Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6319 del 05/03/2019

Cassazione civile sez. III, 05/03/2019, (ud. 19/12/2018, dep. 05/03/2019), n.6319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20930/2016 proposto da:

D.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO FETRETTI,

rappresentato e difeso dagli avvocati ALBERTO SAVATTERI, ALBERTO

RUBATTO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CREDIT SUISSE ITALY SPA, in persona del procuratore speciale Dott.

B.L.C.D., CREDIT SUISSE LIFE & PENSIONS

A.G., in persona del legale rappresentante pro tempore Dott.

S.M., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA NAZIONALE 204,

preso lo studio dell’avvocato BENEDETTA MUSCO CARBCNARO, che le

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA ZITIELLO giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 849/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 23/05/2016;

udita la relazione della,12ausa svolta nella pubblica udienza del

19/12/2118 dal Conigliere Dott. ANTONELLA DI FIORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ALBERTO RIBATTO;

udito l’Avvocato LUDOVICA D’OSTUNI per delega.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. D.R. ricorre, affidandosi ad undici motivi illustrati anche con memoria, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva respinto l’impugnazione proposta avverso la pronuncia del Tribunale con la quale era stata rigettata la domanda avanzata nei confronti della Credit Suisse Italy e della Credit Suisse Life & Pension A.G. per la dichiarazione di nullità del contratto di assicurazione sulla vita “Unit Linked – Life Portfolio Italy” da lui stipulato con la seconda società, nonchè, in via subordinata, sia per l’annullamento della polizza con restituzione del premio e degli accessori maturati, sia per l’accertamento della responsabilità precontrattuale e dell’inadempimento contrattuale di entrambe le società, con tutte le conseguenze risarcitorie da ciò derivanti.

2. Le parti intimate hanno resistito con controricorso e memorie.

3. Il Procuratore Generale ha concluso come in atti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1418,1882,1919 c.c. e segg., del D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 1, 2, 11,23,27,165,167 e 179, e del D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 1, comma 1, lett. w bis.

Assume che il contratto era denominato “Contratto di Assicurazione sulla Vita Unit Linked – Life Portfolio Italy” e, pur essendo ricollegato al valore di quote di organismi di investimento collettivo di risparmio, era ricompreso fra le polizze assicurative ramo vita previste nella classificazione disciplinata dal D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 2, punto III (da ora CdA).

1.1.Deduce che, ciò nonostante, nella polizza mancava la concreta previsione del “rischio demografico”, caratterizzante la tipologia del contratto stipulato ed attinente alla durata della vita umana.

Lamenta, al riguardo, che:

a. la Corte territoriale aveva erroneamente interpretato le norme che disciplinavano la fattispecie, negando che da esse dovesse evincersi un obbligo dell’assicuratore di corrispondere somme di entità dipendente sia dal rischio che dall’ammontare del premio versato;

b. una corretta interpretazione della disciplina del CdA (alla quale il contratto doveva essere ricondotto) avrebbe dovuto indurre i giudici di merito ad affermare che, nel caso di specie, l’assoluta irrilevanza della prestazione che veniva garantita per tale rischio – tanto esigua da dover essere considerata irrisoria a fronte della sua essenzialità e tenuto conto che, oltretutto, il relativo costo era sostanzialmente a carico dello stesso assicurato – determinava la nullità della polizza.

2. Con il secondo motivo, inoltre, il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, e art. 345 c.p.c.. Assume che la Corte territoriale aveva erroneamente ritenuto che la questione relativa all’accollo del costo del rischio demografico sullo stesso contraente fosse stata sollevata per la prima volta in grado appello e fosse quindi inammissibile, mentre la specifica allegazione era chiaramente contenuta nella prospettazione dell’atto di citazione ed era, pertanto, tempestiva.

3. Il primi due motivi devono essere congiuntamente esaminati per intrinseca connessione logica: essi sono entrambi fondati.

Per un più agevole esame delle censure proposte, è necessaria una breve sintesi degli aspetti fattuali della vicenda che assumono specifica rilevanza sulle argomentazioni in diritto della questione in esame.

