Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6328 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. I, 08/03/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 08/03/2021), n.6328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6660/2019 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avv. Mario Marcuz;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

16/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2020 dal Cons. Dott. Giuseppe De Marzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato in data 16 gennaio 2019, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso proposto da C.S., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che le dichiarazioni del richiedente non erano tali da comprovare la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda, dal momento che esse non erano circostanziate e presentavano contraddizioni insanabili e aporie che ne minavano la credibilità, quanto al prospettato pericolo di essere ucciso dai ribelli, perchè considerato un traditore; b) che, in definitiva, non era concreto il pericolo per il ricorrente, in caso di rientro nel Paese, di subire una delle forme di danno grave alla persona individuate dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b); c) che, alla stregua delle C.O.I. più aggiornate, non emergeva nel Paese d’origine una situazione di violenza generalizzata e indiscriminata derivante da un conflitto armato; d) che, infine, che il ricorrente, pur avendo svolto corsi di lingua italiana e attività di tirocinio retribuito, conservava in Senegal tutti i suoi riferimenti affettivi e familiari; d’altra parte, non erano individuabili rischi di privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della statuto della dignità personale.

3. Avverso tale decreto nell’interesse del richiedente è stato proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui vengono premesse alcune questioni di legittimità costituzionale. Il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Fermo restando che, in generale, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione diretto unicamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale di una norma non potendo essere configurato a riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte (Cass. n. 14666 del 2020), si osserva quanto segue.

Le sollevate questioni di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017 – a tacer della non individuazione, da parte dello stesso ricorrente, della concreta rilevanza delle stesse sull’epilogo decisorio – sono manifestamente infondate, al lume dei principi posti da questa Corte (Cass. n. 17717 del 2018 e successive conformi) ed ai quali si presta adesione, secondo cui: a) l’esigenza di un intervallo temporale perchè possa entrare a regime una complessa riforma processuale, quale quella in discorso, non esclude affatto che l’intervento di riforma sia caratterizzato dal requisito dell’urgenza; b) il procedimento camerale, da tempo sempre impiegato anche per la trattazione di controversie su diritti e status, è certamente idoneo a garantire l’adeguato dispiegarsi del contraddittorio con riguardo al riconoscimento della protezione internazionale, nè può riconoscersi rilievo, in senso contrario, all’eventualità della soppressione dell’udienza di comparizione, sia perchè essa è circoscritta a particolari frangenti nei quali la celebrazione dell’udienza si risolverebbe in un superfluo adempimento, tenuto conto dell’attività in precedenza svolta, sia perchè il contraddittorio è comunque pienamente garantito dal deposito di difese scritte (e ciò senza dire che, nel caso di specie, quest’ultima questione è pure irrilevante, visto che l’udienza si è tenuta e ha consentito il pieno dispiegarsi del contatto tra il giudice e la parte); c) il principio del doppio grado di giurisdizione è privo di copertura costituzionale, potendo il legislatore sopprimere l’impugnazione,in appello al fine di soddisfare specifiche esigenze, quale quella della celerità, esigenza decisiva per i fini del riconoscimento della protezione richiesta, tenuto, peraltro, conto che il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l’istante, l’elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione. A tanto va aggiunto che il dubbio secondo cui la previsione di cui al D.L. n. 13 del 2017, art. 1, istituirebbe giudici speciali, è manifestamente infondato, essendo state piuttosto istituite, presso i tribunali ordinari, sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, consentite dall’art. 102 Cost., comma 2.

2. Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, rilevando che le dichiarazioni del ricorrente devono essere valutate come coerenti e plausibili in quanto non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche concernenti il Paese di origine e, anzi, riscontrate dalla stampa e dai rapporti delle più importanti organizzazioni internazionali, con riferimento alla regione senegalese del Casamance, nella quale, sebbene l’attività dei ribelli si sia ridotta, a seguito dell’accordo raggiunto col governo, il pericolo non sarebbe cessato.

La doglianza è inammissibile, in quanto, pur denunciando una violazione di legge, si traduce nella assertiva e generica pretesa ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, senza peraltro neppure confrontarsi con il percorso logico – motivazionale della decisione impugnata.

Questa Corte ha chiarito, in linea generale, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476), che, nel caso di specie, ha concluso per la non credibilità del narrato.

3. Con il secondo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, rilevando: a) che le domande rivolte al ricorrente erano di assoluta genericità, talchè generiche erano state le risposte; b) che occorreva considerare la totale mancanza di istruzione del ricorrente, il suo complicato vissuto, la distanza temporale degli eventi; c) che le stesse fonti riportate dal decreto impugnato confermavano un quadro di violenza presente nella zona, da apprezzare alla luce del fatto che il ricorrente è un ribelle disertore.

La doglianza è inammissibile, per l’assorbente ragione che reitera assertivamente la propria ricostruzione dei fatti, incurante dei limiti al sindacato della Corte di Cassazione discendenti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (e non casualmente la rubrica evoca il non più esistente vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) e soprattutto minimizzando discrasie narrative che non possono essere imputate alla genericità delle domande e che escludono la stessa premessa fattuale delle richieste del ricorrente, ossia l’essere un ribelle disertore. Infine, del tutto generico il cenno alle tensioni esistenti che non riescono a superare la argomentata esclusione dell’esistenza di un conflitto armato.

4. Con il terzo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8, per non avere considerato che il rischio di persecuzione era stato prospettato, in quanto il ricorrente era stato vittima di minacce da parte di dei ribelli attivi nel Casamance.

Il motivo è destituito di qualunque fondamento, giacchè l’inverosimile (per le ragioni sopra ricordate) pericolo per la propria incolumità prospettato dal ricorrente non consente di individuare in radice alcun rischio di persecuzione.

5. Con il quarto motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), in relazione al diniego della protezione sussidiaria. La doglianza è inammissibile, poichè l’art. 14, lett. c) cit. fa riferimento a casi di minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, ossia a ò situazioni motivatamente escluse, alla luce delle C.O.I. citate nel decreto impugnato e solo assertivamente riproposte.

6. Con il quinto motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere omesso il Tribunale di considerare i profili di vulnerabilità del ricorrente e la sua integrazione in Italia.

La doglianza è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come interpretato da Cass., Sez. Un., n. 7155 del 2017, a mente della quale lo scrutinio ex art. 360-bis, n. 1 cit., da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”.

Invero, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018).

Al di là delle ipotesi di tale privazione, il diritto di cui si tratta non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione (v. Cass. n. 17072 del 2018).

Anche in questo caso, peraltro, viene ad emersione, nella sostanza, la denuncia di un vizio di apprezzamento delle risultanze istruttorie.

7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso non segue la condanna alle spese, dal momento che l’intimato Ministero non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

 

 

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