Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6325 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. II, 25/02/2022, (ud. 30/09/2021, dep. 25/02/2022), n.6325

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1180-2017 proposto da:

V.A., M.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA G. ANTONELLI 45, presso lo studio dell’avvocato CHRISTIAN

MAZZONE, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

D.S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI, 12 SC.G, presso lo studio dell’avvocato MARCO MONTOZZI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIULIO SALVATORE PIRAS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6768/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/09/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

I sig.ri V.A. e M.G. hanno proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la revocazione e per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n. 6768/2015, depositata il 4 dicembre 2015, che ha rigettato l’appello da loro proposto nei confronti della signora D.S.D. avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Civitavecchia n. 332/2009. Quest’ultima sentenza aveva accertato il confine tra il fondo V.- M. e il fondo D.S., in agro di (OMISSIS), in conformità alle risultanze della consulenza tecnica espletata in primo grado; aveva respinto la domanda dei sigg. V. e M. di demolizione di un muretto edificato dalla D.S.; aveva, infine, accertato l’inesistenza di servitù gravanti sul fondo D.S. in favore del fondo V.- M..

La corte di appello ha disatteso tutte le richieste svolte dai sigg. V. e M. nel loro appello: non ha modificato l’accertamento dei confini operato dal primo giudice; ha respinto la loro domanda di accertamento dell’usucapione di una servitù di passaggio a favore del fondo V.- M. e a carico del fondo D.S., rigettando anche la loro domanda di demolizione di un muretto costruito dalla sig.ra D.S.; ha dichiarato inammissibile, perché proposta solo in secondo grado, la domanda degli appellanti di costituzione di una servitù coattiva, per interclusione del loro fondo.

La sig.ra D.S. ha depositato controricorso.

La causa è stata discussa nella camera di consiglio del 30 settembre 2021, per la quale solo i ricorrenti hanno depositato memoria.

Il primo motivo di ricorso chiede la revocazione dell’impugnata sentenza per errore di fatto ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4. Nel motivo si espone, in linea di fatto:

che i fondi dei cui confini si discute nel presente giudizio costituivano originariamente un’unica proprietà;

che detta unica proprietà era stata divisa con sentenza del Pretore di Civitavecchia del 1954, che recepiva una planimetria redatta dal geom. C. ai fini della formazione del progetto divisionale;

– che nella planimetria C. il confine tra i fondi “era rappresentato da una linea di confine retta unitaria da nord a sud e non spezzata in danno degli attori” (pag. 7, penultimo capoverso del ricorso);

– che le mappe catastali corrispondevano alla planimetria C.;

– che il CTU nominato nel presente giudizio aveva invece individuato il confine tra i fondi in una linea spezzata, attribuendo al fondo D.S. un’area che, sulla base della planimetria C. (e quindi della sentenza divisionale del 1954) faceva parte del fondo V.- M.;

– che a tale erronea conclusione il CTU sarebbe pervenuto sulla scorta del presupposto, del tutto congetturale, che la planimetria C. del 1954 fosse stata “probabilmente” redatta sulla carta, senza l’ausilio di misurazioni effettuate sul posto;

– che la linea di confine individuata dal CTU, discostandosi da quella segnata nella planimetria C., risultava difforme anche dalla linea di confine emergente dalle mappe catastali, le quali, come sopra precisato, erano conformi, secondo i ricorrenti, alla planimetria C..

Sulla scorta di tali premesse, i ricorrenti argomentano che la corte capitolina avrebbe recepito acriticamente le conclusioni del CTU, ritenendo di fondare la propria decisione sui dati catastali e così incorrendo nell’errore – qualificato nel motivo di ricorso come errore di fatto revocatorio – di ritenere che la linea indicata dal CTU fosse conforme a quella risultante delle mappe catastali.

Il motivo è inammissibile, perché “la revocazione si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata” (art. 398 c.p.c., comma 1). Ne’, va aggiunto, nella specie potrebbe applicarsi il meccanismo della transiatio iudicii, trasferendo l’impugnazione per revocazione davanti alla Corte di appello di Roma. Il principio per il quale “l’appello proposto davanti ad un giudice diverso, per territorio o grado, da quello indicato dall’art. 341 c.p.c. non determina l’inammissibilità dell’impugnazione, ma è idoneo ad instaurare un valido rapporto processuale, suscettibile di proseguire dinanzi al giudice competente attraverso il meccanismo della translatio iudicii (SSUU n. 18121/16), non può, infatti, estendersi all’impugnazione per revocazione impropriamente proposta alla Corte di cassazione, in considerazione della specificità del ruolo da quest’ultima rivestito all’interno dell’ordinamento giudiziario, quale – unico – giudice di mera legittimità (oltre che corte regolatrice del riparto di giurisdizione).