3.1. Per ciò che interessa in questa sede, il ricorrente, infatti, ha dedotto che: a. in relazione al contratto oggetto di controversia, aveva versato un premio unico (frutto del disinvestimento di una originaria polizza Lifebond che veniva integralmente liquidata su suggerimento della Credit Suisse Italy Spa) che era stato gestito dalla società contraente Credit Suisse Life & Pension A.G. mediante acquisto di quote del Fondo assicurativo interno la cui variazione di valore dipendeva dall’oscillazione del prezzo delle attività finanziarie sottostanti, individuate in alcuni specificati Fondi di investimento, all’andamento dei quali era collegata l’entità delle prestazioni assicurative garantite;

b. l’art. 8 delle CGC prevedeva che in caso di decesso degli assicurati i beneficiari avrebbero dovuto percepire:

– il controvalore dell’investimento rilevato nella prima finestra di uscita successiva alla richiesta di liquidazione per il decesso;

– un capitale aggiuntivo pari allo 0,1% del controvalore delle quote il quale non poteva, comunque, essere superiore alla somma di Euro 15.000,00: il costo per tale copertura era a carico del contraente mediante prelievo annuale dal Fondo Assicurativo interno;

c. a distanza di circa nove mesi dalla stipula del contratto, dall’estratto conto era emerso che il valore delle quote presentava una perdita superiore al 50% del capitale (che si era ridotto ad Euro 420.000,00 a fronte di Euro 1040.000,00 versati): la società contraente aveva spiegato che il risultato negativo doveva essere ascritto al “crack Maddoff “, visto che oltre la metà del Fondo Interno era stato investito in prodotti che facevano parte delle operazioni finanziare in esso coinvolte.

3.2. Il D., denunciando la mancata previsione di un “rischio demografico” tale da poter qualificare il contratto come assicurazione sulla vita, secondo la definizione in esso contenuta e l’intenzione che lo aveva determinato a stipulare, nonchè una scorretta ed incompleta informazione preventiva in ordine ai rischi dell’operazione, ha domandato in via principale la dichiarazione di nullità della polizza ed, in via subordinata, l’annullamento di essa con restituzione del premio e degli accessori maturati ed, in ulteriore subordine, che venisse accertata sia la responsabilità precontrattuale che l’inadempimento contrattuale delle società convenute con dichiarazione di risoluzione del contratto e con le conseguenze da ciò derivanti.

3.3. La Corte territoriale, nel confermare la sentenza di primo grado, ha condiviso il ragionamento del Tribunale secondo il quale le polizze unit linked hanno natura mista ma la causa prevalente è quella finanziaria il cui rendimento è legato all’andamento dei fondi nei quali i premi versati vengono investiti (con prevalenza in mercati azionari), ed il rischio vita garantito “sembra avere solamente lo scopo di individuare i momenti in cui l’assicuratore dovrà effettuare le prestazioni di rimborso alla quale è obbligato” (cfr. pag. 17 della sentenza); ed ha affermato che in ragione della prevalenza causale sopra descritta “il così detto rischio demografico, tipico di un’assicurazione sulla vita può anche essere minimale, in quanto la polizza prescinde (circostanza peraltro consentita dal quadro normativo che disciplina dette polizze) dal collegamento fra somma da corrispondere all’assicurato e l’ammontare del premio versato, atteso che come si è detto, il capitale dipende dalla performance del fondo” (cfr. pag. 18 sentenza impugnata).

3.4. I giudici d’appello hanno ritenuto, dunque, sufficiente per escludere la nullità invocata, la mera previsione di una garanzia in “caso morte” (prevista dall’art. 8 CGC), affermando che l’inesistenza di una norma di legge volta a regolamentare il valore economico di esso, in termini percentuali o proporzionali, rendesse irrilevante ed impropria la valutazione, nel merito, della misura della somma garantita; ed ha, altresì, ritenuto tardivo il rilievo secondo cui il capitale aggiuntivo doveva essere detratto dal “fondo interno” (rimanendo con ciò a carico dello stesso assicurato) in quanto l’argomentazione era stata sollevata per la prima volta in appello.

