Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6326 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. II, 25/02/2022, (ud. 30/09/2021, dep. 25/02/2022), n.6326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17284/2017 proposto da:

R.G., rappresentato e difeso dall’avv. PASQUALE PIZZUTI;

– ricorrente –

contro

R.V., elettivamente domiciliata in ROMA, P.LE CLODIO 61,

presso lo studio dell’avvocato CATERINA MAFFEY, rappresentata e

difesa dall’avvocato GERARDINA PENNIMPEDE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 630/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 23/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con atto di citazione notificato il 18.10.2000 il sig. R.G. assegnatario per sub-ingresso al defunto padre RU.Gi., giusta decreto camerale del Tribunale di Salerno del 29.12.1995, di un podere di riforma fondiaria in proprietà dell’E.R.S.A.C. (Ente Regionale di Sviluppo Agricolo in Campania) convenne la sorella R.V. davanti al Tribunale di Salerno, sezione distaccata di Eboli, per sentirla condannare al rilascio delle porzioni di tale podere da costei occupate.

R.V. si oppose alla domanda e, in via riconvenzionale, chiese il rimborso di quanto dalla stessa versato all’E.R.S.A.C. dopo il decesso del padre, nonché delle spese che ella aveva sostenuto per opere di miglioramento e manutenzione dei terreni e dei fabbricati da lei occupati.

Il Tribunale, per quanto qui ancora interessa, accolse la domanda principale e rigettò la riconvenzionale.

La Corte d’appello di Salerno, adita da R.V., ha accolto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la di lei domanda riconvenzionale, condannando R.g. a versarle la somma di Euro 18.079,97, più interessi dal 27 gennaio 2012, per i titoli dedotti a fondamento di tale domanda.

I giudici di secondo grado – riconosciuta a R.V. la qualifica di possessore di buona fede del fondo da lei occupato – hanno ritenuto ammissibile la documentazione di spesa da costei prodotta in secondo grado ” avendo la parte provato di non averla potuta produrre in primo grado per causa ad essa non imputabile” (pag. 6, terzo capoverso della sentenza) e – sulla scorta di tale documentazione, oltre che della prova orale espletata in primo grado e della consulenza tecnica acquisita nel giudizio di appello – hanno ritenuto provata la domanda di rimborso proposta dalla stessa R.V., quantificandone l’importo come sopra precisato.

Per la cassazione della sentenza di appello R.g. ha presentato a questa Corte un ricorso articolato in tre motivi.

R.V., ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ha depositato controricorso.

La causa è stata decisa nella camera di consiglio del 30 settembre 2021.

Con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente, denuncia la violazione degli art. 2697 c.c., e artt. 115,194 e 345 c.p.c., e censura l’impugnata sentenza per aver ritenuto provato il credito di R.V. sulla scorta di documenti che costei aveva prodotto per la prima volta nel corso del giudizio di appello, direttamente in sede di operazioni di consulenza tecnica, in ragione di un impedimento che era stato “sollevato ben nove anni prima con comparsa del 3/1/01 per cui non è neppure immaginabile che un siffatto lasso di tempo potesse ancora giustificare una così stagnate inerzia” (pag. 10, secondo capoverso, del ricorso).

Con il secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente deduce la falsa applicazione degli artt. 1150 e 1152 c.c., censurando la statuizione di accoglimento della domanda di R.V. di rimborso delle spese manutentive da lei effettuate dopo l’apertura della successione di RU.Gi. (non viene invece censurata la statuizione di accoglimento della domanda della stessa R.V. di rimborso dei canoni dalla stessa versati all’E.R.S.A.C.). Nel motivo di ricorso si sostiene che la corte d’appello sarebbe incorsa nella violazione delle disposizioni sopra richiamate per aver riconosciuto il diritto di R.V. al rimborso per le spese manutentive sostenute sugli immobili da lei occupati, nonostante che ella non potesse considerarsi possessore, bensì mero detentore, dei medesimi.

Con il terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 4, R.g. denuncia la violazione degli artt. 345,112 c.p.c., e art. 2909 c.c., in cui la corte d’appello sarebbe incorsa condannandolo a rifondere alla sorella gli esborsi da questa asseritamente sostenuti in relazione al fondo da lei occupato senza che un’apposita domanda fosse stata formulata in tal senso da parte dell’appellante.