Passando all’esame dei due motivi dell’impugnazione per cassazione, si osserva che con secondo motivo di ricorso (primo del ricorso per cassazione), si chiede la cassazione dell’impugnata sentenza con riferimento alla statuizione concernente il regolamento di confine e si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 950 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3; i ricorrenti fondamentalmente ripropongono – sub specie di errore di diritto invece che di fatto – la medesima doglianza già esposta nel primo motivo, sostenendo che la corte territoriale, recependo acriticamente le conclusioni della CTU, avrebbe violato il disposto dell’art. 950 c.c., adottando una decisione che non trovava riscontro né nell’esame del titolo di proprietà (la sentenza divisionale del 1954), né nelle mappe catastali, conformi, a loro dire, alla planimetria allegata alla sentenza divisionale.

Il motivo è inammissibile perché, pur denunziando un vizio di violazione di legge, in effetti non individua alcuna regola di diritto esplicitamente o implicitamente applicata dalla corte territoriale in contrasto con il disposto dell’art. 950 c.c., ma si duole dell’accertamento di fatto del confine operato da tale corte sulla scorta della relazione peritale.

In particolare, per quanto concerne la doglianza relativa alla mancata valorizzazione del titolo di proprietà, l’attendibilità della planimetria recepita nella sentenza pretorile del 1954 e stata motivatamente esclusa dalla corte territoriale sul rilievo – non specificamente censurato in ricorso – che tale planimetria presentava “differenze sostanziali delle misure” (pag. 3 penultimo capoverso della sentenza).

Per quanto poi concerne la doglianza relativa alla mancata valorizzazione delle risultanze catastali, è sufficiente rilevare che i ricorrenti muovono dal presupposto che nella specie vi sarebbe corrispondenza “tra quanto risultante nel titolo di provenienza (sentenza pretorile) e le mappe catastali” (pag. 23, penultimo rigo, del ricorso); tale presupposto, tuttavia, non è conforme a quanto accertato in fatto nella sentenza impugnata, nella quale, al contrario, la corte di appello afferma di essersi riferita proprio alle mappe catastali e di aver fatto ciò proprio per l’inaffidabilità – accertata dal CTU – delle misure emergenti dal titolo, ossia dalla planimetria C. su cui si fondava la divisione giudiziale del 1954.

Il motivo si risolve dunque in una doglianza sul giudizio di fatto della corte territoriale, non veicolabile nel giudizio di legittimità sotto il profilo del vizio di violazione di legge.

Con il terzo motivo di ricorso (secondo del ricorso per cassazione), si chiede la cassazione dell’impugnata sentenza con riferimento alla statuizione concernente il rigetto della confessoria servitutis proposta dei signori V. e M. e si deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c. e artt. 2699 e 2700 c.c. – da cui, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza – nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 1061 e 1062 c.c., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. In particolare, i ricorrenti lamentano che la corte capitolina avrebbe omesso di considerare taluni atti pubblici – idonei, a loro dire, a dimostrare l’esistenza della servitù di passaggio gravante sul fondo dei S. a favore del fondo V.- M. – e che comunque essa avrebbe dovuto, in conformità all’art. 1062 c.c., rilevare l’intervenuta costituzione della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, o comunque per usucapione.

Il motivo è pur esso inammissibile, perché, là dove denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c. e artt. 2699 e 2700 c.c., si risolve nella rassegna di un elenco di documenti che indurrebbero, secondo i ricorrenti, ad accertamenti di fatto difformi da quelli a cui è pervenuta la corte territoriale. La censura sollecita dunque, in sostanza, un riesame delle risultanze documentali che non può trovare spazio nel giudizio davanti alla Corte di cassazione.

Quanto poi alla doglianza proposta dei ricorrenti in ordine alla mancata rilevazione, da parte della Corte d’appello, della intervenuta costituzione di una servitù per destinazione del padre di famiglia la relativa inammissibilità discende, in via del tutto preliminare, dalla considerazione che essa pretende di introdurre nel giudizio di legittimità una questione nuova, non trattata nella sentenza impugnata e che i ricorrenti non precisano se ed in quali termini sia stata introdotta in serie di merito.

Infine, le doglianze mosse nell’ultima parte del motivo in esame (pag. 26/27 del ricorso) all’apprezzamento delle risultanze testimoniali operato dalla corte d’appello per giungere al rigetto della domanda di acquisto della servitù per usucapione proposta V.- M. è inammissibile perché si risolve in una censura di merito non veicolabile nel giudizio di cassazione.

Il ricorso va quindi, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

Deve darsi atto che sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile tanto il ricorso per revocazione quanto il ricorso per cassazione e condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 4.500, oltre Euro 200 per esborsi e accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 30 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

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