3.5. Tanto premesso, si osserva quanto segue.

La previsione generale contenuta nel D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 2, in ordine alle polizze denominate “linked”, e cioè quelle nelle quali l’obbligazione principale dell’assicuratore è collegata al valore di organismi di investimento del risparmio o di fondi interni o comunque ad indici predeterminati di riferimento, non vale a far concludere apoditticamente per l’inclusione automatica di tali polizze nello schema legale (artt. 1882 – 1895 c.c.) del contratto di assicurazione, la cui causa deve essere rinvenuta nel trasferimento del rischio dall’assicurato all’assicuratore, rischio che, a pena di nullità, deve esistere alla stipula del contratto.

Rientrano senz’altro nella fattispecie tipica di cui all’art. 1882 c.c., le polizze che operano la sostituzione della prestazione fissa dell’assicuratore con una variabile, agganciata a parametri di mercato, ma che mantengono comunque il rischio demografico; in tal caso, pur attuandosi un parziale trasferimento del rischio dall’assicuratore sull’assicurato in ordine al valore finale della prestazione, il contratto mantiene comunque una funzione assicurativa, individuabile quale causa concreta del contratto, secondo gli ordinari criteri ermeneutici.

E, al riguardo, deve richiamarsi l’orientamento di questa Corte secondo cui “in tema di contratto di assicurazione sulla vita stipulato prima dell’entrata in vigore della L. 28 dicembre 2005, n. 262, e del D.Lgs. n. 29 dicembre 2006, n. 303, nel caso in cui sia stabilito che le somme corrisposte dall’assicurato a titolo di premio vengano versate in fondi d’investimento interni o esterni all’assicuratore, rispetto alle quali, alla scadenza del contratto o al verificarsi dell’evento in esso dedotto, l’assicuratore sarà tenuto a corrispondere all’assicurato mediante una somma pari al valore delle quote del fondo mobiliare al momento stesso (polizze denominate unit linked), il giudice di merito, al fine di stabilire se l’impresa emittente, l’intermediario ed il promotore abbiano violato le regole di leale comportamento previste dalla specifica normativa e dall’art. 1337 c.c., deve interpretare il contratto, e tale interpretazione non è censurabile in sede di legittimità se congruamente logicamente motivata, al fine di stabilire se esso, al di là del “nomen iuris” attribuitogli, sia da identificare come polizza assicurativa sulla vita (in cui il rischio avente ad oggetto un evento dell’esistenza dell’assicurato è assunto dall’assicuratore) oppure si concreti nell’investimento in uno strumento finanziario (in cui il rischio di “performance” sia per intero addossato all’assicurato)” (cfr. Cass. 6061/2012).

3.6. Nel caso in esame – in cui sono incontestati sia la natura mista che i “connotati” della polizza – la censura investe un errore di diritto, attenendo alla ricaduta interpretativa dell’art. 1418 c.c., sugli artt. 1882 e 1919 c.c.: la Corte territoriale, infatti, astenendosi da ogni valutazione di merito, ha del tutto svincolato, in relazione alla componente assicurativa, l’esistenza del rischio demografico dall’entità della prestazione ad esso riferita, sicchè secondo il principio affermato nella sentenza impugnata – pacifica la componente finanziaria, ma altrettanto evidente quella assicurativa – anche una prestazione del tutto irrisoria, purchè enunciata, potrebbe soddisfare la causa del contratto ad essa riferita ed essere, pertanto, lecita.

3.7. Questo Collegio ritiene che, in tal modo, i giudici d’appello abbiano erroneamente interpretato le norme richiamate: questa Corte, in materia di nullità, ha avutò modo di affermare che “la rilevabilità officiosa delle nullità negoziali deve estendersi anche a quelle cosiddette di protezione, da configurarsi, alla stregua delle indicazioni provenienti dalla Corte di giustizia, come una “species” del più ampio “genus” rappresentato dalle prime, tutelando le stesse interessi e valori fondamentali – quali il corretto funzionamento del mercato (art. 41 Cost.) e l’uguaglianza almeno formale tra contraenti forti e deboli (art. 3 Cost.) – che trascendono quelli del singolo.”; ed è stato, altresì, ritenuto che “il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità contrattuale deve rilevare di ufficio l’esistenza di una causa di quest’ultima diversa da quella allegata dall’istante, essendo quella domanda pertinente ad un diritto autodeterminato, sicchè è individuata indipendentemente dallo specifico vizio dedotto in giudizio” (cfr. Cass. SU 26242/2014; Cass.19251/2018).

