Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6321 del 05/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 05/03/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 05/03/2020), n.6321

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29043-2018 proposto da:

C.G., CU.RI., C.R., C.M.,

CO.MA., G.M., A.A. nella qualità di

erede di C.S., elettivamente domiciliati, in ROMA, VIA

ENNIO QUIRINO VISCONTI 61, presso lo studio dell’avvocato VENETO

ARMANDO, rappresentati e difesi dall’avvocato RAIMONDI NUNZIO;

– ricorrenti –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DI

PIETRA 26, presso lo studio dell’avvocato RONDELLI LOREDANA,

rappresentato e difeso dall’avvocato BAGIANTI EMILIO;

– controricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS) DI PERUGIA, in persona dell’Amministratore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CENTOFANTI

SIRO;

– controricorrente –

contro

MI.PA., A.P., A.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 417/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 06/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI

MARCO.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza resa in data 6/6/2018, la Corte d’appello di Perugia ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, per quel che ancora rileva in questa sede, ha rigettato la domanda proposta da Cu.Ri., C.M., Co.Ma., G.M., C.G., C.R., A.A. e A.P., questi ultimi quali eredi di C.S., nei confronti di M.M. e del Condominio (OMISSIS) in Perugia, diretta alla condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni subiti dagli attori in conseguenza del decesso del proprio congiunto, C.N., avvenuto nel corso dell’esecuzione dei lavori di manutenzione del Condominio (OMISSIS) in Perugia e da quest’ultimo affidati in appalto alla Ditta Millucci Costruzioni, con la nomina di M.M. quale direttore dei lavori;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come nessuno dei due convenuti potesse ritenersi responsabile del decesso di C.N., non avendo il direttore dei lavori mai assunto alcun impegno (nè alcuna concreta iniziativa) ai fini del controllo delle attività di cantiere e della sicurezza dei lavori in esso organizzati, nè avendo, il condominio committente, mai esercitato alcuna forma di ingerenza nell’organizzazione e nello svolgimento dei lavori eseguiti dalla ditta appaltatrice, risultata pienamente idonea all’esecuzione delle lavorazioni affidatele, senza rilievo di alcun profilo di culpa in eligendo da parte del condominio committente;

che, avverso la sentenza d’appello, Curcio Rita, Maddalena Coniglio, Co.Ma., C.G., G.M., C.R., A.A., quale erede di C.S., censurano la sentenza impugnata sulla base di due motivi d’impugnazione;

che M.M. e il Condominio (OMISSIS) in Perugia resistono con controricorso;

che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., i ricorrenti e M.M. hanno presentato memoria;

considerato che, con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 2, lett c), del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 3 (sostituito dal D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 15 e dal D.Lgs. n. 101 del 2008, artt. 90 e 91) (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la responsabilità del direttore dei lavori per il decesso del loro congiunto, omettendo di valorizzare il significato delle disposizioni legislative richiamate dirette a imporre, al direttore dei lavori, numerosi obblighi di controllo, di accertamento e di intervento nella materia della sicurezza dell’attività lavorativa svolta in esecuzione del contratto di appalto;

che il motivo è inammissibile;

che, al riguardo, varrà preliminarmente rilevare come gli odierni ricorrenti abbiano del tutto trascurato di individuare i termini della motivazione sottoposta a impugnazione (in nessun modo evocata nell’articolazione della doglianza illustrata), omettendo altresì di assolvere con compiutezza agli oneri di puntuale e completa allegazione del ricorso imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6, avendo gli stessi ricorrenti enunciato le censure in iure con riferimento a risultanze istruttorie di cui non risultano ritualmente riprodotti gli estremi e i contenuti;

che, peraltro, osserva il Collegio come il giudice d’appello, nell’escludere la responsabilità del direttore dei lavori per il decesso del lavoratore per cui è causa (non avendo lo stesso mai assunto, nè dato corso, ad alcun impegno ai fini del controllo delle attività di cantiere e della sicurezza dei lavori in esso organizzati), si sia correttamente allineato al consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il direttore dei lavori esercita, per conto del committente, i medesimi poteri di controllo sull’attuazione dell’appalto che questi ritiene di non poter svolgere di persona, sicchè ha il dovere, attesa la connotazione tecnica della sua obbligazione, di vigilare affinchè l’opera sia eseguita in maniera conforme al progetto, al capitolato e alle regole della buona tecnica, senza che da tale attività derivi la sua corresponsabilità con l’appaltatore per i difetti dell’opera derivanti da vizi progettuali, salvo egli sia stato espressamente incaricato dal committente di svolgere anche l’attività, aggiuntiva rispetto a quella oggetto della sua normale prestazione, di verificare la fattibilità e l’esattezza tecnica del progetto (Sez. 2, Sentenza n. 18285 del 19/09/2016, Rv. 641077 – 01);

