Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6323 del 08/03/2021

Cassazione civile sez. I, 08/03/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 08/03/2021), n.6323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 423/2019 proposto da:

O.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avv. Carlo Benini;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma,

via dei Portoghesi, 12, presso la sede dell’Avvocatura Generale

dello Stato, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

21/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/09/2020 dal Cons. Dott. Giuseppe De Marzo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 21 novembre 2018, il Tribunale di Bologna ha rigettato il ricorso proposto da O.A., cittadino (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che le credibili dichiarazioni del richiedente non erano suscettibili di integrare il fondato timore di atti persecutori o di un danno grave, dal momento che egli stesso aveva riconosciuto di non avere subito alcuna minaccia o atto di intimidazione, per effetto del rifiuto di sposare la donna individuata dallo zio e che il successivo e distinto episodio di un’aggressione ad opera di terzi rapinatori, oltre a non accompagnarsi ad atti intimidatori, si era concluso, a seguito della denuncia presentata, con l’arresto di alcuni degli autori; b) che, in ogni caso, il ricorrente aveva indicato in termini ondivaghi le ragioni dei propri timori e che, in ogni caso, non aveva contribuito in alcun modo all’arresto di due degli aggressori dell’ultimo episodio ricordato, arresto avvenuto ad iniziativa del suo datore di lavoro; c) che la Costa d’Avorio non era interessata da conflitti armati e anzi si caratterizzava per una situazione in via di miglioramento; d) che il ricorrente, in quasi due anni di permanenza in Italia, non aveva raggiunto un significativo e continuativo inserimento sociale, lavorativo e affettivo; non aveva riferito di problemi di salute; aveva in Costa d’Avorio, il padre, le sorelle e i fratelli.

3. Avverso tale decreto nell’interesse del richiedente è stato proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Il Ministero ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5, rilevando che il Tribunale non aveva applicato, nel caso di specie, il principio dell’onere probatorio attenuato e non avere valutato la credibilità del ricorrente alla stregua dei parametri previsti dalle norme appena indicate.

La doglianza è inammissibile, per l’assoluta genericità di formulazione, che richiama i parametri normativi di valutazione della credibilità delle dichiarazioni, ma non si confronta in alcun modo con la portata della motivazione del decreto impugnato nè illustra sotto quali specifici profili il Tribunale avrebbe disatteso siffatti parametri.

2. Con il secondo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), alla luce del timore del ricorrente di essere ritrovato dagli aggressori non identificati o da quelli arrestati e possibili destinatari di provvedimenti di clemenza. Si aggiunge che del tutto generiche erano le informazioni acquisite sulla situazione della Costa d’Avorio.

Anche,in questo caso, la doglianza è inammissibile, giacchè: a) non si confronta in alcun modo con la puntuale valutazione espressa dal Tribunale a proposito dei timori rappresentati con riguardo agli autori del secondo episodio sopra ricordato (e ciò senza dire comunque dei limiti del sindacato motivazionale imposti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); b) non indica alcun dato valutativo trascurato dal Tribunale e non si confronta con con il puntuale apparato argomentativo del decreto impugnata, con riguardo alla situazione della Costa d’Avorio.

3. Con il terzo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, alla luce dell’integrazione raggiunta in Italia dal ricorrente e della situazione di privazione dei diritti fondamentali, della condizione di estrema povertà dei motivi di salute che sconsigliavano il rientro in patria del richiedente.

Anche tale doglianza è inammissibile.

Invero, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (cfr. Cass., Sez. Un., n. 29459 del 2019; Cass. n. 4455 del 2018).

Al di là delle ipotesi di tale privazione, il diritto di cui si tratta non può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione (v. Cass. n. 17072 del 2018).

Nella specie, le considerazioni del ricorrente, quanto alla situazione del Paese di origine, sono di assoluta genericità, al punto che evocano persino motivi di salute, che non risultano essere stati rappresentati in sede di merito.

4. In conseguenza il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannata alla rifusione delle spese sostenute dall’amministrazione resistente, da liquidare in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di controparte, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2021

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