3.8. Dando seguito a tale principio – che valorizza il compito interpretativo del giudice di merito nella valutazione intrinseca dei pesi e contrappesi posti a base del sinallagma contrattuale – e trasponendolo nel caso in esame, caratterizzato dalla natura mista delle pattuizioni garantite, si ritiene che fosse preciso compito della Corte territoriale valutare l’entità della prestazione per verificare se la porzione causale del contratto ascrivibile al rischio assicurativo (ricondotto a quello demografico, trattandosi di una polizza vita) fosse stato effettivamente contemplato o se l’entità della prestazione garantita, a fronte del capitale versato, fosse talmente irrisoria da vanificare completamente l’equilibrio delle prestazioni.

3.9. Ed infatti, la Corte territoriale:

a. ha omesso del tutto di valutare se le pattuizioni contrattuali soddisfacessero le previsioni dell’art. 9 Regolamento ISVAP (che, pur successivo al contratto, rappresenta una mera attuazione dei principi già previsti dal D.Lgs. n. 209 del 2005), essendosi limitata a prendere atto della percentuale prevista (0,1%) e ritenendo soddisfacente, di per se, il solo fatto che fosse indicata: al riguardo l’art. 9 del regolamento ISVAP n. 32 del 2009 prevede, invece, che “1.i contratti classificati nel ramo III di cui all’art. 2, comma 1, del decreto, sono caratterizzati dalla presenza di un effettivo impegno da parte dell’impresa a liquidare prestazioni il cui valore sia dipendente dalla valutazione del rischio demografico. 2. Le imprese nella determinazione delle coperture assicurative in caso di decesso tengono conto, ai fini del rispetto del principio di cui al comma 1, dell’ammontare del premio versato dal contraente”. A ciò deve aggiungersi che l’art. 6 del Regolamento n. 29 del 2009 ricalca la formulazione della norma sopra richiamata (prevedendo che “1. Sono ricompresi nel ramo vita III, se direttamente collegati a fondi di investimento ovvero ad indici azionari o altri valori di riferimento, solo i contratti di assicurazione sulla durata della vita umana di cui al ramo I. 2. I contratti di cui al comma 1 sono caratterizzati dalla presenza di un effettivo impegno da parte dell’impresa a liquidare, per il caso di sopravvivenza, per il caso di morte o per entrambi, prestazioni assicurate il cui valore, o quello dei corrispondenti premi, sia dipendente dalla valutazione del rischio demografico”).

b. non ha neanche considerato la parte finanziaria come componente del contratto, nell’ambito di un bilanciamento che, caratterizzando la natura mista della causa, avrebbe imposto una valutazione del rapporto fra l’entità del premio iniziale e la misura del capitale garantito, strumentale alla corretta applicazione delle norme che la censura ritiene siano state violate.

4. Proprio in relazione a quanto sopra argomentato, risulta fondato anche il secondo motivo di ricorso con il quale si deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione all’irrilevanza economica del capitale aggiuntivo pattuito ed alla circostanza che esso fosse comunque detratto dal fondo interno: la Corte territoriale ha ritenuto, al riguardo, che tale ultima allegazione fosse stata tardivamente prospettata.

Si osserva, al proposito, che l’omessa valutazione dell’irrisorietà dell’importo per mancanza di una specifica disciplina sul valore economico di esso (cfr. pag. 19 della sentenza impugnata) si traduce, per ciò che è stato detto sul primo motivo, in una motivazione effettivamente apparente e non congrua; e che la circostanza che l’importo indicato fosse comunque detratto dal Fondo interno (e dunque a carico dello stesso assicurato) doveva essere valutata dalla Corte in quanto, trattandosi di una argomentazione relativa ad un fatto secondario (non costituivo della pretesa vantata), era stata correttamente e tempestivamente introdotta nel giudizio attraverso la trascrizione dell’art. 8 delle CGC contenuta nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (cfr. pag. 35 del ricorso): anche la motivazione resa su tale circostanza contrasta, dunque, con le emergenze processuali e risulta illogica ed apparente.