Il Collegio rileva che il terzo motivo di ricorso va esaminato con priorità, in quanto esso pone in discussione la stessa legittimità di una pronuncia di merito sulla riconvenzionale proposta da R.V. per ottenere il rimborso delle spese manutentive sostenute e dei canoni versati. Secondo il ricorrente tale domanda non sarebbe mai stata proposta, né in primo né in secondo grado (vedi pag. 12, ultimo capoverso, del ricorso: “all’uopo basti considerare che, con la spiegata riconvenzionale, veniva chiesto il solo riconoscimento del diritto di ritenzione mentre con l’appello la sola quantificazione di denegati diritti aventi origine dalla successione paterna”)

Il motivo non può trovare accoglimento. Nell’impugnata sentenza si legge che “la convenuta… aveva tempestivamente proposto domanda riconvenzionale per il rimborso di quanto dovutole a titolo di miglioramenti e manutenzione del caseggiato e per la restituzione di quanto pagato all’Ente Riforma in Campania dalla data di decesso del de cuius” (pag. 2, primo capoverso); il ricorrente, per contro, sostiene che in primo grado R.V. avrebbe chiesto solo il riconoscimento del diritto di ritenzione; l’assunto del ricorrente, tuttavia, non trova riscontro negli atti.

Nell’atto di costituzione e risposta di R.V. nel giudizio di primo grado, che questa Corte ha il potere di esaminare direttamente in ragione della natura processuale del vizio denunciato, si legge (a pag. 5, punto 4): ” la comparente spiega domanda riconvenzionale per aver corrisposto i ratei annuali all’Ente Riforma in Campania dalla data del decesso del de cuius RU.Gi. fino alla data odierna” e ancora (a pag. 6, righi 2 e segg.):”e’ evidente che la condanna specifica dell’attore R.g. dovrà comprendere anche… tutte le spese per la manutenzione del caseggiato colonico e ciò per paralizzare un indebito ed illegittimo arricchimento in danno della comparente”.

Correttamente, dunque, la corte territoriale ha ritenuto che la domanda di R.V. al rimborso dei ratei versati all’E.R.S.A.C. e delle spese sostenute per opere manutentive fosse stata proposta nel giudizio di primo grado.

Altrettanto correttamente la stessa corte ha ritenuto che detta domanda non fosse stata rinunciata in appello, giacché dalle conclusioni dell’atto di appello di R.V., trascritte a pag. 6 dello stesso ricorso, si rileva che costei, pur proponendo una domanda di accertamento del credito relativo alla sua quota ereditaria (giustamente giudicato inammissibile dalla corte salernitana), aveva tuttavia mantenuto anche l’originaria domanda di rimborso dei ratei versati all’E.R.S.A.C. e delle spese effettuate per la manutenzione del fondo da lei occupato. In tali conclusioni, infatti, R.V. espressamente chiedeva la quantificazione del credito risultante in suo favore – oltre che “dalla quota ereditaria derivante dall’ammontare delle quote di ammortamento versate dal de cuius e dell’aumento di valore del fondo” – anche “dal pagamento da parte della R.V. (dopo la morte del padre) delle residue annualità di prezzo del riscatto all’E.R.S.A.C.”, nonché “delle spese finalizzate al miglioramento dello stesso e dei fabbricati ivi entrostanti” (pag. 6 del ricorso, in fine).

Il terzo motivo di ricorso va quindi rigettato. Si può pertanto procedere all’esame dei primi due motivi.

Il primo motivo sviluppa due distinte doglianze:

a) l’avere la corte di merito utilizzato, tramite l’utilizzo fattone dal consulente tecnico di ufficio, documenti prodotti da R.V. non con l’atto di appello, bensì nel corso delle operazioni peritali, mediante consegna diretta al consulente ufficio.

b) l’avere la corte di merito ritenuto giustificata la produzione di documenti in appello in ragione di un impedimento a produrli nel giudizio di primo grado che, ad avviso del ricorrente, non era giustificabile; in proposito il ricorrente sottolinea come tale impedimento (I’ essere rimasti i documenti de quibus nella materiale disponibilità del consulente nominato nel corso del giudizio camerale, Dott. M.P.) era stato segnalato da R.V. già nella propria comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado del 3 gennaio 2001, cosicché la stessa ben avrebbe potuto e dovuto rimuovere tale impedimento prima della conclusione di tale giudizio.

