Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6319 del 25/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2022, (ud. 08/02/2022, dep. 25/02/2022), n.6319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14189/2018 R.G. proposto da:

SOCIETA’ EMILIANA TRASPORTI AUTOFILOVIARI SPA (S.E.T.A.)

rappresentata e difesa dall’avvocato Leonardo Perrone e

dall’avvocato Giuseppe Marini, elettivamente domiciliata in Roma,

via Giuseppe Mercalli, n. 1, presso lo studio dell’avvocato Leonardo

Perrone.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. EMILIA-ROMAGNA n.

3025/13/17, depositata il 03/11/2017.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’08 febbraio

2022 D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8-bis,

convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, dal Consigliere

Riccardo Guida.

Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale Troncone Fulvio che

ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e la cassazione con

rinvio della sentenza impugnata.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’allora Azienda Trasporti Collettivi e Mobilità Spa (poi divenuta S.E.T.A. Spa), affidataria del servizio di trasporto pubblico locale nel bacino di Modena e provincia, in data 21/02/2012 presentò tre istanze di rimborso della maggiore Irap cautelativamente e indebitamente versata (Euro 354.406,25), per le annualità dal 2008 al 2010, assumendo di avere diritto alla riduzione della base imponibile dichiarata in applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, novellato art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4 (c.d. riduzione del cuneo fiscale). Al diniego di rimborso opposto dall’Amministrazione finanziaria, che riteneva che la società operasse in regime di concessione con sistema tariffario e che, dunque, non presentasse i requisiti richiesti per fruire del beneficio, seguì il contenzioso, promosso dalla contribuente, e la C.T.P. di Modena, con sentenza n. 653/2014, dopo avere riuniti i tre separati (e identici) ricorsi della società, li respinse.

2. La CTR dell’Emilia-Romagna, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato l’appello di S.E.T.A. Spa e ha confermato la decisione di primo grado, escludendo che la società avesse i requisiti per fruire del beneficio fiscale, in quanto essa svolgeva la propria attività in regime di concessione e a tariffa.

3. La contribuente ricorre per la cassazione della sentenza d’appello con quattro motivi, illustrati con una memoria. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso (“1. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione di legge. Violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 1, lett. a) nn. 2 e 4”), la società censura la sentenza impugnata che ha negato la sussistenza dei presupposti per l’agevolazione fiscale a causa di un’errata interpretazione del concetto di “tariffa”, senza considerare che ai fini della non applicazione del beneficio è necessario che la tariffa sia “remunerativa”, aspetto, questo, non ricorrente nel caso in esame visto che i ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti di trasporto (vale a dire la “tariffa” nel settore di trasporto pubblico locale) coprivano una percentuale minima dei costi di produzione (in misura del 26,73%, nel 2008, del 25,68%, nel 2009, e del 27,28%, nel 2010).

2. Con il secondo motivo (“2. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”), la società censura la sentenza impugnata che ha omesso di esaminare i fatti esposti dalla contribuente nel giudizio di merito attestanti la mancanza della “tariffa remunerativa”, e si è limitata ad affermare che, nella specie, si tratti di “tariffa” per il solo fatto che il corrispettivo ricevuto dalla società per il servizio reso non sarebbe stato oggetto di libera contrattazione, ma sarebbe stato “fissato” unilateralmente dall’Agenzia per la Mobilità e il Trasporto Pubblico Locale di Modena Spa (“Agenzia TPL”), controparte negoziale della contribuente.

3. Con il terzo motivo (“3. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione di Legge. Violazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, e del D.Lgs. n. 422 del 1997, artt. 18 e 19”), la società censura la sentenza impugnata che ha ravvisato la sussistenza di una concessione sulla base di un unico parametro, e cioè che la contribuente manteneva su di sé il rischio operativo legato alla gestione del servizio, ed ha omesso di rilevare l’assenza degli indici rivelatori di un rapporto concessorio e, al contrario, la sussistenza di elementi sintomatici di un rapporto privatistico. Infatti, (i) nessuna delle parti contrattuali è una Pubblica amministrazione in senso stretto; (ii) il vincolo negoziale ha natura bilaterale (S.E.T.A./Agenzia TPL) e non trilaterale (Pubblica amministrazione concedente – impresa concessionaria – utente finale); (iii) il corrispettivo per l’attività prestata dalla contribuente a favore dell’Agenzia TPL è predeterminato mediante contratto.