5. La sentenza, pertanto, deve essere cassata sulla base del seguente principio di diritto: “nelle polizze unit linked, caratterizzate dalla componente causale mista (finanziaria ed assicurativa sulla vita), anche ove sia prevalente la causa “finanziaria”, la parte qualificata come “assicurativa” deve comunque rispondere ai principi dettati dal codice civile, dal codice delle assicurazioni e dalla normativa secondaria ad essi collegata con particolare riferimento alla ricorrenza del “rischio demografico” rispetto al quale il giudice di merito deve valutare l’entità della copertura assicurativa che, avuto riguardo alla natura mista della causa contrattuale, dovrà essere vagliata con specifico riferimento all’ammontare del premio versato dal contraente, all’orizzonte temporale ed alla tipologia dell’investimento.

Il giudice di merito dovrà valutare, con adeguata e logica motivazione se, in relazione a tali indici, la misura prevista sia in grado di integrare concretamente il “rischio demografico”.

6. Con il terzo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.p.c., D.Lgs. n. 209 del 2005, artt. 27 e 41; la circolare ISVAP 474/2002 e la circolare ISVAP 551/2005: lamenta che la Corte d’Appello aveva ritenuto legittima la possibilità di acquistare, nell’ambito del contratto stipulato, i fondi hedge found anche se sottostanti a normativa straniera, in tal modo addossando il rischio finanziario di tali operazioni, soltanto sull’assicurato.

6.1. Il motivo è infondato.

La questione è stata correttamente affrontata dalla Corte territoriale che ha affermato che la normativa richiamata (la circolare ISVAP 474/2002 e la circolare ISVAP 551/2005) che prevede il divieto di inserire nei propri fondi interni investimenti. in hedge fund non è applicabile alla società contraente che ha sede in Liechtenstein: rispetto a tale decisiva circostanza, la Corte ha valorizzato l’interpretazione della successiva circolare ISVAP (del 12.1.2012) che aveva confermato che il riferimento normativo era quello della disciplina del paese di origine delle compagnie contraenti, ben motivando anche sull’assenza di contrasto fra tale previsione e l’art. 27 del CdA (cfr. pag. 21 della sentenza impugnata).

7. Con il quarto motivo, ancora, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 1337, 183 e 185, artt. 21 e 25 bis TUF, artt. 39, 40 e 85 Regolamento Consob 2007; artt. 47, 49 e 52 Regolamento ISVAP 2005; lamenta altresì, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti ed, in particolare, l’erronea valutazione degli altissimi profili di rischio dei singoli prodotti.

7.1. Il motivo è inammissibile.

A prescindere dai rilievi riferibili prima facie al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – in quanto la pronuncia impugnata è una sentenza d’appello confermativa di quella di primo grado (c.d. “doppia conforme”) ed è, pertanto, applicabile, l’art. 348 ter c.p.c., u.c., ratione temporis vigente – la censura prospetta una richiesta di rivalutazione di merito delle emergenze processuali, sulle quali la Corte ha già speso esaustive argomentazioni, affermando che, al momento dell’acquisto e prima del “crack Maddoff”, i fondi avevano fatto registrare un alto rendimento, e non poteva, quindi, configurarsi una negligenza della società contraente nella costituzione dell’asset finanziario.

La censura, pertanto, maschera un richiesta di rivalutazione di merito della controversia, preclusa in sede di legittimità (cfr., al riguardo, Cass. 8758/2017; Cass. 18721/2018).

8. Con il quinto ed il sesto motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 1337 c.c., e del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 185, sugli obblighi informativi che il ricorrente assume non essere stati assolti.

La medesima censura è stata proposta con riferimento al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione al preteso conflitto di interessi con le due società controricorrenti: il D. lamenta, infatti, che la Corte aveva falsamente ritenuto che la doglianza fosse stata proposta nella comparsa conclusionale mentre era stata introdotta con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, primo termine.