Il motivo non può trovare accoglimento.

Quanto alla prima doglianza, essa è inammissibile per difetto di specificità. Con tale doglianza, infatti, il ricorrente in sostanza censura l’utilizzazione, a fini probatori, di documenti la cui produzione era, a suo dire, inammissibile. Il ricorrente avrebbe pertanto dovuto, per soddisfare l’onere di specificità della formulazione dei motivi di ricorso per cassazione, precisare quali documenti (aventi quali contenuti e quale incidenza nella formazione delle conclusioni peritali) sarebbero stati consegnati direttamente da R.V. al CTU nominato nel giudizio di appello. Il ricorso parla invece, del tutto genericamente, di “acquisite cartule” (pag. 7, rigo 5) e di “tutta una serie di documenti” (pag. 9, rigo 15); donde l’inammissibilità della censura per carenza, appunto, di specificità.

Quanto alla seconda doglianza, anch’essa va giudicata inammissibile, perché si risolve in una doglianza di merito avverso il giudizio di fatto operato dalla corte territoriale in ordine alla sussistenza, ed alla non imputabilità alla parte, dell’impedimento dedotto da R.V. per giustificare la mancata produzione dei documenti nel giudizio di primo grado.

Il secondo motivo di ricorso è fondato, con riferimento alla denunciata violazione dell’art. 1150 c.c. (il richiamo della rubrica del motivo all’articolo 1152 c.c. non è alcun modo sviluppato nel corpo della censura e, del resto, il ricorrente non avrebbe di che dolersi riguardo al disposto di quest’ultimo articolo, posto che la corte territoriale ha negato il diritto di ritenzione di R.V.).

Premesso che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, presupposto necessario per l’applicazione dell’art. 1150 c.c., è la qualità di possessore in capo alla persona che richiede l’indennità per i miglioramenti eseguiti sulla cosa, sicché non si applica nei confronti del mero detentore (cfr. Cass. 17245/2010, Cass. 13316/2015), il Collegio rileva che la corte d’appello ha riconosciuto a R.V. la qualifica di possessore di buona fede in ragione della “circostanza principale, fondamentale ed assorbente che ella, quale chiamata all’eredità paterna nel possesso dei beni ereditari, era, per presunzione di legge, in buona fede” (pag. 6, primo capoverso della sentenza). Tale affermazione postula che il fondo in questione rientrasse tra i beni ereditari relitti del defunto padre degli odierni litiganti, sig. RU.Gi.. E’ pacifico, tuttavia, che quest’ultimo non aveva riscattato il terreno quando era in vita, come fatto palese dalle circostanze, emergenti della stessa sentenza impugnata e non in discussione

fra le parti, che, per un verso, R.g. è subentrato al padre nell’assegnazione del terreno (con il citato decreto camerale del Tribunale di Salerno del 29 dicembre 1995) e, per altro verso, la stessa R.V. continuò, dopo la morte del padre, a pagare i ratei di riscatto (oggetto della domanda di rimborso da lei avanzata nei confronti del fratello).

La ratio decidendi su cui si fonda l’affermazione della corte territoriale che R.V. fosse possessore di buona fede poggia, quindi, su un presupposto (che il podere di riforma fondiaria di cui RU.Gi. era stato, in vita, assegnatario facesse parte dei beni ereditari, ossia rientrasse nell’asse ereditario da lui relitto) giuridicamente erroneo, perché contrastante con l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua “l’assegnatario di terreni della riforma fondiaria, essendo solo concessionario di un bene pubblico, non è possessore ma mero detentore del bene assegnato” (Cass. n. 7/1992).

Il motivo e quindi accolto l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di appello di Salerno in altra composizione perché, nel pronunciarsi sulla domanda di R.V. avente ad oggetto il rimborso delle spese da lei sostenute per la manutenzione ed il miglioramento del fondo de quo, ai sensi dell’art. 1150 c.c., si uniformi al principio di diritto che l’assegnatario di terreni della riforma fondiaria, essendo solo concessionario di un bene pubblico, non è possessore ma mero detentore del bene assegnato.

Il giudice di rinvio regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Salerno, in diversa composizione, che regolerà anche le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

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