Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6322 del 16/03/2010

Cassazione civile sez. III, 16/03/2010, (ud. 17/12/2009, dep. 16/03/2010), n.6322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M.E. e I.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA EMILIO DE MARCHI 22, presso lo

studio dell’avvocato MARTELLA VALERIO, rappresentati e difesi dagli

avvocati PALERMO CARLO, ANGELINI ANTONIO con delega in atti;

– ricorrenti –

contro

TECNOIMPIANTI DI PATERNOSTER GUIDO & C SNC (OMISSIS) e

P.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GIOVANNI SALVIUCCI 1, presso lo studio dell’avvocato GENTILE RUGGERO

MARIA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERRARI

GUIDO con delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 346/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

Seconda Sezione Civile, emessa il 19/07/2005; depositata il

05/09/2005; R.G.N. 329/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/12/2009 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato CARLO PALERMO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, per la inammissibilità e il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

IN FATTO

I coniugi I. convennero dinanzi al tribunale di Trento la s.n.c. Tecnoimpianti e P.C. per sentirli dichiarare responsabili del decesso del figlio V., caduto in un dirupo – a loro dire – dalla passerella sita nel cantiere della convenuta e sprovvista di qualsiasi protezione.

Il giudice di primo grado respinse la domanda.

L’impugnazione proposta dagli attori fu rigettata dalla corte di appello di Trento.

La sentenza è stata impugnata dai coniugi I. con ricorso per cassazione articolato in 3 motivi.

Resistono con controricorso la Tecnoimpianti e P. C..

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 195, 526 c.p.c., comma 1 bis, art. 218 c.p.p.); Errata e illegittima applicazione delle disposizioni processuali penali nella valutazione di audizioni testimoniali inammissibili – come prova e di esperimento giudiziale inutilizzabile.

Con il secondo motivo, si denuncia ancora violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 115, 116 e 191 c.p.c.; art. 2697 c.c.); errata e illegittima applicazione delle disposizioni processuali e sostanziali sulla valutazione delle prove e delle presunzioni semplici nonchè sulla omessa ammissione di ctu.

Con il terzo motivo, si denuncia, infine, un vizio di omessa, errata, contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

I motivi, che possono essere unitariamente considerati e trattati attesane la intrinseca connessione, non possono essere accolti.

Premessa la inammissibilità della censura di omessa motivazione “per non avere il giudice di appello motivato su uno dei motivi di gravame”, poichè il vizio così denunciato integra l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 (mentre il motivo lamenta la violazione del successivo n. 5), osserva il collegio che le critiche complessivamente mosse all’impugnata pronuncia si infrangono, nel loro complesso, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto, da un canto, di avvalersi delle risultanze dell’indagine penale sul piano meramente indiziario (operazione ermeneutica del tutto legittima, giusta consolidata giurisprudenza di questa corte regolatrice), dall’altro di ricostruire, con puntuale dovizia di argomentazioni – che si sottraggono a qualsiasi scrutinio di legittimità attesane la intrinseca logicità e l’assenza di qualsiasi error iuris in procedendo ovvero in indicando -, la dinamica dei fatti, valorizzando, in particolare, il contenuto di una dichiarazione testimoniale la cui valenza non può costituire oggetto di ulteriore analisi un questa sede. Tutti i motivi, nel loro complesso, pur lamentando formalmente una (peraltro generica) violazione di legge e un decisivo difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva, ovvero, ancora, a disporre accertamenti tecnici in presenza di un coacervo probatorio sufficientemente chiaro e definito. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità. Il ricorso è pertanto rigettato.

La disciplina delle spese – che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate – segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2010

 

 

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