8.1. Entrambe le censure sono infondate.

La motivazione sviluppata dalla Corte, infatti, è congrua e logica avendo esaminato le modalità con le quali l’obbligo informativo della compagnia di assicurazione era da ritenersi assolto, ritenendolo sufficiente e valorizzando, al riguardo, anche le dichiarazioni confessorie rese dal D. sulla specifica questione (cfr. pag. 27 e 28 della sentenza impugnata).

8.2. Inoltre, anche il rilievo prospettato nel sesto motivo non coglie ne(segno, in quanto la Corte ha reso una motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale anche sulla tempistica osservata per l’obbligo di informativa: al proposito, il rilievo secondo cui il mancato rispetto di un lasso temporale sufficiente fra la consegna del prospetto illustrativo del contratto e la stipula dello stesso era stato introdotto nella prima memoria istruttoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, (e non nella comparsa conclusionale) non appare decisivo in quanto – trattandosi di un fatto costituivo ulteriore rispetto a quello dedotto inizialmente a sostegno della domanda di inadempimento contrattuale – non poteva trovare ingresso neanche nella prima memoria istruttoria nella quale possono essere soltanto precisate o modificate le domande e conclusioni già proposte, con riferimento esclusivo, dunque, ai fatti storici tempestivamente dedotti nell’atto di citazione.

9. Con il settimo e l’ottavo motivo, il ricorrente, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, deduce la violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, in relazione alla erronea valutazione dell’inadempimento degli obblighi di informazione concernenti il conflitto di interessi fra Credit Suisse Itali Spa e Credit Suisse Life and Pension AG; e, sulla medesima questione, deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 29, 85 e 86 Reg. Consob 16190/2007.

9.1. Entrambe le censure sono inammissibili perchè la questione è stata già congruamente esaminata dalla Corte (pag. 28 e 29 della sentenza, cpv. 12.3) con motivazione esauriente: la critica, pertanto, sotto entrambi i profili maschera una richiesta di rivalutazione di merito che non può trovare ingresso in questa sede.

10. Con il nono motivo, ancora, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia, consistente nella clausola negoziale che impone alla società di intermediazione una gestione finanziaria indipendente nonchè l’adozione di misure volte a salvaguardare i diritti dei contraenti.

10.1. Il motivo è inammissibile ex art. 348 ter, u.c., in quanto, come già argomentato, la pronuncia impugnata è una sentenza d’appello confermativa di quella di primo grado (c.d. “doppia conforme”) e pertanto, non è deducibile il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

11. Con il decimo e l’undicesimo motivo infine, il ricorrente lamenta:

a. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1228 e 2049 c.c., nonchè dell’art. 119 Dlgs 209/2005: lamenta che il profilo risarcitorio riconducibile alla responsabilità precontrattuale doveva essere ascritto alla condotta di entrambe le società convenute e che la Corte aveva, con ciò, violato l’art. 119 CdA che prevede la responsabilità solidale della banca anche per la responsabilità dell’intermediario finanziario.

b. ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 342 c.p.c., prospettando che la Corte aveva impropriamente ritenuto che la domanda di responsabilità precontrattuale fosse ricompresa in quella per inadempimento.

11.1. Entrambe le censure devono ritenersi assorbite sia dall’accoglimento dei primi due motivi (tenuto conto che la Corte di rinvio dovrà rivalutare la controversia in relazione alla posizione di ciascuna società controricorrente) sia dalla dichiarazione di inammissibilità ed infondatezza delle censure volte a contestare la negligenza delle società sotto il profilo degli investimenti finanziari.

12. In conclusione la sentenza deve essere cassata in relazione al primo ed al secondo motivo di ricorso, con rinvio alla Corte d’Appello di Torino, in diversa composizione per il, riesame della controversia alla luce del principio di diritto sopra evidenziato.

La Corte di rinvio provvederà anche sulla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte, accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso; rigetta il terzo, il quinto ed il sesto; dichiara inammissibili il quarto, il settimo, l’ottavo ed il nono ed assorbiti il decimo e l’undicesimo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione per il riesame della controversia ed anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2019

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