4. Con il quarto motivo (“4. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti”), la società censura la sentenza impugnata che ha omesso di esaminare i fatti esposti dalla contribuente nel giudizio di merito attestanti la mancanza del requisito della “concessione”, e si è limitata ad affermare che, nella specie, si debba parlare di “concessione” per il solo fatto che la società manterrebbe su di sé il rischio operativo legato alla gestione del servizio.

5. Il primo motivo è fondato.

5.1. La C.T.R. ha ritenuto legittimo il diniego opposto dall’Amministrazione finanziaria a S.E.T.A. del beneficio fiscale trattandosi di impresa operante in concessione e a tariffa, nel settore del trasporto pubblico locale, ed ha focalizzato la propria attenzione sulla natura concessoria del rapporto, senza dipanare la questione, altrettanto rilevante, circa la remuneratività o meno della tariffa applicata.

5.2. Il dictum della Commissione regionale non si confronta con la corretta interpretazione della nozione di tariffa, accolta dalla pubblica amministrazione e ribadita dalla Commissione Europea, con decisione 12/09/2007 C(2007) 4133, def., in tema di legittimità o meno della riduzione della base imponibile dell’Irap (c.d. cuneo fiscale), a favore di alcune imprese, con esclusione dal beneficio (per quanto adesso rileva) delle imprese operanti nei pubblici servizi. Come già affermato da questa Corte (Cass. 12/12/2019, n. 32633; in senso conforme, in motivazione, Cass. 11/08/2020, 16889; 14/10/2020, n. 22156; 22/10/2021, n. 29504; 15/09/2021, n. 24977) “L’Agenzia delle entrate (circ. 19/11/2007, n. 61/E: deduzioni dalla base imponibile Irap – riduzione del cuneo fiscale) ha chiarito che la misura agevolativa non si applica alle imprese che svolgono attività “regolamentata” (cc.dd. “public utilities”), ossia a tutti quei soggetti che svolgono la propria attività (sotto il profilo giuridico) in forza di una concessione traslativa (con la quale l’ente pubblico conferisce ad un soggetto privato diritti o potestà inerenti (a) un’attività economica in origine riservata alla pubblica amministrazione e che, tuttavia, questa non intenda esercitare direttamente), ricevendo (sotto il profilo economico) un corrispettivo costituito da una tariffa, ossia da un prezzo fissato o regolamentato dalla pubblica amministrazione in misura tale da assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione; la Commissione Europea (dec. 12/09/2007 C(2007) 4133, def.) ha riconosciuto la legittimità dell’esclusione del beneficio fiscale, nei confronti delle public utilities, prendendo atto che: (p. 33.) “le autorità italiane hanno giustificato l’esclusione sostenendo che essa ha lo scopo di evitare la potenziale sovracompensazione generata dalla misura in quanto l’attuale livello delle tariffe è stato determinato tenendo conto dell’onere Irap prima della riforma, ossia senza le deduzioni dalla base imponibile introdotte dalla misura. In effetti i pubblici servizi interessati sono soltanto quelli operanti in settori nei quali si tiene già interamente conto dell’onere fiscale nella determinazione della tariffa. (p. 34.) Inoltre, per quanto riguarda il futuro, le autorità italiane si sono impegnate a far sì che l’esclusione non determini né vantaggi né svantaggi per i pubblici servizi in quanto i costi fiscali continueranno a essere presi in considerazione. Per questi motivi l’esclusione dei pubblici servizi operanti in concessione e a tariffa non determinerà un vantaggio o uno svantaggio selettivo.”; per questa ragione, tenuto conto della neutralità dell’esclusione del beneficio fiscale rispetto ai servizi pubblici operanti in concessione e a tariffa, la Commissione Europea ha negato che la misura costituisse aiuto di Stato, incompatibile con il mercato comune, ai sensi del trattato CE, art. 87, p. 1.; a giudizio di questa Corte la necessità d’intendere il criterio normativo della “tariffa” come “tariffa remunerativa”, ossia capace di generare un profitto, è coerente con la ratio giustificatrice del c.d. cuneo fiscale: consentire, indiscriminatamente, a tutte le imprese operanti nel settore dei pubblici servizi di fruire delle deduzioni Irap darebbe luogo a un utile insperato, genererebbe cioè quella sovracompensazione (secondo la terminologia dell’Amministrazione finanziaria) capace di frustrare l’obiettivo perseguito dall’autorità di regolamentazione con la fissazione delle tariffe; per converso, escludere dal beneficio fiscale le imprese del settore che applicano una tariffa non remunerativa, causerebbe uno svantaggio selettivo, ossia un pregiudizio economico del tutto ingiustificato.”.