che, pertanto, ferma l’ordinaria responsabilità del direttore dei lavori al controllo, nell’interesse del committente, della sola esatta esecuzione delle obbligazioni assunte dall’appaltatore nei confronti del primo, del tutto correttamente il giudice a quo ha precisato come un’eventuale estensione delle responsabilità del direttore dei lavori in relazione agli infortuni sul lavoro verificatisi nel corso dell’esecuzione dell’opera appaltata (oltre l’attività limitata alla sorveglianza tecnica attinente l’esecuzione del progetto nell’interesse del committente), in tanto può essere configurata, in quanto al direttore dei lavori siano state espressamente attribuite ulteriori prerogative dirette a sovrintendere i lavori, con possibilità di impartire ordini alle maestranze, o quando, con i suoi comportamenti concludenti, si sia materialmente ingerito nell’esecuzione dei lavori (cfr. da ultimo, Cass. pen., Sez. 3, Sentenza n. 19646 del 08/01/2019, Rv. 275746 – 01);

che, nel caso di specie, il giudice d’appello ha espressamente attestato come nessuna dimostrazione fosse stata concretamente fornita, nè della ridetta estensione delle prerogative del direttore dei lavori, nè di alcuna ingerenza dello stesso nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, in tal modo pervenendo all’assoluzione dello stesso da ogni responsabilità risarcitoria nei confronti dei congiunti del lavoratore deceduto nel pieno rispetto dei principi di diritto più sopra richiamati;

che, con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 696 del 1994, art. 3, comma 8, dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 2049 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il giudice d’appello aver erroneamente escluso la responsabilità del condominio committente, in contrasto, da un lato, con il dato della comprovata ingerenza di detto condominio nell’organizzazione dei lavori eseguiti dalla ditta appaltatrice, e, dall’altro con il chiaro dettato delle norme richiamate nella parte in cui estendono al committente la responsabilità per i danni provocati dall’appaltatore;

che il motivo è inammissibile;

che, preliminarmente, varrà ribadire, anche con riguardo al motivo in esame, come i ricorrenti abbiano del tutto trascurato di individuare i termini della motivazione sottoposta a impugnazione, omettendo di dedicare alcuna notazione all’argomentazione decisiva enunciata dalla corte (circa la derivazione dell’infortunio da una non corretta formazione dei lavoratori, addebitabile all’impresa appaltatrice) e risolvendo la censura avanzata nella formulazione di enunciazioni meramente astratte rispetto ai contenuti della motivazione evocata;

che, peraltro, varrà altresì rilevare come la corte territoriale, nell’escludere la responsabilità del condominio committente per il decesso del lavoratore della ditta appaltatrice per non essere incorso in alcuna forma di culpa in eligendo, e per non aver mai esercitato alcuna forma di ingerenza nell’organizzazione e nello svolgimento dei lavori eseguiti dalla ditta appaltatrice, si sia correttamente allineata all’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, là dove sottolinea come, in tema di appalto, una responsabilità del committente nei riguardi dei terzi risulta configurabile esclusivamente quando si versi nell’ipotesi di culpa in eligendo, che ricorre qualora il compimento dell’opera o del servizio siano stati affidati ad un’impresa appaltatrice priva della capacità e dei mezzi tecnici indispensabili per eseguire la prestazione oggetto del contratto senza che si determinino situazioni di pericolo per i terzi, ovvero risulti provato che il fatto lesivo è stato commesso dall’appaltatore in esecuzione di un ordine impartitogli dal direttore dei lavori o da altro rappresentante del committente stesso, il quale, esorbitando dalla mera sorveglianza sull’opera oggetto del contratto, abbia in tal modo esercitato una concreta ingerenza sull’attività dell’appaltatore, al punto da ridurlo al ruolo di mero esecutore (v. Sez. L, Sentenza n. 11757 del 27/05/2011, Rv. 617454 – 01);

che, sotto altro profilo, varrà considerare come, attraverso la censura in esame (nella parte in cui contesta il dato di fatto della mancata ingerenza del condominio committente nell’ambito dell’esecuzione dei lavori eseguiti dalla ditta appaltatrice), i ricorrenti – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – alleghino un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica dei ricorrenti, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente gli stessi nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

che, nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dagli odierni ricorrenti deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;

che si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

che, ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

che, sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore di entrambi i controricorrenti, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate, in favore di M.M., in Euro 5.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge e, in favore del Condominio di (OMISSIS), in Euro 4.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020

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