ed “utilizzava l’autovettura in misura minima”;

1.10. il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, u.c. (riproducente il D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, comma 4, salvo l’espressa estensione ai regolamenti) costruisce, tuttavia, la prevista disapplicazione come potere di sindacato incidentale di legittimità sugli atti generali e sui regolamenti presupposti dagli atti impugnati, “purchè rilevanti ai fini della decisione”, dovendo pertanto escludersi, come si è detto, che sussista in capo al Giudice tributario un generale potere di disapplicazione degli atti presupposti, assolutamente prescindente dai motivi di impugnazione dedotti in relazione all’atto presupponente;

2.1. con il secondo motivo di ricorso si lamenta “omesso esame di fatto contestato e decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5” laddove la CTR non aveva tenuto conto del riconoscimento di costi effettuato da parte dell’Ufficio nel corso del contraddittorio preliminare con proposta di accertamento con adesione, non accolta dal contribuente;

2.2. la doglianza è infondata atteso che, con rilievo assorbente rispetto ad ogni altra censura, in tema di accertamento con adesione, la formulazione da parte dell’Ufficio di una proposta avente un contenuto ridotto rispetto alla pretesa impositiva, non determina nè la rinuncia alla stessa, nè il disconoscimento della consistenza probatoria degli atti istruttori esperiti, sicchè, nell’ipotesi di mancata adesione da parte del contribuente, l’Amministrazione procede legittimamente a dar corso all’avviso già notificato, che non perde efficacia, incombendo un onere aggravato di motivazione nei soli casi in cui il contraddittorio sia stato attivato anteriormente all’invio dell’avviso, e semprechè il contribuente abbia fornito elementi di valutazione (cfr. Cass. n. 29529/2018);

3. sulla scorta di quanto sin qui osservato, il ricorso va integralmente respinto;

4. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sesta Sezione, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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