5.3. Il nesso imprescindibile tra l’esclusione del beneficio fiscale nei confronti delle imprese operanti nel settore del trasporto pubblico locale e la necessità che queste ultime applichino una “tariffa remuneratoria” (o “remunerativa”), trascurata dalla sentenza d’appello, è stato espressamente riconosciuto e puntualmente definito da Cass. n. 32633 del 2019, alla stregua del principio di diritto, al quale va data continuità, secondo cui “In tema di Irap, il vantaggio fiscale della riduzione della base imponibile dichiarata, in applicazione delle deduzioni introdotte dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 266 (cd. riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge finanziaria 2007), che ha modificato al D.Lgs. n. 446 del 1997, l’art. 11, comma 1, lett. a), nn. 2 e 4, non si applica alle imprese che svolgono attività regolamentata (cd. “public utilities”) in forza di una concessione traslativa e a tariffa remunerativa, ossia capace di generare un profitto, essendo tale interpretazione del concetto di tariffa coerente con la “ratio” giustificatrice del cd. cuneo fiscale. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione che aveva ritenuto legittima l’esclusione del contribuente dal beneficio trattandosi di impresa operante nel settore del trasporto pubblico locale a concessione e “a tariffa”, dovendo applicare un prezzo di biglietto non libero ma fissato dalla P.A.).”.

5.4. E’ assorbita l’istanza (subordinata) della ricorrente di sospensione del giudizio e di rimessione all’esame della Corte di giustizia della questione se, alla luce della decisione della Commissione Europea 12/09/2007 C(2007) 4133, def., l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate (risoluzione n. 358 del 24 settembre 2008), che esclude dal beneficio fiscale l’intero comparto del trasporto pubblico locale (ivi compresa la stessa ricorrente), determinando uno svantaggio selettivo, si ponga in contrasto con l’art. 107 T.F.U.E..

6. Il secondo e il quarto motivo, da esaminare insieme per connessione, sono inammissibili.

6.1. Per il costante orientamento di questa Corte, riaffermato anche di recente (Cass. 13/01/2017, n. 743; 14/12/2018, n. 32436; 14/12/2018, n. 32437): “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal citato D.L. n. 83, art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.” (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. Sez. U. 21/09/2018, n. 22430). Nella specie, posto che il giudizio d’appello è iniziato nel 2015, la doglianza è inammissibile poiché le decisioni dei gradi di merito, entrambe di rigetto (c.d. “doppia conforme”), si fondano sulle medesime ragioni di fatto e, del resto, la ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario.

7. Il terzo motivo è inammissibile.

7.1. La Corte ha chiarito (così, ex multis, prendendo come esempio un’analoga controversia riguardante l’agevolazione Irap per le imprese operanti nel settore del trasporto pubblico locale, Cass. 25/09/2019, n. 23861, in motivazione) che “La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui all’art. 1362 c.c. e ss., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa (Cass., sez. L, 15 novembre 2013, n. 25728; Cass., sez. 5, 3 maggio 2019, n. 11672 (…) Cass., sez. V, 30 gennaio 2018, n. 2245.”.

7.2. La ricorrente non si è attenuta a questi principi di diritto, ed ha omesso di calibrare la propria critica alla sentenza impugnata adducendo, nei termini specifici sopra enunciati, la violazione, da parte della Commissione regionale, dei canoni dell’ermeneutica contrattuale fissati dall’art. 1362 c.c. e ss., sicché la sua censura si esaurisce, in ultima analisi, nel tentativo – inammissibile nel giudizio di legittimità – di ottenere un nuovo apprezzamento di merito sulla base degli atti e dei fatti disponibili.

8. In conclusione, accolto il primo motivo, dichiarati inammissibili il secondo, il terzo e il quarto motivo, la sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio al giudice a quo, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara inammissibili il secondo, il terzo e il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2022

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